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04 maggio 2024
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Perché reinvestire nella famiglia

Ugo Rossi * - 29.01.2015
La famiglia

La famiglia, e i suoi significati affettivi e solidali, è un cardine primario della nostra identità nazionale. Significati che rimangono forti nel “sentire collettivo”, ma che mostrano preoccupanti segni di cedimento se guardiamo ai numeri.

Si sono spese molte parole, analisi, studi sulla secolarizzazione della società occidentale e di quella italiana in particolare, e non c’è bisogno di ripercorrere quelle analisi e valutazioni. Qui si vuole fare un’altra operazione: valutare come nel corso del tempo si sia indebolita la famiglia proprio come elemento fondante dell’identità italiana.

Alcuni dati statistici sono necessari, non tanto per descrivere un percorso che è nella mente di tutti, ma per sottolineare la velocità con cui è avvenuto e l’intensità che ha fatto registrare. Forse il dato più impressionante, al di là di ogni valutazione ideologica sul valore della famiglia e del matrimonio, è la crescita esponenziale del modello opposto alla famiglia, cioè il numero delle persone sole. Nel 1983 coloro che dal punto di vista statistico erano classificati come “persone sole non vedove” rappresentavano il 5,3 % della popolazione nazionale; in meno di dieci anni, nel 1990, sono quasi raddoppiati, arrivando al 9,3 %. E sono andati poi crescendo fino a raggiungere la cifra del 16,2 % nel 2009. Oggi, alle soglie del 2015, se la tendenza dovesse permanere quella degli ultimi anni, avremmo circa un italiano su cinque che vive da solo. Un dato incredibile in un Paese che ha fatto delle famiglie larghe quasi la sua connotazione identitaria.

L’indebolimento della famiglia perciò avviene non tanto sul piano ideologico; certamente anche su quello, ma con dinamiche che rendono sempre più difficile la convivenza di più persone sotto lo stesso tetto.

Una domanda sorge inevitabile: è possibile, ha un senso, credere ancora nella famiglia?

Partiamo da una constatazione: gli Italiani hanno una cultura collettiva che, al di là di quel che dicono le statistiche, mette al centro la famiglia. È vero che sul piano materiale la famiglia si sta indebolendo, ma sul piano ideale, cioè dei riferimenti culturali e valoriali, tiene e tiene molto bene, pur con tutte le ipocrisie e gli adattamenti che ciascuno opera “in proprio”. Questo perché la famiglia si configura come qualcosa di connaturato con lo sviluppo dell’individuo. Non c’è sviluppo della persona né dell’individuo se non c’è famiglia. Se ci pensiamo, la famiglia è la realtà nella quale ciascuno di noi conosce l’affettività e le relazioni tra le persone. È il luogo nel quale si conosce anche la differenza fra i sessi e nel quale si affrontano i primi conflitti: ognuno di noi all’interno delle proprie famiglie, chi più chi meno, li ha vissuti. È il luogo dove si sviluppano i sentimenti, ma dove soprattutto si sperimentano in maniera molto chiara, senza doverli declinare più di tanto, i doveri e i diritti, a partire dalla solidarietà, che nella famiglia si impara e viene messa in pratica quotidianamente.

Per tali ragioni uno dei principali obbiettivi dell’azione pubblica, ovviamente non in via esclusiva, deve essere quello di offrire alla famiglia, in quanto punto di riferimento ideale, un supporto concreto, anche istituzionale, per ridare a questo nucleo importante della nostra convivenza la capacità di animare la società secondo principi di affettività, comunanza e solidarietà.

L’azione pubblica dovrebbe svilupparsi, in tal senso, sulla base di quattro obiettivi principali. Innanzitutto mettere in campo politiche familiari che non siano episodiche, ma durature nel tempo. Gli interventi isolati, anche se apparentemente incisivi, non sono in grado di supportare “un modo d’essere” che trova nella quotidianità, quindi nel tempo lungo, il suo stesso fondamento. In secondo luogo rendere dette politiche trasversali all'interno di tutti i settori della pubblica amministrazione, introducendo all'interno delle programmazioni e delle pianificazioni di ciascuno di essi il senso della famiglia come un valore di per sé. Il terzo obiettivo risiede nel pragmatismo, ossia affrontare il tema delle politiche familiari con un senso di realtà rispetto a quello che le famiglie sono oggi, cercando di dare risposte molto concrete. Infine dare piena rilevanza alla società civile e all'individuo, tenendo conto che le famiglie e le associazioni delle famiglie arrivano assolutamente prima rispetto alla pubblica amministrazione e, pertanto, la loro energia vitale deve essere adeguatamente riconosciuta e sostenuta.

Va anche tenuto conto che la trasversalità delle politiche familiari costituisce un appello forte a tutto il mondo dell'economia, delle imprese e delle nostre aziende. È soprattutto un appello che va nella direzione di lavorare tutti insieme per sviluppare una cultura della conciliazione fra i tempi di lavoro e quelli della famiglia. Le società più sviluppate in Europa viaggiano sulla consapevolezza che questa cultura è importante per la competitività stessa delle imprese.

Se c'è un elemento di miglioramento a cui guardare rispetto al cammino fatto negli anni passati è proprio questo: riuscire a coinvolgere di più nelle politiche che pongono al centro la famiglia tutto il tessuto economico e imprenditoriale, perché la competitività territoriale passa anche dal riconoscere la famiglia, il suo grande valore. E se avremo lavoratori e lavoratrici che riescono a conciliare meglio i tempi di lavoro con quelli della famiglia, e più in genere della propria vita, avremo anche imprese più competitive.

 

 

 

 

* Presidente provincia Autonoma di Trento