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Social network, politica e leader
La comunicazione politica attraverso i social network è diventata una componente sempre più importante delle campagne elettorali e della promozione di idee e proposte politiche. L'uso di questi strumenti può infatti consentire ai politici di raggiungere un pubblico molto ampio e variegato, ma presenta anche diversi rischi e sfide. Uno dei principali vantaggi dei social network nella comunicazione politica è la loro ampia diffusione e la possibilità di raggiungere facilmente e rapidamente un vasto pubblico. Attraverso la pubblicazione di post e la condivisione di contenuti, i politici possono promuovere le loro idee e le loro proposte, creando un dialogo diretto con i cittadini e aumentando la loro visibilità. Inoltre, i social network consentono ai politici di interagire direttamente con il loro pubblico e di ricevere feedback immediati sulla loro azione politica. Ciò può consentire loro di adeguare la loro comunicazione e la loro strategia in tempo reale, in base alle reazioni del pubblico. Tuttavia, l'uso dei social network nella comunicazione politica presenta anche diversi rischi e sfide. In primo luogo, i social network possono amplificare la polarizzazione e la divisione nella società, poiché le persone tendono a seguire e interagire principalmente con le persone e le idee che condividono già le loro opinioni. leggi tutto
Le psicopatologie quotidiane che ci salvano la vita e (a volte) rovinano quella di chi ci sta accanto
Debbo la lettura di questo libro al Premio Nobel Prof. Giorgio Parisi che me lo ha consigliato: un biglietto da visita che inserisco in esordio in questa breve recensione e che lo qualifica a priori.
L’autrice è al suo primo romanzo: si tratta di un’opera corposa e densa, incalzante nella narrazione che regge una trama complessa e gravida di impliciti, suscettibile di ampie interpretazioni.
La protagonista del racconto è Marta, una donna morbosamente legata all’idea e alla pratica di una pulizia ossessiva, che la rende guardinga e compulsivamente impegnata in una lotta impari con il mondo che le sta attorno: senza tregua, senza sosta, senza eccezioni, tutto ciò che può essere fonte di un contatto, di un utilizzo pregresso da parte di altre persone diventa un cruccio insopportabile e allo stesso tempo un motivo di impegno ad evitarlo o a rimuovere, riparare, cancellare le tracce del pur minimo sfioramento. Oltre a ciò di cui si rende conto, vede e diventa motivo di sofferenza c’è ampio spazio per immaginare ciò che può essere accaduto a sua insaputa, prima: una maniglia aperta da una mano non pulita, il pulsante dell’ascensore premuto da chissà chi, le banconote che circolano, ma anche i semplici fogli di carta, leggi tutto
Il marcio e il caos dieci anni dopo
Ci sono editoriali (ma possiamo chiamarli fermo-immagini, riflessioni scaltrite, sintesi folgoranti) che per la loro forza interpretativa conservano nel tempo il pregio della verità e le sembianze del re nudo: oltre le ciarle, le opinioni, le apparenze che scivolano come lacrime di pioggia sui vetri appannati della realtà, escono dai luoghi comuni e si impongono con la potenza descrittiva racchiusa in poche parole. Sono i fiori all’occhiello e il fascino del miglior giornalismo.
Sono passati dieci anni e pochi giorni da quando Antonio Polito pubblicò sul Corriere della Sera un articolo intitolato “Il marcio e il caos”: un affondo impietoso e penetrante su mali secolari che affliggono il nostro Paese, oltre le contingenze ‘hic et nunc’ di un fatto, di un’occasione, di una mera e riduttiva parentesi del momento. Il titolo è quello che riprendo, vale ancora oggi e acquista pregio come il vino d’annata, il tema che affrontava l’editorialista è di quelli che vanno oltre l’empirismo e le contingenze del momento. Come a dire: ci sono dei mali di fondo, delle cancrene che non si riducono a formulette da effetti speciali, come “prima o seconda repubblica”, trascendono persino le appartenenze pseudo-ideologiche che sono spesso contenitori vuoti di idee e di progettualità leggi tutto
Il boom delle dimissioni dal lavoro
I dati forniti dalle comunicazioni obbligatorie trimestrali del Ministero del Lavoro offrono uno spaccato interessante e suscettibile di approfondimenti: nei primi 9 mesi del 2022 si sono registrate oltre 1,6 milioni di dimissioni dal posto di lavoro, con un più 22% rispetto allo stesso periodo del 2021 quando ne erano state computate oltre 1.3 milioni. Non si tratta peraltro di un fenomeno solo italiano, negli USA la deriva sta assumendo una dimensione tanto consistente da essere definita ‘Great resignation’, ‘le grandi dimissioni’. Per decenni politica, sindacato e associazionismo hanno posto il problema della carenza dei posti di lavoro come motore che innesca il volano dell’impoverimento e il blocco dell’ascensore sociale: analisi radicata negli anni e che permane, confermata ad esempio dal recente 56° Rapporto del CENSIS sullo stato di salute del Paese. Viene da chiedersi allora se esista un’analogia tra questa tendenza a sciogliere i legami con un’attività lavorativa e il più generale scollamento tra società e istituzioni, agevolato dal venir meno dei corpi intermedi, che il Direttore Generale dell’Istituto di analisi sociale, Massimiliano Valerii ha stigmatizzato come “ritrazione silenziosa dei cittadini”. Così come considerando questo disallineamento tra stili di vita prevalenti e fonti di produzione del reddito sarebbe utile rileggere “La società signorile di massa” leggi tutto
Il dovere della coscienza, oltre l'ossessione per le riforme
Come siamo cambiati? Come viviamo? Quali speranze coltiviamo per il nostro futuro?
Una prima osservazione riguarda lo straordinario progresso scientifico e tecnologico che ci ha offerto potenzialità di miglioramento un tempo impensabili.
Le aspettative di vita sono esponenzialmente cresciute in quantità e qualità
Non si può non constatare, poi, con che peso e in che misura l’economia abbia influito sugli stili di vita e come la teoria della crescita illimitata, del benessere diffuso, dell’offerta di beni e servizi si stia misurando – in tempo di crisi – con la realtà, sollecitando riflessioni, valutazioni e consuntivi in ogni aspetto del vivere.
Ma quando la gestione della ricchezza prodotta non è accompagnata da un solido fondamento etico si generano disuguaglianze, ingiustizie, nuove e crescenti povertà.
La forbice tra sovrabbondanza e indigenza si sta divaricando sempre più e non è fuori luogo correlare questa tendenza con le azioni tardive della politica e dei governi, con la loro incapacità di riequilibrare questo crescente gap.
Soprattutto perché non si tratta di un fenomeno limitato a certe aree geografiche o alla differenza storicizzata tra paesi poveri e paesi benestanti.
Anche nelle più evolute civiltà occidentali si stanno generando nuove e inconsuete sacche di povertà emergenti, fino a modificare e a rendere labile, leggi tutto
La vecchiaia, metamorfosi sulla linea retta della vita
La lettera che lo psichiatra Vittorino Andreoli imbuca nella metaforica cassetta postale della vita ci spiega molte cose che riguardano il destinatario e forse ancor di più il mittente.
Da costui viene spedita come un dono che ci racconta quelle che siamo soliti definire le tappe dell’esistenza, per spiegarne più compiutamente l’ultima: ciò che emerge dalla scorrevole lettura è la pacatezza esplicativa dei toni che rendono fluida e colloquiale la narrazione. Non vi si colgono forzature o maldestri tentativi di ammiccante persuasione, come potrebbe accadere ad un imbonitore che voglia dimostrare una magnificenza inesistente, trovo persino generoso il modo in cui – quasi senza farlo notare – l’estensore di questa lettera si rivolge al suo immaginario interlocutore raccontando di se stesso.
Qui si coglie come in tutta la sua immensa produzione scientifica e letteraria una trasparente consapevolezza, talmente spontanea da sovrapporsi all’io narrante, così convincente da farci accogliere con benevola disponibilità ogni spiegazione, oltre il nostro stato d’animo del momento.
La condizione paritetica che il Prof. Andreoli evoca negli impliciti di questa missiva riguarda la situazione anagrafica di chi scrive e di chi leggerà: vecchio l’uno e vecchio l’altro, sgombrando subito il campo dalle scorie concettuali e culturali che questo aggettivo sostantivato denotativo leggi tutto
Gradini che non finiscono mai
Già dalle prime pagine del suo libro o meglio, dai primi gradini della scala della sua vita, si colgono due aspetti in apparente bisticcio tra loro -se considerati separatamente- ma in realtà complementari e connotativi dell’uomo Giorgio Parisi: la normalità e l’originalità. Ho sempre pensato (in ciò confermato dalla personale conoscenza di alcuni di loro) che i veri ‘grandi’ sono persone semplici: nascoste e appartate, riflessive, amanti del silenzio, non ostentano, si pongono domande, vivono le inquietudini dell’esistenza, parlando di sé esprimono la quotidianità e le molte consuetudini in cui ci ritroviamo. Di ciascuno di loro si potrebbe dire: “è uno di noi”. Ma sotto questa coltre che li accomuna al genere umano, sono depositari di una sorta di curiosità cosmica, di una visione olistica, totale della vita, sanno cogliere l’universale nel particolare, accendono lampadine dove altri si perdono nel buio, in quella indescritta normalità che ci rende tutti uguali sanno trovare l’eureka, l’illuminazione, l’idea risolutiva, anche coltivando l’arte del dubbio e la virtù dell’umiltà senza mai perdere la spinta formidabile della motivazione, sanno andare oltre le apparenze, non si fermano al primo ostacolo, dall’errore colgono l’opportunità per ripartire e correggersi, coltivano il dovere della fatica e dell’impegno come passaggi leggi tutto
Si è oscurato il sole dell’avvenire?
Per i boomers, 2023 non è un anno astronomico, ma il titolo di un film di fantascienza. Molti di coloro nati nella seconda metà del XX secolo sono cresciuti pensando che, pur tra mille difficoltà, il futuro avrebbe spalancato a porzioni sempre più vaste di umanità un mondo favoloso o, perlomeno, più vivibile. Cosa avrebbe detto una persona nel, poniamo, 1963 se gli avessero chiesto di immaginare il mondo nel 2023? Molte cose positive. Se chiedessero oggi come immagini il mondo nel 2083, temo non ci sarebbe altrettanta fiducia nelle sorti magnifiche e progressive dell’umanità. Quanto segue non intende essere il mala tempora currunt che caratterizza l’umore degli anziani e dei conservatori. Riguarda invece la diffusa sfiducia che si percepisce un po’ ovunque in Occidente proprio in quel mitico futuro migliore, inteso cioè come speranza, se non convinzione, di riuscire presto a rimuovere quegli ostacoli che, qui e ora, impediscono ad un numero crescente di persone di realizzarsi compiutamente. Siamo da quasi un ventennio letteralmente sfibrati dal “vecchio che avanza”, correndo in un logoro labirinto da cui non si riesce ad uscire. La scena “dall’alto” ci mostra una catena di incubi distopici, a partire dalle guerre: sono 59 quelle in corso e non solo non diminuiscono, leggi tutto
Il presidente Meloni intervenga sullo smart working e le tutele per i lavoratori fragili
In epoca di post-globalizzazione le notizie girano velocemente ma non sempre in tempo utile e verificabile. Si sa ad esempio che la Cina è flagellata da una nuova fase di pandemia da Covid-19. Alcuni Stati hanno imposto controlli alle frontiere, specie per gli sbarchi di passeggeri in arrivo da quel Paese dove città come Shangai registrano il 75% di contagiati. Cose che si sapevano non da ieri, ad esempio mentre in Italia si votava la legge di bilancio che prevedeva il rinnovo dello smart working per i lavoratori fragili, pur se assoggettato ad uno dei 44 rilievi formulati dalla Ragioneria dello Stato. Da quando ha ripreso a circolare anche da noi la paura di una ripresa dei contagi e il rischio di nuove varianti, si alternano in TV esperti che raccomandano la 4° e finanche la 5° dose per i soggetti fragili, l’uso delle mascherine e tutte le cautele del caso, implementate dalla concomitanza dell’influenza che può creare un mix virale pericoloso: raccomandazioni encomiabili.
Si batte il tasto delle precauzioni che fragili, defedati, immunodepressi e anziani devono assumere attraverso una preventiva e accorta profilassi ma nello stesso tempo si tergiversa su quali tutele debbano essere assunte a protezione dei lavoratori certificati fragili e inidonei al leggi tutto
Nel 50° della prima legge sulla “obiezione di coscienza”
Pur stabilito nella nostra Costituzione, all’articolo 11, il “ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…”, per decenni non è stata evitata la penalizzazione della libertà di coscienza nel rispondere alla coscrizione militare obbligatoria. Infatti, la prima norma che inizia a disciplinare formalmente l'obiezione di coscienza risale al 15 dicembre 1972 con la legge n. 772.
Si dovrà attendere il D.P.R. del 28 novembre 1977 n. 1139 per ottenere le "norme di attuazione della legge 15 dicembre 1972, n. 772, sul riconoscimento dell'obiezione di coscienza".
In sostanza, agli obiettori viene riconosciuta la facoltà di optare per il servizio civile, però della maggior durata di otto mesi in aggiunta al normale periodo del servizio militare. La norma fu, però, dichiarata incostituzionale dalla Consulta il 19 luglio del 1989: “…una sanzione conseguente ad una particolare espressione della persona, nel più aperto contrasto sia con il principio di eguaglianza che con il diritto di libera manifestazione del pensiero, dando vita ad un'ingiustificata valutazione deteriore delle due forme di servizio alternativo a quello armato”.
Bisognerà, ancora, attendere l’8 luglio del 1998 per ottenere pienamente il diritto all'obiezione di coscienza non come beneficio concesso, ma come diritto ad “essere contrari all’uso personale delle armi”. leggi tutto