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04 maggio 2024
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Le riforme della scuola comma 22

Paolo Pombeni - 09.05.2015
Manifestazione scuola

Molti ricordano il famoso paradosso inventato nel 1961 dal romanziere Joseph Heller in Catch 22, secondo cui un regolamento di guerra contemplava il seguente passaggio: “Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo”. E’ il classico esempio della decisione trappola.

Ebbene sembra che questo sia il prototipo che si deve applicare al dibattito sulla riforma della scuola. Da un lato infatti sembra ci sia una generale domanda di rimettere in sesto un sistema che fa acqua da quasi tutte le parti: docenti malpagati e frustrati, alunni che fanno fatica ad applicarsi, programmi farraginosi, edilizia scolastica poco decorosa e avanti con l’elenco. Dal lato opposto ogni volta che si è provato a riformare, gli esiti non sono stati esattamente brillanti: aggravio del burocratismo, soluzioni cervellotiche, richiesta di assunzione di compiti impossibili.

Il risultato è che nel campo della scuola domina la più grande schizofrenia immaginabile. Mancano i centri dirigenti, perché una “catena di comando” nelle scuole non esiste più da tempo, sicché non si sa chi possa assumersi l’onere di guidare la barca. Non appena però, come nel caso della riforma progettata, si pensa di restaurarla assegnando poteri ai dirigenti arrivano le opposizioni radicali. Naturalmente non è difficile ammettere che una quota non piccola dei dirigenti che dovrebbero prendersi quegli oneri non ne sono capaci e non ne hanno la qualificazione, sicché c’è da preoccuparsi a dar loro molto potere. Ma anziché decidere che la soluzione sarebbe di sostituire gli inetti o inefficienti con personale all’altezza, si opta per tornare al consociativismo: si decida collettivamente con gli insegnanti. Naturalmente il famoso marziano paracadutato in missione sulla terra si chiede perché mai un collettivo di persone che mediamente non sono state in grado di far funzionare bene le loro scuole dovrebbero di punto in bianco autopunirsi e magari riconoscere che solo alcuni di loro meritano un riconoscimento per essere stati “diversi in positivo” dai colleghi.

E’ solo un esempio di insensatezze nell’affrontare i temi della riforma della scuola. Naturalmente sempre il solito marziano sentendo le invettive contro la scuola privata ed a difesa della scuola pubblica si sarà immaginato di essere in un paese dove la scuola privata è ampiamente diffusa e vanta livelli di prestigio altissimi. Con una piccola inchiesta avrà scoperto che le scuole private sono una minoranza assoluta, che pochissime hanno uno standard culturale veramente  elevato e quasi nessuna ha insegnanti veramente competitivi con i migliori insegnanti della scuola pubblica. Avrà concluso, a ragione, che è il solito ideologismo datato dai cascami del mitico Sessantotto, in cui non manca mai l’intellettuale di passaggio che sentenzia che così finiremo “come in America”.

Non è che tutta la riforma proposta sia convincente. Tutt’altro. Per dire questa ansia di inserire sempre materie nuove, pur importanti come l’educazione musicale, senza rivedere lo spazio di quelle esistenti è un esempio di ideologismo sul fronte dei riformatori. Gli studenti oggi sono in teoria schiacciati sotto programmi iperbolici (che peraltro non vengono mai completamente e seriamente svolti), per cui maturano un senso di repulsione verso carichi che non riescono a sopportare e di cui capiscono poco il senso (e che finiscono col rifiutare semplicemente non applicandosi senza che questo comporti conseguenze particolari).

Come poi si troveranno i mezzi e gli strumenti per realizzare quegli ampliamenti di materie non viene previsto. Tanto per ragionare, per insegnare decentemente educazione musicale occorrerebbero aule attrezzate per l’ascolto, strumenti di analisi e scomposizione dei brani, magari opportunità di fare un po’ di pratica strumentale. Tutta roba che costa, che presume l’allestimento di un nuovo corpo docente all’altezza del compito e che non si vede chi provvederà a fornire (altrimenti sarà la solita storiella di un po’ di flauto dolce e qualche coretto ad uso semi-ricreativo).

Questo vale poi per tanti altri casi. Sempre per elencare: chi si occupa seriamente del problema dell’educazione linguistica, sia sul versante della lingua italiana (la cui conoscenza presso i ragazzi è in calo, senza parlare del problema della formazione dei “nuovi italiani” immigrati), sia su quello dell’apprendimento delle lingue straniere (terreno su cui siamo poco competitivi nonostante il fatto che purtroppo la nostra lingua nazionale sia insufficiente per muoversi nel mondo d’oggi).

Adesso il governo ha detto che negozierà una riforma che assicura non essere blindata. L’annuncio di nuovo non è di quelli da accogliere con troppa gioia. Negoziare significa non confrontarsi con progetti seri e innovativi (un’operazione che, ci si perdoni, si sarebbe già dovuta fare), ma accettare qualche tavolo coi sindacati, dare un po’ di spazio a parlamentari che per fini di posizionamento interno ai partiti devono fare i lobbisti di questo o di quello e poco più.

Il tutto in un contesto internazionale in cui molti paesi puntano le proprie carte migliori nel settore dell’istruzione, perché solo essa può garantire il futuro in una società in cui all’Occidente è riservato il destino di essere la “società della conoscenza” se vuol continuare ad avere una posizione spendibile nel nuovo sistema globale.