Ultimo Aggiornamento:
18 maggio 2024
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Una politica senza memoria

Paolo Pombeni - 17.01.2024
Iva e Imu

Mentre le crisi nel mondo diventano sempre più incombenti (dalla guerra fra Israele e Hamas con tutti i vari coinvolgimenti, alla situazione dell’Ucraina dove quel paese rischia di non avere più gli strumenti per contenere l’espansionismo russo), la politica italiana è ingessata su questioni veramente di poco conto: come spartirsi le candidature (a destra come a sinistra), se avere o no il grande duello Meloni-Schlein, come continuare nel giochino della contrapposizione fra chi si dichiara antifascista e chi evade la domanda giusto per non dare soddisfazione all’avversario.

Quest’ultima rappresentazione di maniera è fatta passare per una questione di mantenimento della memoria. Sarà, ma temiamo che questo paese la memoria corta ce l’abbia strutturalmente e non solo per eventi che peraltro hanno già avuto la loro condanna definitiva dalla storia. Ci colpisce molto di più che non si riesca ad affrontare la memoria delle radici di molti fallimenti con cui dobbiamo fare i conti.

Tanto per dire, non si capisce perché dobbiamo spendere energie in una inchiesta parlamentare sulla gestione dell’epidemia di Covid-19 (o meglio lo capiamo benissimo: solo per farne una zuffa politica senza capo né coda), mentre su una autentica tragedia che incombe sull’equilibrio del nostro paese, come è quella del futuro dell’acciaieria ex Ilva non ci sia nessuna voglia di fare chiarezza. Intendiamoci: non possiamo considerare tale il rimpallarsi di accuse reciproche fra più o meno tutte le forze politiche quando nessuno vuole scavare a fondo sulle ragioni che ci stanno portando al crack di un sistema sia importante per la nostra economia internazionale, sia importante soprattutto per il futuro di migliaia di lavoratori che hanno scarse possibilità di reimpiego.

Non mancano buone analisi della situazione (Giuliano Cazzola su “Adapt” on line, Marco Bentivogli sul “Foglio”), ma di un aperto dibattito su questo tema c’è insufficiente presenza sui media e quasi altrettanto nel mondo politico. La ragione è che l’analisi su come si è arrivati alla situazione attuale chiama in causa troppe responsabilità: l’imperizia di una classe politica tanto di destra come di sinistra nell’affrontare per tempo una situazione che presentava criticità, l’aver lasciato in mano agli umori populisti il dibattito sulla crisi dell’Ilva, la voglia di protagonismo di una magistratura che pensava di farsi dei meriti intervenendo con strumenti inadeguati, speculazioni di sindacati, politici locali e giornalisti vari.

Adesso il risultato è sotto gli occhi di tutti. Una soluzione rabberciata chiamando in campo un grande investitore internazionale che ha furbescamente accettato impegni di difficile attuazione in cambio di favori vari si è rivelata un boomerang, tanto che adesso lo stato italiano dovrebbe pagarlo più o meno profumatamente perché si tolga dai piedi e vada, guarda un po’, a fare in Francia, con sostegno di quel governo, ciò che avrebbe dovuto fare in Italia.

Mettere in fila le molte sciocchezze dette nei lunghi anni di crisi (ricordiamo che qualcuno aveva proposto di riconvertire la fabbrica in un vivaio di frutti di mare …), le intemerate di politici vari, i quali peraltro si sono costruiti così posizioni di potere nei loro partiti, le soluzioni fantasiose elaborate da gente che non aveva alcuna idea di cosa fosse un ciclo produttivo complesso come la produzione dell’acciaio, aiuterebbe a capire cosa si deve emarginare dal nostro modo di fare politica.

È comprensibile che questo in definitiva non piaccia a nessuno dei partiti e delle varie istituzioni che sono implicate in questa vicenda, perché porterebbe a constatare che il difetto che ha accomunato tutti è una grande mancanza di cultura politica, amministrativa, giuridica. Tutto è stato sacrificato all’imperativo di cavalcare i vari populismi, ma se lo si ammettesse si sarebbe costretti se non proprio a lasciare da parte la loro continua riproposizione, almeno a limitarla in maniera significativa.

Il problema naturalmente è che come ci si è comportati nella crisi dell’Ilva si è fatto in decine di altri casi: la gestione delle fragilità del nostro territorio, pagate a caro prezzo con alluvioni e terremoti; la situazione della sanità pubblica che non riesce più ad erogare un servizio veramente universale per cui i deboli finiscono privi di tutele; il sistema dell’amministrazione pubblica costantemente a rischio di infiltrazioni corruttive senza che il tema si affronti lasciando da parte le illusioni del giustizialismo senza regole che si è già dimostrato inefficace.

La politica italiana ha urgente bisogno di produrre una revisione del funzionamento delle numerose articolazioni dell’intervento pubblico, sia in termini di regolamentazione efficace, sia in termini di revisione dei modi di intervento sin qui usati. Se non si metterà mano a quest’opera si finirà per incentivare due fenomeni piuttosto pericolosi. Il primo è l’illusione che la soluzione sia nell’avocare la gestione dell’intervento pubblico al localismo (regionale e municipale), con qualche scarso vantaggio per chi è messo meglio, con un grande disastro per chi, per le ragioni più disparate, non ha capacità sufficienti per farsi carico della disintegrazione del sistema nazionale. Sta entrando in una fase ulteriore il dibattito sulle cosiddette autonomie differenziate e sarebbe bene tenerne conto.

Il secondo fenomeno riguarda la crescita impetuosa dell’astensionismo, che non è solo un banale fenomeno elettorale, ma che è il generalizzarsi del rifiuto di “occuparsi di politica” convinti che tanto sia tempo perso. Inutile sbandierare memorie anti dittatoriali, se poi non si capisce che l’espandersi della fuga dalla partecipazione alla vita politica da parte dei cittadini lascia aperta la strada all’affermarsi di un autoritarismo che può prendere forme diverse, ma che comunque dalla democrazia ci allontanerà.

Le memorie sulla concretezza delle nostre debolezze, sulle loro radici, debbono spingerci ad affrontare la crisi che stiamo vivendo, senza pensare che lo sventolio di qualche bandierina possa farci uscire dalle difficoltà di una fase di grandi trasformazioni.