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Censimento ed evidenze che irrompono nello scenario sociale
In questi giorni giunge ai cittadini il questionario di rilevazione del Censimento ISTAT.
L'Istat ha una tradizione di serietà e autorevolezza istituzionale veramente esemplare, i dati statistici che raccoglie ed elabora sono fondamentali per fotografare la realtà del Paese. In passato, ho recensito diverse Ricerche dell'Istituto, quando era presieduto dal Prof Giancarlo Blangiardo, illustre demografo con cui ho avuto l'onore di collaborare sui temi delle problematiche minorili.
Ricordo ad esempio che il termine “culle vuote” fu coniato in una indagine dell’Istat, così come fu esemplare il saggio sul tema della sostenibilità generazionale a cura dei Prof. Raitano e Sgritta della Sapienza di Roma, elaborato per l’Istituto con sede in Via Cesare Balbo a Roma.
Noto con piacere che la guida attuale dell'Istituto di statistica conserva e valorizza il prestigio conservato nel tempo.
L'Italia di oggi è una realtà in continua evoluzione, scorrendo le domande poste ai cittadini trovo che sia irrilevante persino ai fini statistici sapere se tengo l'auto nel box o fuori, o se la mia casa è dotata di impianto di aria condizionata.
Ci sono fenomeni sociali che irrompono nella nostra quotidianità e incidono nella nostra vita in modo più rilevante. Forse non è compito dell'ISTAT accertarli e analizzarli ma faccio leggi tutto
Il Nobel per l'I.A. a Geoffrey Hinton fa riflettere
Più volte mi sono occupato di Geoffrey Hinton e del suo approccio al tema dell’intelligenza artificiale fino ad esserne considerato uno dei padri fondatori, della sua carriera in GOOGLE di cui è stato per dieci anni eminenza grigia e portavoce: ricordo di averlo citato ad esempio in relazione al tema della realtà aumentata e delle strade aperte dal Metaverso, in alcuni scambi epistolari con il Prof. Vittorino Andreoli, comprese le recensioni dei suoi libri più recenti. Entrambi avvertivamo il pericolo di una concezione pervasiva e totalizzante dell’intelligenza artificiale e dei suoi cascami ideologici, fino a rischiare di perdere nei ragionamenti e nei comportamenti derivanti, il concetto di “normalità”.
Insieme a queste deduzioni si avvertiva di converso la necessità di ripristinare i limiti necessari per evitare uno stravolgimento negli stili di vita e il timore che le azioni umane fossero condizionate dalla tecnologia e dal mondo virtuale fino a perdere il senso dell’etica condivisa. Geoffrey Hinton aveva offerto spunti di riflessioni importanti per la sua esperienza e per l’autorevolezza del suo carisma, consolidato nel periodo di permanenza nell’azienda leader dei motori di ricerca.
Debbo ammettere di essere rimasto affascinato dalla sua personalità, dalla sua penetrante intelligenza, dal suo equilibrio che ha saputo leggi tutto
Quando contavano quei pochi insegnamenti appresi in famiglia
Ho un lontano ricordo di quando – in una pausa lavorativa (il mio ufficio era a due passi dal Duomo di Milano) – aggirandomi tra tavoli e scaffali al primo piano della libreria Rizzoli in Galleria, ebbi la fortuna di incrociare Enzo Biagi, che a pochi metri da quella esposizione aveva un suo ufficio (che chiamava ‘la bottega’). Grazie all’intercessione della sua segretaria signora Pierangela riuscii a farmi ricevere e a intrattenermi con lui una mezz’ora, conversando sui temi dei suoi articoli e dei suoi libri. Ero sorpreso io stesso dalla sua ospitalità e ‘molti anni dopo’ (come scriverebbe Garcia Marquez), ricordando quel primo incontro con il famoso giornalista e intervistando poi Rita Levi Montalcini, Ettore Scola, Pupi Avati, Giulio Andreotti, Milva Biolcati, Alda Merini, il card. Carlo M. Martini, il suo “amico speciale” card. Ersilio Tonini e altri testimoni del nostro tempo mi radicai in un convincimento che non ho più abbandonato: i veri ‘grandi’ sono persone semplici perché ti mettono a tuo agio e si fanno capire, fino a scambiarsi le reciproche inadeguatezze come mi ha insegnato ‘Pupi’. Durante quella piacevole conversazione, chiedendo a Biagi che cosa aveva conservato tra i suoi ricordi degli incontri con i potenti della Terra, leggi tutto
La sanità e la scuola, due istituzioni prese a schiaffi
Mettiamoci per un attimo nei panni di medici, infermieri e insegnanti che svolgono la loro professione nel servizio pubblico: da tempo molti di loro, malcapitati per la legge dei grandi numeri - oggi a te domani a me, nessuno ne è potenzialmente escluso - sono fatti oggetto di aggressioni da parte dell’utenza di cui si occupano. Alunni o genitori che mettono le mani addosso ai docenti per un rimprovero, un cellulare ritirato, una nota sul registro, un voto, per non parlare di sospensioni o bocciature. Addirittura casi di armi portate in aula, coltelli e pistole a pallini: si aggredisce o si spara direttamente in classe o si avvertono i familiari a casa o sul lavoro dell’ingiustizia subita e li si aizzano affinché si precipitino a scuola e la lezione la impartiscano loro agli insegnanti, pelo e contropelo senza ritegno e senza riguardo. Gli episodi di bullismo tra alunni ormai non si contano più, sono da tempo stati derubricati ad intemperanze verso le quali si deve chiudere un occhio. Il recente provvedimento voluto dal Ministro Valditara vuole mettere dei paletti e introdurre norme severe nei comportamenti degli alunni e nella loro valutazione, a cominciare dal 5 in condotta che apre le porte alla bocciatura, oltre leggi tutto
Il carcere come luogo di espiazione della pena e di possibile redenzione
Quando si fa ingresso in un carcere per interrogare o meglio – ascoltare – una persona che vi si trova rinchiusa, si è come sopraffatti da mille emozioni, che vanno oltre il ruolo, il procedimento, l’assolvimento di un incarico di giustizia, gli interrogativi che precedono il colloquio e che dovranno essere verbalizzati nel modo più testuale e terzo possibile. “È armato, dottore?” è la prima domanda che viene posta nell’astanteria dopo il riconoscimento di rito. Per uno che si spaventava da bambino ad usare le pistole ad acqua la domanda è persino imbarazzante, anche pur comprendendone le ragioni. Se ti chiudono in una cella dove riceverai un detenuto è fondamentale entrare privi di armi, la vigilanza è strettissima ma tutto potrebbe accadere: da questo contesto di interlocuzione si cominciano a comprendere le ragioni della disperazione umana. La prima volta colpisce la suggestione ambientale, il trovarsi in un contesto dal quale si sa che si uscirà più tardi mentre tutto, intorno, ti parla di clausura, controllo, isolamento, privazione, tempo precluso ad ogni alito di speranza. Non si contano le porte che vengono aperte con mazzi di chiavi inusitate, ma si è colpiti – inevitabilmente – dal loro rumore quando ti si chiudono alle spalle: un rumore metallico inconfondibile, che fuori di lì leggi tutto
Non è possibile vivere senza amore
Lo afferma in esordio come un assioma che poi non fatica a dimostrare il Prof Vittorino Andreoli, da profondo conoscitore dell’animo umano, dei suoi turbamenti e delle sue passioni: “non si può vivere senza amore”.
In un saggio articolato in dieci paragrafi la sua argomentazione si sviluppa con lineare epistemologia, toccando tutti gli aspetti che riguardano le relazioni d’amore, visitando con disinvoltura e capacità di persuasione dell’immaginifico destinatario della sua “lettera”, tutti i meandri in cui prende corpo e si sviluppa questa particolarissima relazione sentimentale: dall’attrazione, all’immaginazione, all’esperienza. Cioè partendo da un moto istintivo che spinge all’incontro con l’altro, alla sua elaborazione razionale ed emotiva fino a giungere alla realizzazione di un rapporto duale, fatto di corporeità e di intesa spirituale, eros e pathos.
E- come sommessamente racchiuso tra parentesi nel sottotitolo- spiega assai bene che in modi e forme diverse si tratta di uno stato emotivo che attraversa l’intera esistenza di ciascuno. Affermare che non si può fare a meno di amare significa sottolineare che sta qui – in tutte quelle che l’autore definisce le “liturgie” dell’amore - il significato più autentico dell’esistenza. Conosco Andreoli per essere il professionista che fa dell’umana comprensione un metodo e un fine delle sue ricerche leggi tutto
Estate, una breve girandola di illusioni, abitudini ed emozioni
Archiviamo un’estate densa e breve, infuocata e alluvionata, lungamente attesa e salutata senza postume nostalgie. Non una pausa dalle fatiche ma faticosa essa stessa, tra code e lavori in corso, sold out del turismo di massa, miscuglio etnico, chiassose kermesse musicali, solitudini siderali, abbandoni, rituali ripetitivi e stanchi e consumo di tutto: del suolo, dell’aria, dei risparmi, del tempo inutile, delle vacanze brevi per vivere e sopravvivere al resto dell’anno. Abbiamo avuto la stagione più calda di sempre, la settimana più rovente, il giorno (pare il 21 luglio) più bollente. Di tutto e di più: i piromani e gli incendi devastanti (questa gente meriterebbe l’ergastolo perché chi uccide la natura uccide l’umanità), i crolli degli edifici, l’esondazione dei fiumi, i tornadi e le trombe d’aria, le contese balneari, il ritorno del Covid accompagnato dal vaiolo delle scimmie, il bostrico che divora gli alberi in montagna e il granchio blu con il vermocane che impestano i mari. La Foresta Amazzonica, polmone del pianeta, che fornisce il 20% dell’ossigeno che ci è necessario per respirare, quest’anno ha subìto un’impennata del 98% di incendi rispetto all’estate del 2023: una cifra da capogiro. Il cambiamento climatico l’ha fatta da padrone, dallo scioglimento dei ghiacciai alle tempeste d’acqua, alla leggi tutto
Quando il mobbing lavorativo diventa stalking
La recentissima Sentenza della terza sezione penale della Corte di Cassazione n° 32770 del 21 agosto 2024 rappresenta un importante punto di svolta nella considerazione del mobbing lavorativo – quel comportamento che si estrinseca attraverso reiterate azioni vessatorie nei confronti di un lavoratore, deliberatamente messe in atto allo scopo di umiliarlo, emarginarlo, compromettere la sua integrità psico-fisica e persino costringerlo ad abbandonare il posto di lavoro o ad estrometterlo dallo stesso, solitamente generate in senso deteriore e fuorviante da un rapporto di sovraordinazione gerarchica (ma anche tra pari, il cd. ‘mobbing orizzontale’) che, ove ripetuto assumendo sembianze sistematiche, finalizzate e persecutorie, può essere assimilato al reato penale di stalking, ai sensi degli artt. 572, 610 e 612 bis del c.p.
Non sono infrequenti le situazioni lavorative – solitamente addebitabili al datore di lavoro – nelle quali il dipendente è fatto oggetto di trattamenti umilianti, offensivi, lesivi della sua dignità personale e professionale, esplicitando un accanimento nei suoi confronti, che sovente viene emarginato o escluso da comunicazioni o applicazione di norme che lo riguardano e persino da attività lavorative che potrebbe normalmente svolgere così come – di converso – attraverso l’assegnazione di compiti faticosi o umilianti, fino ad imporre in modo unilaterale e non concordato condizioni personali di lavoro, allo scopo di creare
Si vocifera
I toni miti non sembrano appartenere alle consuetudini comunicative del nostro tempo.
Difficile trovare consensi parlando sottovoce: le ragioni si conquistano con modi sovrastanti, vince l’effetto domino, non ci si può sottrarre alla gratificante soddisfazione dell’essere i depositari dell’ultima battuta.
Si parla, ci si scambiano idee e opinioni, si partecipa più o meno convintamene a questo straordinario palcoscenico planetario della recita a soggetto, dove ormai nessun contatto ci è precluso.
Si pensa, si parla, si dice: ma si sa anche ascoltare?
C’è una selezione naturale nelle scelte di quello che si ascolta, operata dalla nostra mente, dai nostri interessi e dalla nostra attenzione ma non sempre ci riesce di escludere quello che vorremmo restasse fuori.
Viviamo infatti nel magma indistinto della comunicazione al punto che ci riesce difficile separare la realtà dalla sua rappresentazione.
In una società definita complessa, senza centro e senza periferie, finisce per essere vero il tutto ma anche il suo contrario, prevalgono sempre i punti di vista, la soggettività.
Siamo solisti che ambiscono di appartenere al coro ma abbiamo la velleità di pensare che il consenso è meglio acquisirlo partendo dalle nostre personali valutazioni.
Il vociare indistinto che ci circonda finisce col diventare un limbo di soggettività. leggi tutto
Mordere il cielo
Per capire la metafora con cui Paolo Crepet ha intitolato il libro bisogna cogliere e spiegare le ragioni di quelle contraddizioni esistenziali a cui abbiamo dato il nome di ‘complessità’ per connotare il presente: un limbo indeterminato che contiene il tutto e il suo contrario, dal negazionismo, all’indifferenza, dalle incertezze, alle paure, al rancore, all’ignavia che ci rendono isolati e simili alle monadi di leibniziana memoria. L’omologazione culturale spinge verso i luoghi comuni: è più facile usare il pensiero pensato da altri che fare appello alla ragionevolezza e al pensiero pensante, dovrebbe essere questo il tabernacolo che racchiude le nostre irripetibili identità ma risulta più facile affidarsi alle idee e ai modelli già in circolazione. Questo risparmio di fatica può costarci una involuzione irreversibile. Sarà un refrain ricorrente ma è indubbio che l’utilizzo sempre più intensivo delle tecnologie ha provocato una sorta di anestesia dell’anima e della mente mentre dai codici semantici, simbolici ed espressivi utili per comunicare va gradatamente scomparendo l’alfabeto del cuore e dei sentimenti. Crepet non nega l’utilità del progresso scientifico ma ad una condizione: che sia sempre l’uomo ad impugnare il timone della vita e a orientarne la rotta. Osservando il futuro non è difficile preconizzare – ne aveva leggi tutto