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Un occhio a Strasburgo … e uno a Parigi

Michele Marchi - 30.03.2019
La France Insoumise

Sono numerose le ragioni che rendono il voto del maggio prossimo per il Parlamento europeo uno spartiacque decisivo per il futuro del processo di integrazione europea, a quaranta anni dal primo voto diretto.  Se i sondaggi dovessero essere confermati non sarebbe solo l’avanzata dei cosiddetti sovranisti la vera notizia, quanto la fine del controllo dell’emiciclo europeo da parte del duopolio popolari/socialisti, con l’aggiunta più o meno decisiva dei liberali. In un quadro generale incerto, il voto francese sarà, insieme a quello italiano e tedesco (ma anche ungherese e polacco), tra quelli da osservare con attenzione. Macron si è speso per una rinnovata centralità transalpina nel contesto europeo. Complice anche la presenza dell’ex FN di Marine Le Pen, oggi ribattezzato Rassemblement National (primo partito di Francia alle europee del 2014), è stato l’inquilino dell’Eliseo ad accreditare l’immagine del voto come una sorta di “referendum” nel quale scegliere “più Europa” o “meno Europa”. Guardato attraverso “lenti francesi”, il voto sarà un referendum prima di tutto su Macron, un test per verificare se dopo i mesi del “Giove” all’Eliseo e quelli della discesa agli inferi nel gradimento popolare, culminati nella fase più acuta della crisi dei gilets jaunes, la sua risalita sia reale. Ma il voto europeo sarà anche importante per valutare se i due partiti architrave della Quinta Repubblica, spazzati via dal “ciclone Macron” nel 2017, si siano riorganizzati e possano riproporre una qualche forma di bipolarismo destra-sinistra. E di test si tratterà anche per la nuova creatura di Marine Le Pen, che deve difendere il primato storico del 2014. Non poco infine si gioca anche quella sinistra radicale della France Insoumise che, oltre la popolarità insperata di Mélenchon, fatica a trovare una chiara identità. Non bisogna infine dimenticare che con il voto di maggio si apre in Francia una lunga sequenza di consultazioni che proseguirà con le municipali del 2020, le dipartimentali e le regionali del 2021 e si concluderà con le presidenziali e le legislative del 2022. Insomma in ballo il 26 maggio prossimo vi è una importante legittimità europea, ma un altrettanto decisivo primato interno per il presidente Macron così come per le forze politiche che al suo dominio vogliono opporsi.

I sondaggi qualche indicazione la stanno fornendo. Si parla con insistenza di un testa a testa per il primato tra République en Marche e Rassemblement National, una sorta di riproduzione del ballottaggio del 2017. LREM è stimata al 24% e il RN al 22%. Molto staccata, seppur in ripresa, la destra post-gollista (13%), così come i Verdi e la France Insoumise (7,5% e 7%). A stupire è la pessima proiezione del PS che si fermerebbe al 5%. Interessante sarà nei prossimi giorni vedere l’effetto della scelta di condividere la lista con il nuovo movimento (o club di riflessione) guidato da Raphaël Glucksmann, Place publique. Proprio tale riferimento ci permette di allargare lo sguardo sulle scelte dei capilista.

A colpire prima di tutto è proprio il PS. Dopo il disastroso risultato del primo turno presidenziale del 2017, il PS del nuovo segretario Olivier Faure non solo è fermo ad un misero 5%, ma, per la prima volta dal 1979, non presenta una sua lista autonoma e si è affidato ad un non iscritto al partito per guidarla. La lista, in base agli accordi stipulati, avrà metà dei candidati scelti dal PS e metà tra gli iscritti a Place publique. Peraltro l’operazione ha visto il PS a traino. Infatti dopo l’uscita del suo ultimo pamphlet De l’impasse individualiste au reveil citoyen, il brillante intellettuale, figlio di André Glucksmann, non ha esitato sia a collocare al centro del dibattito molti dei temi a lui più cari (democrazia diretta, ecologia politica, servizio pubblico e reddito minimo universale), sia a proporre un’alleanza oltre che ai socialisti, anche a verdi e all’ex candidato socialista alle presidenziali, Benoit Hamon, con questi ultimi due che hanno rigettato la proposta. Allo stato attuale il PS non sembra ancora uscito dalla lunga crisi ideologica ed organizzativa così evidente alle passate presidenziali.

Un secondo elemento interessante accomuna poi le liste de LR, del RN e della FI. In nessuno dei tre casi troviamo a guidare la campagna per il voto europeo un uomo di punta dei rispettivi partiti. La scelta è caduta su personaggi giovani, di recente ingresso nei partiti o addirittura con formazioni e carriere totalmente esterne. Quest’ultimo è il caso di Manon Aubry, capolista della France Insoumise, non ancora trentenne, studi a Sciences Po e alla Columbia, militanza politica nel sindacato studentesco e poi un incarico prestigioso nell’organizzazione non profit Oxfam, con una specializzazione nel settore giustizia sociale e lotta alle disuguaglianze globali. Anche il giovane (non ancora trentaquattro anni) insegnante di filosofia e brillante polemista François-Xavier Bellamy, capolista de LR, non è certo assimilabile al politico di professione. È vero che sin dal 2011 si impegna attivamente a livello amministrativo nel suo comune di Versailles, ma deve il suo successo mediatico e la conseguente candidatura agli interventi sulle pagine culturali e di opinioni di Le Figaro e forse ancor di più alla militanza nel movimento conservatore Sens commun, formatosi nei mesi caldi della Manif pour Tous (in opposizione al mariage pour tous voluto dall’allora ministra di Hollande Christiane Taubira). Ancora una volta una formazione non interna alle gerarchie del partito post-gollista.

Un prodotto interno al FN lo è al contrario Jordan Bardella, il capolista scelto da Marine Le Pen per il battesimo elettorale del RN. A colpire è la giovanissima età di Bardella, ventitre anni, e l’assenza di esperienza politica, se non una militanza nei movimenti studenteschi e poi locali del FN in Seine-Saint Denis. Unico merito per Bardella sembra essere proprio la militanza precoce, con la prima tessera del FN a 16 anni. Bardella è il simbolo di uno dei successi del frontismo di Marine, laddove il padre aveva fallito e cioè la conquista della fascia 18-24 anni.

L’ultima considerazione riguarda la scelta compiuta da LREM. La campagna è nelle mani del presidente, il quale ha fatto di tutto e presumibilmente continuerà nei prossimi due mesi a farlo, per accreditare l’immagine di Macron contro i populisti anti-europei, identificati nella triade Le Pen-Orban-Salvini. Dopo dibattiti e malumori interni, la scelta del capolista è ricaduta sull’opzione più scontata ma anche più ortodossa. Per guidare la lista si è optato per la oramai ex ministra per gli affari europei. Nathalie Loiseau non è certo una scelta mediatica. Ambasciatrice di formazione, ha svolto tutta la carriera nelle posizioni più rilevanti e delicate del Quai d’Orsay. E al ministero è stata a lungo la funzionaria di fiducia di Alain Juppé. Una tecnica, prestata alla politica, europeista, liberale e centrista. L’obiettivo è duplice: non oscurare il presidente in una campagna da condurre in prima persona e dall’altro lato togliere consensi sia a LR (che hanno scelto una candidatura piuttosto conservatrice), sia ai socialisti (che hanno optato per una candidatura che strizza l’occhio più al movimento ambientalista e ai delusi della FI). Tutto ciò basterà per accreditare l’europeismo di Macron? Tutto ciò sarà sufficiente per spingere una Francia arrabbiata e delusa massicciamente al voto?