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04 maggio 2024
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Elezioni Turchia 2018

Massimo Ronzani * - 06.06.2018
Meral Aksener

Il prossimo 24 giugno sarà election day in Turchia. Il popolo sarà chiamato a votare per eleggere i propri rappresentanti al parlamento e il nuovo capo di Stato

 

Elezioni anticipate

Lo scorso aprile il presidente e leader dell’AKP al governo Recep Tayyip Erdogan ha appoggiato la proposta di Devlet Bahceli, leader del partito MHP, di anticipare le elezioni del 3 novembre 2019. Approvata la proposta in parlamento e decisa la data del voto, la campagna elettorale ha avuto inizio. La decisione di anticipare le elezioni è stata motivata ufficialmente dall’accelerazione degli avvenimenti in Siria e in Iraq, dalla necessità di prendere decisioni importanti per l’economia del paese e per velocizzare i cambiamenti costituzionali previsti dal referendum del 17 aprile 2017. Più concretamente, AKP e MHP si sono accorti del proprio trend negativo in termini di consenso elettorale, cominciato con la vittoria risicata al referendum.

I sondaggi di questa primavera davano la coalizione AKP-MHP circa al 45%, voti insufficienti per eleggere il presidente al primo turno. Lo scontento dell’elettorato sarebbe causato soprattutto dalla crisi economica che sta attraversando il paese. La crescita dell’economia turca, infatti, è sempre stato il cavallo di battaglia dei sedici anni di governo ininterrotto dell’AKP di Erdogan, sostenuto soprattutto dalla borghesia religiosa e imprenditoriale dell’entroterra turco (le cosiddette “tigri anatoliche”). Negli ultimi anni l’inflazione a doppia cifra, l’alto deficit, la disoccupazione in salita e, in ultima analisi, il crollo della lira turca, ai minimi storici sul dollaro ed euro a causa della scelta di Erdogan di mantenere i tassi di interesse il più basso possibile, ha reso necessario in questi giorni l’intervento della Banca Centrale, con un rialzo record dei tassi e lo studio di un piano di riforma sul sistema di calcolo. Gli investitori internazionali hanno interpretano l’intervento della Banca Centrale come un passo indietro del presidente. Dal canto suo, Erdogan ha sempre fatto appello alla solidarietà nazionale, accusando i mercati internazionali di complottare contro Ankara. Tuttavia, le previsioni pessime sull’economia avevano già convinto il leader turco ad accelerare le elezioni, prima che la recessione economica lo indichi come il responsabile della crisi.

Alcuni analisti hanno imputato ad Erdogan e al MHP anche un certo timore per la crescita del neonato Buon Partito-IYI, guidato dalla iron lady Meral Aksener. Sessantunenne, ex MHP, laica e di destra, Aksener era fortemente contraria al referendum costituzionale e all’alleanza MHP-AKP. Ex Ministro degli Interni ai tempi del Partito della Retta Via-DYP, Aksener si oppone sia all’islamizzazione del paese, sia alla repressione dell’opposizione. La “donna forte” potrebbe ottenere voti importanti, provenienti dagli elettori AKP scontenti di Erdogan, ma soprattutto dai delusi del MHP contrari all’alleanza con l’AKP. L’anticipo delle elezioni, secondo il presidente, dovrebbe aver colto alla sprovvista l’opposizione (soprattutto lo IYI), incapace di lanciare una campagna elettorale contro di lui nel breve termine. Erdogan, infatti, ha messo in atto una propaganda molto più invadente e organizzata degli avversari, grazie al controllo dell’AKP sui media, sulle istituzioni, sui social e sui temi del dibattito pubblico, oltre alla possibilità di poter approfittare dello Stato di emergenza ancora in vigore dopo il golpe fallito.

In aggiunta agli aspetti sopra citati, la questione curda, collegata strettamente alla guerra civile siriana e la lotta all’Isis, le polemiche con l’UE e la NATO, i continui arresti di giornalisti, politici, insegnanti, funzionari e militari (ormai migliaia) accusati di essere cospiratori gulenisti o di appoggiare il terrorismo curdo, mettono in discussione la posizione di Erdogan almeno fino alla resa dei conti.

 

I partiti come arrivano alle elezioni?

Il Partito di Giustizia e Sviluppo-AKP (islamico-moderato e liberalconservatore) candida ancora una volta il suo leader. Come conseguenza della vittoria al referendum, il presidente Erdogan ha la possibilità di ricandidarsi per altri due mandati quinquennali, che vedranno il potere concentrarsi nella figura del capo di Stato (si passa da una repubblica parlamentare ad un sistema presidenziale). Abdullah Gul, ex presidente e compagno di partito di Erdogan, forse l’unico in grado di “contrastarlo”, è rimasto fuori dai giochi per una serie di scelte e veti. Assieme ad Ahmet Davutoglu, ex Ministro degli Esteri e poi premier (dimessosi nel maggio 2016 a causa di divergenze con il presidente), i due hanno deciso di non tornare alla politica attiva. Ad appoggiare il partito “piglia tutti” di Erdogan ci sono il Partito del Movimento Nazionalista (MHP, nazionalista e braccio politico dei Lupi Grigi) e il Partito della Grande Unità (BBP, ultranazionalista).

L’opposizione, composta di quattro partiti, si presenta unita alle elezioni parlamentari (#Tamam, inteso come “ora basta”, è diventato virale sui social), questo per aiutare i partiti più piccoli a superare la soglia di sbarramento fissata al 10%. Invece, per quanto riguarda la candidatura alle presidenziali, il Partito Repubblicano dei Popoli-CHP (kemalista di sinistra, socialdemocratico e progressista), il Buon Partito-IYI (kemalista di destra, nazionalista, conservatore e laico), il Partito della Felicità Saadet-SP (conservatore e islamista) e il Partito Democratico-DP (nazionalista moderato), hanno tutti e quattro presentato il proprio candidato. Già accennato dello IYI, il CHP candida Muharrem Ince. Cinquantacinquenne, ex docente di fisica, parlamentare noto per le sue invettive contro Erdogan, Ince si presenta come il candidato laico del maggior partito di opposizione, sostenitore dell’ideologia kemalista, promotore di una pace sociale e democratica. Il partito islamista Saadet lancia il suo segretario settantasettenne Temel Karamollaoglu. Fondato dal leader dell’Islam politico turco, Necmettin Erbakan, il Saadet è da considerare, assieme all’AKP, il diretto discendente del Partito della Virtù-FP e prima ancora del Partito del Benessere-RP (dove si sono formati Gul ed Erdogan). Il Partito Democratico, invece, ingloba la galassia un tempo vasta, sia dei discendenti del Partito della Madrepatria-ANAP di Turgut Ozal, sia di quelli del Partito della Retta Via-DYP e del Partito della Giustizia-AP, entrambi guidati a suo tempo da Suleyman Demirel e successori dell’omonimo DP di Adnan Menderes. Saadet e DP, entrambi fuori dal parlamento alle precedenti elezioni, non raggiungeranno il 10%, ma, come previsto dalla nuova legge elettorale, i partiti di una coalizione che superi la soglia di sbarramento potranno partecipare alla ripartizione dei seggi.

Non fa parte della coalizione il Partito Democratico dei Popoli-HDP (sinistra, pro-curdo e pro-minoranze), che lancia la candidatura di Selahattin Demirtas. Attivista per i diritti umani, il leader curdo è incarcerato con l’accusa di essere legato al terrorismo curdo del PKK. I numerosi arresti e le retate contro i giornali, le sedi ed esponenti del movimento pro-curdo, sono stati tentativi palesi dell’AKP e dei nazionalisti di impedire al HDP di raggiungere il 10% come alle elezioni del 2015. A fronte di un blocco d’opposizione caratterizzato altrettanto da tendenze nazionaliste, a decidere la sorte delle elezioni sarà il voto curdo.

 

Aspettative?

Con l’opposizione unita da una parte, ma divisa dall’altra, manca un vero leader che possa sfidare Erdogan al primo turno, anche perché la propaganda AKP-MHP domina la scena pubblica e mediatica, lasciando briciole agli avversari. Nella migliore delle ipotesi si arriverà al secondo turno (8 luglio), dove la vittoria di Erdogan sarà tutta ancora da giocare. Nella peggiore delle ipotesi già al primo turno Erdogan metterà fine alla Turchia moderna per come l’abbiamo conosciuta.

 

 

 

 

Laureato in scienze storiche presso l'Università degli Studi di Padova. Si occupa di storia del medio oriente e del nord Africa contemporaneo.