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L’Europa e il monito di Napolitano

Paolo Pombeni - 25.10.2014
José Manuel Barroso

Non sappiamo se il contenzioso che sembra aprirsi fra Roma e Bruxelles sulla nostra legge di bilancio sarà proprio una tempesta in un bicchier d’acqua. Ieri sera sembrava già chiusa con un compromesso, ma vedremo.  Certamente è una mossa che mostra da un lato una struttura tecnocratica della UE piuttosto ottusa, e dall’altra un premier italiano abilissimo a cogliere in ogni occasione la palla al balzo per consolidare la sua presa sull’opinione pubblica.

Sul primo versante c’è da notare che, in un’Europa dove la stima verso la UE non è esattamente ai massimi, i suoi uffici e vertici dovrebbero andarci cauti nell’apparire ottusi censori delle sovranità nazionali. Non sappiamo se davvero Katainen e i suoi pensino di compiacere la Merkel con i loro rilievi, facciamo loro sommessamente notare che i più gelosi custodi delle esclusive sovranità nazionali perché derivanti da veri mandati “democratici” (che ai funzionari di Bruxelles mancano) sono i giudici della Corte Costituzionale tedesca. Ora è facile rilevare che sulla politica di bilancio nazionale le competenze dei parlamenti nazionali eletti sono più “esclusive” (se ci si passa il pasticcio linguistico) di quelle dei ragionieri della Commissione (chiedano parere a Karlsruhe se hanno dubbi …).

Certo ci sono i trattati, i vincoli accettati da tutti, ma ci sono anche le situazioni storiche concrete e la necessità di poter contare sulla legittimazione popolare. Il presidente Barroso conclude non brillantemente una presidenza che brillante non è mai stata e dunque era pretendere troppo che si accorgesse del mutato clima. Sembra che Junker ne sia consapevole e fra sei giorni vedremo se è vero. Per ora abbiamo visto un Katainen assai più abile del suo attuale presidente e dunque vicino a quello futuro nello smussare gli angoli, speriamo consapevole del fatto che sfasciare l’Unione per affermare i sacri principi dell’austerità economica non è una gran strategia.

Di fatto, a stare a quel che il nostro premier ha dichiarato dopo il vertice di ieri, si sarebbe già trovato un compromesso per dare il via libera all’Italia.

Renzi è fortunato da questo punto di vista, perché può contare non solo sulla Francia che ha problemi anche più pesanti dei nostri nel momento contingente, ma soprattutto sulla Gran Bretagna che farà fuoco e fiamme dopo che si trova a dover dare qualcosa di più di 2 miliardi di euro alle spese della UE avendo alle spalle un paese in cui l’antieuropeismo cresce a ritmi sostenuti. Del resto anche la Germania, come ha mostrato Gabriele D’Ottavio sulle nostre pagine, deve fare i conti col suo antieuropeismo interno, magari di tipo diverso, ma pur sempre tale.

Dunque il premier italiano ha capito l’antifona, cioè che da un lato la attuale Commissione faceva tattica senza avere più fiato e che dall’altro neppure la nuova troverà molte sponde nei governi per imporsi come super-potere. Così ha risposto alzando i toni ed accarezzando i moti antieuropeisti che in questo paese certo non mancano e che sono abbastanza trasversali. Se, come è probabile, alla fine spunterà un aggiustamento favorevole come quello che ha annunciato, apparirà come un abile statista; nel caso, peraltro altamente improbabile, che a Bruxelles nei prossimi giorni siano così ottusi da volere lo scontro, verrà santificato come la Giovanna d’Arco italiana del XXI secolo.

E’ molto significativo che il presidente della repubblica abbia fatto asse con lui. Napolitano è un europeista convinto, nonché un ottimo conoscitore dei meccanismi di Bruxelles, e non si sarebbe affrettato a firmare la manovra e ad additarne l’altro ieri i principi portanti come fondamentali se non fosse veramente convinto che questa è la strada da percorrere.

Di più. Il suo pronunciamento contro le difese preconcette del passato, contro i lobbismi di varia natura fatto alla quasi vigilia della manifestazione della CGIL a Roma è particolarmente significativo. Il presidente denuncia con vigore il rischio palude che ci sovrasta a causa di queste chiusure corporative, così come il parallelo rischio che l’animo popolare sia sempre più esacerbato nel vedere una politica che blocca uno slancio riformatore per questioni di lotte intestine alle classi dirigenti (incluse le varie burocrazie).

Al Quirinale hanno strumenti abbastanza sofisticati di rilievo del sentimento pubblico, così come hanno occhi capaci di cogliere le continue torsioni e i sordi rancori che percorrono una classe politica disorientata nel misurarsi con un futuro che fatica a decifrare. Ovviamente l’età non porta certo Napolitano ad entusiasmarsi per le esuberanze senza costrutto di cui è ricca la platea dei renziani, nativi o convertiti che siano. Sa però che l’Italia non può fallire in questa prova che la costringe a rimettere mano al suo “sistema”, così come è venuto cristallizzandosi nell’ultimo quarantennio.

Il problema della nostra credibilità internazionale diventa sempre più pressante. Non è solo questione di non perdere la possibilità che si trovino delle solidarietà esterne disposte ad entrare in gioco nella nostra crisi aiutandoci a superarla (e già non è cosa di poco conto), ma ormai è anche questione di conservare il peso necessario per esercitare un ruolo (in altri tempi si sarebbe detto una “sfera di sovranità”) nel sistema europeo ed internazionale in cui ci siamo, con fatica, conquistati un posto dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale.