La dirigentocrazia del ministro Zangrillo
Il Ministro Paolo Zangrillo ha recentemente esaltato il valore del merito come criterio dirimente delle assunzioni nella P.A. Tanto per cambiare un sostantivo che da qualche tempo va per la maggiore, un termine molto spesso usato per esprimere quel ‘valore aggiunto ’ che dovrebbe caratterizzare studi e carriere, tanto che il Ministero dell’Istruzione ora è anche del “Merito”, un richiamo al senso del dovere, all’impegno e ai risultati dopo essere stato per decenni ispirato al soddisfacimento del diritto allo studio e dell’uguaglianza delle opportunità educative. Un tema peraltro archiviato troppo in fretta come se ingiustizie e discriminazioni fossero solo un inutile retaggio del passato.
C’è ancora molta strada da fare per consentire a tutti di entrare in quel famoso ascensore sociale che dovrebbe permettere ai capaci e meritevoli di salire ai piani superiori e realizzare aspirazioni in cui le gratificazioni personali coincidono con un interesse collettivo, quella che De Rita chiama autopropulsione sociale che altro non è che il raggiungimento del bene comune.
Ma il Ministro della Pubblica Amministrazione nello specifico si richiama alla valutazione di promozioni e carriere dei dipendenti pubblici: non basta più solo il concorso- afferma – ora serve anche un parere, una valutazione, un giudizio da parte del superiore dirigente.
A parte eventuali intrallazzi il concorso è sempre stato sinonimo di procedura adatta a scegliere i migliori. E’ proprio da quando lo si vuole accantonare che succedono torbidi, ingiustizie e garbugli.
Un tempo le commissioni giudicanti dei pubblici concorsi erano composte da persone qualificate, in grado di discernere qualità e meriti dei candidati. Superare un concorso presupponeva nell’ordine di aver seriamente studiato, di essere preparati e di dimostrare attitudini, competenze e carisma.
C’erano una o più prove scritte, c’era un orale, c’erano titoli certificati da valutare, pubblicazioni da presentare per vagliare i candidati sotto diversi profili comparativi. Sull’onda sciagurata del riduzionismo culturale e della semplificazione delle procedure – lo stesso vento maligno che ha investito gli esami di maturità – le prove scritte sono state svalutate anche se erano un banco di prova per soppesare conoscenze e competenze grammaticali, sintattiche, semantiche, espositive: una porta aperta per chi sapeva esprimere solida preparazione e creatività, per chi riusciva a distinguersi per originalità e capacità espositiva. La subentrante e pervasiva metodologia dei test e dei quiz ha introdotto una concezione riduttiva della cultura, senza contare che spesso vengono proposte domande irrilevanti, tendenziose, limitative ove non del tutto fuori luogo o esse stesse errate nel merito e nella presentazione. Ora che li si vuole introdurre per capacitarsi del raziocinio e dell’equilibrio psico-attitudinale dei candidati magistrati, si raggiunge il massimo della presunzione e del parossismo: come se la complessità della funzione inquirente o giudicante potesse essere misurata dalle risposte a domande magari sciocche e tendenziose. Il ruolo è delicato ma se il principio della valutazione psicologica preliminare dovesse ‘passare’ ecco che allora dovrebbe essere applicato a medici, infermieri, docenti di ogni ordine e grado ma probabilmente a tutti i contesti di lavoro dove si esplicita una pubblica funzione. Forse resterebbe fuori da questo setaccio solo la politica, dove a decidere sono i capi partito e sovente vengono candidati personaggi con precedenti non proprio edificanti sotto il profilo etico, esperienziale, delle competenze e persino della stessa fedina penale.
Ma introdurre il principio della valutazione dirimente (dentro o fuori) da parte della dirigenza sarebbe una scelta che solleverebbe più di una obiezione: la ragion d’essere delle prove concorsuali consiste proprio nella possibilità di “concorrere”, senza noticine di accompagnamento quali sarebbero i giudizi del superiore gerarchico. Un ritorno ad una concezione privatistica, discrezionale, feudale già ampiamente collaudata con lo spoil system che produrrebbe un effetto moltiplicatore di vulnus in quanto a sospetti, preferenze, simpatie, antipatie, appartenenze a enclave amicali o ideologiche, preclusioni preconcette, discriminazioni. Come se il singolo dirigente monocratico potesse sostituirsi con un giudizio del tutto personale e soggettivo alla collegialità di una commissione.
Perciò, caro Ministro Zangrillo, non lo faccia. Non passi questo Rubicone - dove il controllo pubblico viene ancora grazie a Dio esercitato- per passare nel limbo della pura discrezionalità senza verifiche di soggetti terzi. Sarebbe anche una responsabilità enorme il pronunciarsi e lo scegliere per il dirigente stesso, suscettibile di contenzioni e malumori.
Sarebbe un errore gravissimo procedere in questa direzione, senza alcuna garanzia di oggettività nella valutazione, la negazione del concetto stesso di merito che diventerebbe aleatorio e insindacabile.
Capisco che un politico voglia lasciare un segno del proprio passaggio ma le ricordo quanto accaduto con la sua Direttiva del 29/12/2023 tendente a recuperare la disparità di trattamento tra lavoratori fragili privati e pubblici in materia di fruizione dello smart working. Un gesto generoso e onesto, il Suo, che si è arenato di fronte alle obiezioni della Ragioneria dello Stato: per la scuola è stato così.
Perciò – se accetta un consiglio – sarebbe forse meglio concentrarsi a rendere più trasparenti, serie e selettive le prove concorsuali, selezionando ad esempio le commissioni giudicatrici per qualità ed esperienza acquisite dai componenti. Merito implica qualità e la qualità è nulla senza controllo.
di Francesco Provinciali