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Segnali per l’Italia dai nostri confini?

Paolo Pombeni - 24.10.2018
SVP e Lega

In un momento difficile per la politica italiana, con il governo giallo-verde che mostra crepe e soprattutto scarsa lungimiranza e con il PD sempre più prigioniero dei personalismi di lotte intestine, fa notizia l’esito delle elezioni in Trentino-Alto Adige /Südtirol. Due provincie autonome e due parziali peculiarità fino a ieri: il Trentino con una maggioranza di governo di “centrosinistra” (spiegheremo fra un attimo le virgolette) che ha resistito lungo tutto il percorso del berlusconismo e del suo declino; il Sudtirolo con una maggioranza saldamente in mano al partito di raccolta della popolazione tedesca (SVP) che lasciava spazio solo per alleanze utili al suo rapporto con Roma.

Con le elezioni di domenica 21 ottobre il Trentino si è rivelato un convertito alla Lega e il Sudtirolo ha tolto alla SVP il controllo assoluto della politica provinciale, per di più facendo anche qui della Lega il secondo partito nella città che raccoglie la componente italiana per eccellenza, cioè Bolzano.

Vale davvero a spiegare tutto una assimilazione della Marca di confine ai trend della politica “italiana”? Senza negare che ovviamente ricadute ci siano state (i talk show li guardano anche da quelle parti), ci permettiamo di dubitare che il nocciolo della questione stia lì.

Cominciamo dal Trentino. Prima di tutto quella è una provincia che fino alla dissoluzione della prima repubblica era in mano alla DC come maggioranza. La presenza del PCI era scarsamente rilevante, mentre c’era una radicata tradizione socialista, ma minoritaria. Dopo la dissoluzione della DC la tradizione di governo che era legata a quel mondo è sopravvissuta, dando vita prima alla Margherita (qui antesignana di quella nazionale) e poi confluendo nelle varie peripezie dal PDS al PD. Era un mondo qui legato alla cultura della sinistra cattolica che ha espresso una classe amministrativa in buona parte di qualità, senza però essere in grado di uscire dalle secche che quel tipo di approccio comportava quando veniva ossificato dagli epigoni.

L’accordo di governo degli ultimi decenni col Partito Autonomista Trentino Tirolese (PATT) non gli ha dato più fiato di tanto. Quello che in origine era un partitello sostenuto dal revanchismo vagamente austriacante, era ormai da decenni diventato grazie alla partecipazione al potere un partito di partecipazione al governo delle risorse in nome dell’autonomismo. Nella sua alleanza col PD e col partitino messo frettolosamente in piedi dall’ex governatore Dellai, che voleva mantenere un suo profilo separato, aveva accettato che tutto si compendiasse nella dicitura di “centrosinistra autonomista”. Ma in realtà si era trattato sempre più di un puro accordo politico nel segno della gestione, neppure sempre tranquilla, delle opportunità, e anche delle difficoltà, derivanti dal controllo dei poteri provinciali.

L’errore fondamentale da parte di questa coalizione è stato presumere che bastasse questo per tenere insieme un elettorato vasto, nel momento in cui anche in Trentino si percepiva ormai chiaramente che i tempi stavano cambiando e che l’età dell’oro era a rischio esaurimento. La mancanza di un rinnovamento nella cultura politica, anzi in alcuni casi proprio la sua assenza, ha fatto sì che si perdesse la capacità di leadership: nessuno dei partiti della coalizione ha saputo creare un centro di elaborazione di pensiero e di analisi, qualche personalità all’altezza, senza che peraltro questa funzione potesse arrivare dai centri nazionali di riferimento la cui crisi è sotto gli occhi di tutti.

In questo contesto la Lega ha avuto tutto lo spazio per inserirsi nella crisi. Per quanto discutibile e rozza, l’analisi di Salvini a spiegazione dei mali del presente finisce per risultare più attraente della babele di intellettualismi alla moda di qualche esponente della sinistra e quanto a capacità amministrativa l’esempio che viene dalle regioni confinanti di Veneto e Lombardia tranquillizza un elettorato che non ama avventure (come del resto si vede dal limitato consenso che ricevono i Cinque Stelle).

Quanto al Sudtirolo il cuore della questione è ancora quello di una convivenza etnica che sta mutando pelle. Il ritorno delle pulsioni austriache ad inserirsi nelle vicende di quella provincia ha nociuto ad una SVP che aveva perfino provato a presentarsi come un polo che poteva servire persino quelli che potremmo ormai chiamare sudtirolesi di lingua italiana. Essa rimane certo forte perché tutto sommato è difficile immaginare un’altra forza che possa governare con pieno successo gli interessi della componente tedesca, ma vede erodersi un poco la sua presa, perché in fondo ci si rende conto che sarebbe anche possibile articolare quel compito su diverse componenti. E’ quanto spiega il successo del “Team Köllensperger”, divenuto secondo partito: un movimento tedesco (anche se teoricamente aperto agli italiani, non riesce ad avere sufficienti voti fra quella componente), di impronta moderata (e anche abbastanza sfumata), che mostra come ci sia voglia di un qualche contraltare alla SVP.

In questo contesto non dovrebbe meravigliare che gli “italiani” si siano buttati sul partito del sovranista Salvini, assai più che sui suoi uomini a Bolzano, colui che appare come deciso e capace di una azione di contenimento del ritorno delle tentazioni del tirolesismo vecchia maniera d’oltre confine. Alla SVP può anche non dispiacere troppo di poter disporre di un terreno locale di contrattazione con chi è al potere a Roma (anche per far dimenticare la pessima trovata di candidare la Boschi alle politiche), ma dovrebbe riflettere su quanto convenga riaprire le tensioni della convivenza: i partitelli tedeschi dell’autodeterminazione sono in calo, ma le trovate di Vienna sul doppio passaporto e quant’altro sono molto più destabilizzanti.

Insomma quel che succede ai confini dell’Italia è una realtà su cui sarebbe bene riflettere senza cavarsela con la solita storia del vento nazionale che è cambiato. C’è anche quello, ma le sue articolazioni locali opportunamente indagate farebbero capire meglio che si è in presenza di un cambiamento di epoca che va al di là di quello che dai palazzi romani invade le cronache.