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07 dicembre 2024
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Bloomberg e le primarie dei democratici in USA

Francesco Cannatà * - 30.11.2019
Michael Bloomberg

L’annuncio della candidatura di Michael Bloomberg alle primarie dei democratici USA è una notizia buona o una cattiva? Certo la possibilità che tra un anno due tycoon possano scontrarsi per conquistare la presidenza della prima potenza mondiale aumenta l’importanza del denaro nelle relazioni internazionali e il malsano aggroviglio tra economia e politica. Contemporaneamente il mondo assiste a proteste che contestano proprio l’influenza assunta dalla dark money nei singoli Stati e l’aumento dell’immoralità sociale che questa comporta. Rivendicazioni che vanno oltre linee partitiche o confessionali per identificarsi nell’ideale di un ordine civile internazionale. Dimostrazioni che non si appellano a parole d’ordine ideologiche, ma puntano su richieste concrete. Per la specialista dei movimenti di resistenza civile all’Istituto americano della pace, Maria J. Stephan, se è vero che alla base dell’attuale collera internazionale vi sono misure economiche negative, la sua vera causa sta nelle “questioni sistemiche della corruzione, la bassa qualità di governi e classi dirigenti, le forme di esclusione sociale”. Problemi che in modi diversi oggi affliggono tutte le società. L’altro motivo dell’ondata di dissenso internazionale sta nella constatazione del crescente intreccio tra politica ed economia. In maniera più o meno confusa la popolazione mondiale vede l’avanzata di forme oligarchiche di governo che potrebbero mettere in discussione diritti dei più deboli. Inoltre la constatazione che non esiste un pensiero in grado di opporsi a questo fenomeno aumenta queste paure e potrebbe scaricarsi in forme estreme e manovrate di sovversivismo. È un caso se tra il 1990 e il 2009 il numero dei movimenti di contestazione allo status quo è quasi raddoppiato? Se altrettanto è successo tra 2010 e 2015? Se tutte queste correnti politiche si sono spente senza quasi  lasciare traccia, mentre i problemi sono rimasti irrisolti?   

Nel marzo 2014 l’Economist dedicava la propria copertina a quanto la rivista definiva The new age of crony capitalism, la nuova età del capitalismo clientelare. Il settimanale notava che mentre a Kiev la ribellione popolare faceva crollare il  governo di Viktor Yanukovic, a Londra le manifestazioni si concentravano attorno a un lussuoso appartamento poco lontano da One Hyde Park. Se formalmente le proteste erano dirette contro Rinat Akhmetov, ricchissimo imprenditore ucraino e principale sostenitore di Yanukovic, il vero bersaglio era il sistema che in Ucraina aveva subito un colpo mentre in altre parti del mondo continuava la propria ascesa. Due anni dopo il settimanale inglese tornava sull’argomento pubblicando un indice dei capitalisti clientelari. Definiti magnati oscuri, questi personaggi sono caratterizzati da una attività industriale che, nata e cresciuta grazie a rapporti simbiotici con i governi, ha dato vita a business basati sulla complicità tra interessi politici ed economici. Il potere politico favorisce l’ascesa di clan economici ritenuti vantaggiosi per le proprie strategie. Protezione da concorrenze esterne, permesso di trasgredire le norme dello Stato di diritto, accaparramento delle risorse pubbliche a prezzi stracciati. Questi i privilegi goduti da camarille economiche che a loro volta ripagheranno fornendo i mezzi finanziari indispensabili alle strategie clientelari dei propri padrini politici e mettendo al loro servizio i mezzi di comunicazione di massa di cui dispongono. L’altra faccia di questa medaglia sono licenze vantaggiose, autorizzazioni e concessioni irregolari che i governanti distribuiscono a se stessi attraverso fidati prestanome e da cui ricavano enormi fortune. Energia, mercato immobiliare e case da gioco sono i settori che negli anni ’90 hanno rappresentato la cuccagna per questi ceti. Capitali che ora avanzano nel mercato globale.  

Secondo Caroline Freund, economista alla Banca Mondiale, negli anni compresi tra 1996 e 2014 in Europa la quota dei patrimoni miliardari connessi al potere politico ha raggiunto il 20,4% del totale, nel Libano questa percentuale è del 33%. Riguardo il paese mediorientale uno studio del 2017 di due ricercatori dell’università di Harvard, Ishac Diwan e Jamal Haidar, conta la presenza di un politico dentro le strutture dirigenti, manageriali e amministrative del 42,7% delle aziende libanesi. La ricerca evidenzia inoltre come le compagnie politicamente connesse abbiano tassi di crescita, produttività e creazione di nuovi posti di lavoro, più bassi di quelle che per funzionare debbono contare solo sulle proprie forze. È possibile spiegare le recenti contestazioni globali come una reazione a questa cultura del lavoro basata sugli intrallazzi tra politica ed economia? Se è cosi come meravigliarsi allora che gli esclusi, piccoli pesci nel grande mare delle diseguaglianze sociali ed economiche, vedano in misure economiche arbitrarie, ma tutto sommato insignificanti, la goccia che fa traboccare la tempesta della rivolta? Esemplare il caso di Hong Kong dove la ribellione contro il governo dura ormai da sei mesi. In questa ex colonia britannica, dal 1945 la popolazione è cresciuta di dodici volte passando da 600mila agli attuali 7,4 milioni. Un boom demografico cui non corrisponde un mercato immobiliare degno di questo nome visto che il 45% di questo è in mano a 5 aziende, mentre la media dello spazio abitativo a persona è pari a 15 mq. Le conseguenze? Da oltre un decennio Hong Kong è uno dei mercati immobiliari più cari al mondo, fatto che sicuramente ha contribuito ha radicalizzare la protesta.

Bolivia, Cile, Ecuador, Francia, Hong Kong, Iran, Iraq, Italia, Libano. E in precedenza Russia, Turchia, Ucraina, USA. Questo catalogo dell’opposizione globale si unificherà? L’eccesso di corruzione e malgoverno presente nei governi di tutto il mondo potrà scatenare il contagio globale? Nessuno è più disposto a subire esclusioni politiche e discriminazioni economiche, soprattutto quando altrove la protesta avanza. Di fronte a questo scenario stupisce chi in Italia nel movimento delle sardine vede il ritorno dei girotondi politici o il popolo viola degli anni 2000. Come mai gran parte dei commentatori del Paese continua a guardare pigramente la situazione nazionale senza alzare gli occhi su quanto accade fuori dal nostro paese?

 

 

 

 

* Dottore di ricerca in Storia dell’Europa orientale e autore di Nel Cuore d’Europa, Textus 2019.