L’enigma russo e l’uomo occidentale
È urticante accorgersi che leggiamo ancora gli eventi di questi giorni con gli occhi del Novecento, che l'invasione russa in Ucraina è vissuta con le lenti degli immutabili, supremi destini della civiltà universale europea. È così per chi ha piantata nella mente la Guerra fredda, lo scontro formidabile fra due sistemi universalistici che si rifacevano all'illuminismo e al pensiero universale dei grandi del liberalismo e del marxismo. Avevamo paura, parteggiavamo; ma ci sentivamo, sentivamo l'Europa al centro del mondo perché le due superpotenze, europee entrambe anche se proiettate al di là dell'Europa, lottavano per omogeneizzare a sé un continente che era il centro del mondo in quanto aveva dato vita alla modernità, dalla Riforma alla Gloriosa Rivoluzione inglese del 1688 alla Rivoluzione francese a quella industriale ai grandi classici del liberalismo e del socialismo giù giù fino alla Rivoluzione d'Ottobre. La morte di fascismo e nazismo, le due tragiche eresie europee, non faceva che rafforzare le nostre convinzioni. Eravamo l'universale. Del fardello dell'uomo bianco negli anni della decolonizzazione si parlava poco; ma era ancora lì, fossimo di sinistra, di destra o del sempre dominante centro. Ci si aspettava che il mondo si arrendesse con gioia a uno dei due modelli avanzati dall'uomo bianco. Parlo come italiano; ma per quel poco che so le cose non erano molto diverse in Francia, Inghilterra o Germania.
Sono gli anni Duemila e all'invasione russa delle regioni separatiste dell'Ucraina rispondiamo rispolverando le idee sulla nostra libertà e i suoi valori universali. Se funziona non lo sappiamo, ma ci fa sentir bene. Eppure proprio i tempi di crisi sono i più fruttuosi per rivedere il proprio bagaglio mentale. Non ho ruoli pubblici e parlo come uno del Novecento che ha passato buona parte della vita a studiacchiare gli Stati Uniti e le dottrine politiche e che ha letto studiosi egregi che non sono, però, giunti nella testa dell'opinione pubblica per non parlare della classe politica. L'uomo, posso scrivere uomo intendendo essere umano di qualunque gender? Sì, perché sono del Novecento. L'uomo occidentale, allora, che ne riassume la storia si è sempre sentito superiore e portatore di civiltà. L'idea del fardello civilizzatore di noi uomini occidentali ci resta addosso e stentiamo ancora a credere che i tre quarti dell'umanità abbia avuto per secoli, addirittura per millenni, una storia parallela alla nostra, che sia capace di pensare e che non stia lì ad aspettare di diventare bianca. Siamo un po' sconvolti o almeno la maggioranza di noi è un po' sconvolta da quanto sta facendo il Presidente russo. Lo siamo anche perché Putin è bianco e bianchi sono i russi e i russi, con fatica, hanno cercato da Pietro il grande in poi di essere europei. Pareva ci fossero riusciti con la Rivoluzione di Ottobre che li aveva resi uno dei due corni della civiltà occidentale; ma quando l'Unione Sovietica è crollata sono riemerse una storia, un pensiero, una cultura autonome dalle ambizioni di Pietro il Grande. Per capirlo dovremmo andare al di là delle ambizioni geopolitiche e di potenza, dell'autoritarismo del nuovo Zar e del fatto che Putin intende riconfigurare il quadro della sicurezza europea per porre attenzione alle sue lezioni di storia e a quelle che ci vengono da pensatori a lui vicini come l'eurasiatista Alexandr Dugin che con la sua quarta teoria politica intende superare e mettere nel dimenticatoio fascismo, liberalismo e socialismo. Una teoria comunitarista e spiritualista la sua il cui nemico primo è l'illuminismo e l'idea di individuo che ne è nata. Il nemico è individuo slegato dalla comunità, che agisce in base alla propria volontà e utilità personali e non a quelle della comunità di appartenenza. Nemico lontano è il buon John Locke, uno più vicino John Stuart Mill, più vicino ancora Lenin, il distruttore dell'anima russa. Al posto del loro razionalismo utilitarista Putin, Dugin e tanti altri in Russia pongono la comunità di appartenenza che nel loro caso sono la Russia eterna e la Chiesa ortodossa interprete e protettrice dell'unità spirituale che fa vivere il popolo russo. Vogliamo dire che Putin e i suoi perseguono una molto umana politica di potenza, che sono autocratici e non sopportano il dissenso come ogni buon autocrate? Certo. È vero; ma hanno successo in patria perché a tanta parte del popolo russo le loro parole suonano famigliari e amiche in quanto fanno parte di un'eredità storica e culturale che è venuta riemergendo dopo il 1991. Anche i russi, allora, hanno sempre pensato, hanno una loro millenaria cultura su cui Putin può fare affidamento, che gli consente di dire che Pietro il Grande, il modernizzatore amico dell'Occidente, era in realtà un nemico del popolo russo al pari di Lenin. I russi hanno pensato e pensano in un modo proprio e lontano dall'Homo occidentalis.
E se guardiamo oltre la Russia non ci è mai stato famigliare il fatto che l'Homo occidentalis nella sua galoppata alla conquista del mondo non ha toccato che la superficie di tre quarti della popolazione mondiale e questi tre quarti pensavano, a modo loro, vivevano a modo loro, non capivano il mondo euroamericano e capivano invece bene di essere sfruttati come inferiori e messi al bando con il loro Islam, il loro Buddha, il loro Confucio, le loro religioni e costumi tradizionali. Sì, perché c'era anche questo, l'homo occidentalis intendeva civilizzare dall'alto di una altezzosa supremazia e intanto sfruttava e distruggeva. Occorre fare pulizia dentro di noi adesso. Non per respingere la nostra storia con i suoi tanti picchi benefici. Perché farlo? Primo non ci si riuscirebbe, secondo perché buttar via il bambino con l'acqua sporca – i proverbi insegnano qualcosa perché anche loro sono cultura -? Quel che sento necessario è fare pulizia della nostra alterigia culturale, non credere che tre quarti del mondo siano pronti a diventare occidentali e non credere che tre quarti del mondo non siano in grado di pensare e non abbiano mai pensato. Hanno pensato per secoli e per millenni e del nostro mondo hanno sperimentato negli ultimi duecento anni soprattutto la spinta costrittiva a cambiare, a cambiar pelle e a farlo senza alcuna certezza di essere accettati alla pari se lo facevano, anzi. Ci serve una pulizia etica: il giungere a sentirci pari a folle che hanno sviluppato nei secoli un modo di pensare e vivere che ci è lontano e ci può essere ostile e che quando sono pronte ad accettare la civiltà moderna intendono meticciarla restando in buona parte fedeli alla loro storia.
Mi fermo perché dovrei entrare in quell'homo occidentalis e nella sua storia che non ho spiegato cosa siano e che forse intendo come quell'uomo bianco, maschio, liberal statunitense di adozione se non di nascita che io, uomo del Novecento, ho interiorizzato nel corso della vita. Forse, e chi sarebbe?
* Professore emerito di storia americana- Università di Bologna
di Francesco Provinciali *
di Tiziano Bonazzi *