Il possibile futuro del governo gialloverde

È all’incirca dal giorno del suo insediamento che molti commentatori e osservatori politici formulano previsioni pessimistiche sulla durata del governo legastellato. Le ragioni di questo pessimismo sono note e anche comprensibili. Si tratta di un governo nato da quello che non è inesatto definire uno stato di necessità. Anzitutto perché intese del Movimento Cinque Stelle o della Lega con altre forze politiche presenti in parlamento non sono state possibili. A questa condizione politica di fondo va aggiunta la moral suasion del Quirinale; nella lunga fase di consultazioni che è seguita al voto, Mattarella ha fatto capire che non avrebbe sciolto volentieri le camere appena elette. Inoltre, il governo, è il caso di ricordarlo, non origina da un accordo politico ma si basa su di un contratto di governo, messo a punto dopo laboriose trattative; un contratto di cui è garante uno stimato professore di diritto privato che, con una prassi sicuramente inconsueta, è stato chiamato a presiedere il governo. Va poi ricordato che, come risulta dai risultati del voto del marzo 2018, le constituencies sociali e geografiche dei due partiti sono del tutto diverse.
Nei quasi dieci mesi che sono passati dal 1° giugno 2018 l’impressione che il governo non abbia una linea politica condivisa ma che proceda su due tracciati paralleli, e non comunicanti, è stata confermata più volte. Basti pensare allo scarso entusiasmo che la Lega ha mostrato per il reddito di cittadinanza, alle divergenze relative al via libera per la costruzione della Tav Torino-Lione, o all’accordo sulla cosiddetta via della seta.
Queste analisi non mancano di plausibilità tuttavia trascurano le affinità che avvicinano i due partiti. Quando parliamo di affinità non intendiamo riferirci alla impostazione demagogica che contrassegna la prassi politica tanto dei leghisti quanto dei pentastellati. Certo, si tratta di partiti toto corde demagogici, tuttavia una deriva demagogica sembra, purtroppo, immanente alla vicenda politica contemporanea e a quella italiana in particolare. Ma, al di là di questo aspetto, leghisti e pentastellati sono accomunati anche da altre caratteristiche. Le due formazioni politiche, infatti, hanno entrambe una origine settaria e si posizionano in modo analoga verso il nostro sistema politico costituzionale.
La Lega nasce dalla federazione di gruppi autonomisti del tutto marginali che, nel momento della crisi terminale della prima repubblica, sono stati catapultati sulla scena politica nazionale. Questo retroterra di clandestinità ha indotto gli esponenti leghisti a privilegiare la ragione di partito rispetto a ogni altra considerazione. Da qui deriva la loro capacità di sostenere con convinzione le parole d’ordine meno verosimili e di accettare senza battere ciglio i voltafaccia più clamorosi. Basti pensare alla campagna per i ministeri a Monza dell’estate del 2011 o alla repentina "conversione" nazionale dopo decenni di agitazione devoluzionista o separatista.
Non meno forte è il settarismo del movimento grillino. Un settarismo del tutto naturale per un partito posseduto da una società di pubblicità, che è gestito con criteri patrimonialistici. Anche in casa grillina i voltafaccia e le conversioni a 360 gradi sono all’ordine del giorno, semmai con un particolare retrogusto distopico.
Tanto la Lega quanto i Cinque stelle, poi, sono movimenti antisistema, cioè partiti che vogliono scardinare gli attuali equilibri politici. Non è casuale che entrambi i partiti, in nome dell’assioma: il sistema si abbatte e non si cambia, siano stati fermissimi nello schierarsi contro il tentativo di riforma costituzionale esperito nella scorsa legislatura. Così come non è casuale che tanto la Lega quanto i pentastellati abbiano costruito le loro fortune elettorali cavalcando il malcontento contro l’Unione europea. E anche se le posizioni antieuro sbandierate in campagna elettorale lo scorso anno sono state edulcorate, la politica economica del governo gialloverde corteggia di fatto la fuoriuscita dalla moneta unica.
In conclusione, immaginare che il ministero legastellato possa durare ancora per parecchio tempo non è una previsione meno verosimile dell’altra che ritiene l’esecutivo prossimo alla scadenza.
* Insegna presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Federico II di Napoli
di Stefano Zan *
di Maurizio Griffo *
di Francesco Provinciali *