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Scherzando col fuoco

Paolo Pombeni - 21.07.2021
Letta e Conte

Dunque niente Conte barricadiero, ma il solito felpato e verboso navigatore nei marosi della politica. Si sprecano quelli che l’avevano previsto, sottovalutando che da quelle parti ciò che dici oggi può tranquillamente essere capovolto domani. Non che vogliamo sottovalutare il mancato scontro fra Cinque Stelle e Draghi per salvare l’immagine del soldato Bonafede e dei suoi pretoriani. Ci limitiamo a dire che l’ex premier è sempre stato abile a rinviare gli scontri, perché di suo è un galleggiatore ed è probabile che i suoi punti di riferimento nell’establishment, di una sezione del quale è esponente, l’abbiano invitato a non mettere a rischio l’avvio dell’operazione sul PNRR.

Tanto la partita sarà lunga ed essendo in movimento tutto il quadro politico le occasioni per provare a forzare la situazione si ripresenteranno. In questo momento tutti stanno allegramente scherzando col fuoco, convinti che tanto non si brucerà nessuno, un po’ perché siamo ad un passo dal semestre bianco, un po’ perché nessuno è così forte da poter tentare il colpo di mano.

Basta guardare al centrodestra per rendersene conto. A stare ai sondaggi e alle aspettative sarebbe in grado di vincere le elezioni nazionali e di insediarsi al governo. Ma è diviso, non ha una leadership politica accettata da tutti e dunque non è nelle condizioni migliori per correre l’avventura del ricorso alle urne. Vedremo come andrà alle amministrative d’autunno che saranno per tutti un bello stress test. Sinora ha più che altro conosciuto lotte interne e non è riuscito a mettere in campo da nessuna parte un candidato veramente di peso. Saranno anche “civici” come ha preteso Salvini, ma non vantano profili da personaggi che si impongono anche nel caso di una sconfitta.

Aggiungiamoci che il leader leghista ha già abbandonato i panni del moderato che cercava di vestire con il suo intervento per una mediazione sul DDL Zan ed è ritornato ai toni da crociata sulla questione delle misure anti pandemia: cose che certo non lo favoriscono nel recuperare spazi fra l’elettorato di centro, che anzi viene sempre più spinto a preoccuparsi di finire nelle mani di un politico sostanzialmente irresponsabile. Non che questo favorisca più di tanto la Meloni, che rosicchia voti e qualche esponente alle altre aree del centrodestra, ma neppure lei fa il salto di qualità. Quanto a FI è sostanzialmente un fantasma impegnato solo a mettere il suo berretto su qualche poltroncina di potere.

Questa situazione è favorevole al PD che vede tornare la sua rendita di posizione di argine alle destre. Letta scommette su questo ed a questo sacrifica qualsiasi dialettica con i Cinque Stelle, da cui pensa di non potersi staccare se vuole provare almeno ad essere la futura alternativa vincente. Tuttavia per sfondare dovrebbe darsi una qualche identità di programma e non semplicemente di ideologia (per lo più prendendola dallo stanco dibattito di moda sulla stampa). Sarebbe necessario capire cosa hanno in mente dalle parti del Nazareno per il dopo Mattarella, che significa anche, inevitabilmente, per la fine di questa fase eccezionale del governo Draghi. Si vuol proseguire con l’attuale premier, ma come si gestirà una fase nuova che è probabile veda la fine di questa coalizione di salvezza nazionale? Prima ancora di lanciare parole d’ordine sul futuro, sarebbe necessario far capire come si intende gestire il presente, senza rappresentarselo come si vorrebbe che fosse (mentre così non è).

È ovvio che questo significa aprire una fase di patti chiari con Conte e con i Cinque Stelle, obbligandoli ad uscire dai giochi di parole. Perché il tema centrale è sempre più evidente che sia la riorganizzazione del complesso degli equilibri e delle “culture politiche” che governano il sistema-Italia. È questo il fattore che scuote le strutture profonde del paese, dove si è consapevoli che Draghi segna un momento di cambiamento, un passaggio al termine del quale non si sa ancora come si configurerà questo paese. Ed è probabile che molto cambierà con la fine di una certa fase della nostra vita politica.

I partiti, che tutti, per quanto a diverso titolo, sono in fondo figli del sistema che va in crisi, sono poco disponibili al cambiamento, almeno per quanto riguarda ciascuno (la speranza che la svolta travolga solo “gli altri” è un vecchio vezzo di ogni politica). Per questo non potendo opporsi scopertamente alla novità di questa fase, provano a ridimensionarla e a contenerla, senza accorgersi che davvero stanno pericolosamente scherzando col fuoco.

Tutto è determinato dalla nostra capacità di gestire bene l’opportunità che ci viene dai finanziamenti europei che non sono certo senza condizioni (lo sanno tutti, ma cercano di dimenticarlo). Su questi però pesano le incognite proprie di ogni avventura umana: non sappiamo come evolverà la situazione (a partire da questa pandemia che ancora non conosciamo a fondo), non è garantita la tenuta dell’opinione pubblica di fronte a quel che ci troveremo davanti, dobbiamo fare i conti con tutte le storture che il nostro sistema ha accumulato negli ultimi decenni e non solo.

Davvero non ci sarebbe né tempo né spazio per i giochetti della vecchia politica, neppure quando la si rivernicia per farla apparire del tutto nuova.