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Primarie a destra: l'Italia non è la Francia

Luca Tentoni - 26.11.2016
Le primier tour de la primaire de la droite et du centre

Per la prima volta, i partiti del centrodestra francese stanno facendo scegliere agli elettori il proprio candidato all'Eliseo. Il primo turno di votazione si è svolto domenica 20 novembre. Accedono al ballottaggio François Fillon e Alain Juppé; l'ex Capo dello Stato Nicolas Sarkozy, invece, è giunto al terzo posto, quindi è rimasto escluso dal secondo turno (rimandiamo, per un approfondimento, all’articolo di Michele Marchi per Mentepolitica del 23 novembre scorso: "Primarie francesi 2016: un ciclone Fillon" (http://www.mentepolitica.it/articolo/primarie-francesi-2016-un-ciclone-fillon/1034). La partecipazione al voto è stata elevata (circa 4 milioni di elettori) anche considerando che si trattava della prima esperienza di elezioni primarie per questa area politica (i socialisti, invece, hanno adottato da anni questo metodo di selezione). Da tempo, in Italia ci si chiede se quel che resta della CDL sia in grado di organizzarsi non solo per costituire una coalizione o (cosa più difficile, se non impossibile) un "listone unico" da presentare alle elezioni, ma anche se sia possibile dar vita a "primarie" aperte agli elettori di area. Le difficoltà non sono di carattere organizzativo (o lo sono solo marginalmente) perchè il nodo è politico. In primo luogo, bisognerebbe stabilire se tutti i candidati sarebbero disposti ad accettare (come in Francia è avvenuto) di riconoscere il risultato sia pure in presenza di quel 23% di votanti che secondo le rilevazioni di Harris Interactive (http://harris-interactive.fr/wp-content/uploads/sites/6/2016/11/Harris-JDV-1er-tour-Primaire-droite-centre-LCP-Public-Senat.pdf) si dichiarano di partiti esterni e concorrenti rispetto al centrodestra (circa il 14-15% di sinistra e l'8-9% del FN). Un conto è accogliere con interesse e attenzione il 20% o poco più di votanti che si dice "senza preferenza di partito", un altro è accettare che circa un milione di voti venga dai socialisti o dai lepenisti. Se accadesse in Italia, quali sarebbero le ripercussioni? C'è infatti da considerare che Sarkozy ha pur sempre ottenuto il 20,7% dei voti e che Juppé, sia pur distante (ma non troppo: è al 28,6%) può essersi giovato (come del resto Fillon) dei voti di parte di quel 42% che ha "confessato" ai sondaggisti di aver partecipato alle primarie "perchè Sarkozy non vincesse" (testuale). Secondo Harris Interactive il 70% degli elettori di Juppé era “anti-Sarkozy”, contro il 40% di quelli di Fillon. Inoltre, il 48% dei votanti per Juppé è di centro (UDI-MoDem) o sinistra, mentre il “grande elettore” di Fillon è stato il suo partito (LR, 49%). Immaginiamo che la stessa cosa fosse avvenuta in Italia: il terzo escluso avrebbe rovesciato (più o meno letteralmente) il tavolo, disconosciuto il risultato, chiesta la ripetizione del voto o l'annullamento dello scrutinio in aree dove l'"apporto estraneo" si fosse rivelato più consistente. Nulla di questo è avvenuto in Francia. La prima condizione (competere nonostante tutto, compresa la partecipazione al voto degli avversari politici) non è realizzabile in Italia. C'è poi un secondo elemento: il rapporto fra la leadership di partito e quella di coalizione. Fino a quando il dominus del centrodestra era Forza Italia (con il 50-60% dei voti di tutta la CDL) il capo incontrastato era il leader azzurro. Non c'era motivo di svolgere elezioni primarie perchè Berlusconi era il “padre-padrone” del maggior partito, "trainava" la coalizione apportando numerosi voti personali che non sarebbero stati conquistati da altri leader, ma soprattutto c'era un fatto determinante: la CDL nasceva da quella che potremmo definire un'"unione personale", cioè dalla doppia intesa del 1994 fra FI-Lega al Nord e fra FI-AN/MSI nel centrosud. Il centrodestra non è nato da un accordo fra Fini, Berlusconi e Bossi, ma da due intese che poi hanno trovato una sintesi (che nel primo esperimento del 1994-'95 è durata pochi mesi) nella "garanzia" del Cavaliere (Fini e Bossi, infatti, erano allora concordi sul fatto che mai avrebbero preso un caffè insieme). L'integrazione fra destra nazionale, centrodestra berlusconiano e leghismo è stata lunga e complessa, tanto che la CDL vera e propria è nata nel 2000 per vincere, poco dopo, le politiche del 2001. Se l'avvicinamento fra FI e AN è stato possibile, tanto da arrivare nel 2008 alla fusione nel Pdl, la Lega è sempre stata un'anima della coalizione ben distinta e anche programmaticamente e ideologicamente separata. I contrasti fra Bossi da una parte e centristi e Fini dall'altra hanno contrassegnato buona parte della stagione del centrodestra di governo. Lo stesso "Mattarellum" (il sistema elettorale in uso dal 1994) fu cambiato nel 2005 non solo per evitare la vittoria dell'Unione di Prodi, ma anche perchè - sistematicamente - alla Camera, nei collegi uninominali, non pochi votanti di Udc e AN preferivano votare per la propria lista ma per il candidato di un'altra coalizione pur di non far eleggere un leghista nel collegio (e viceversa). Il centrodestra italiano, insomma, è sempre stato plurale da un lato (le specificità delle varie "anime") ma unitario dall'altro (o meglio, federato intorno a Berlusconi). Con la crisi della leadership del Cavaliere e il successivo crollo elettorale degli "azzurri" (oltre al conseguente e parallelo aumento dei consensi alla "nuova Lega" di Salvini) sono venuti meno i due pilastri dell'alleanza: il partito dominante e la federazione garantita dalla presenza unificante di un capo carismatico incontrastato. Oggi, nello spazio politico che era della CDL ci sono almeno due gruppi politici che si rifanno al PPE (Ncd e FI: peraltro, il primo è nella maggioranza di governo e il secondo all'opposizione) e due che invece si ispirano alla destra lepenista (Lega e FdI). Entrambi hanno all'incirca lo stesso peso elettorale. Fra due soggetti entrambi intorno al 15% dei voti, nessuno ha i numeri per prevalere e nessuno può - stante il meccanismo dell'Italicum - permettersi di andare alle elezioni da solo, a meno di non voler perdere in partenza l'opportunità di competere per il premio di maggioranza alla Camera. Però c'è una grande differenza fra destra e "popolari europei": la prima ha ben due leader che possono partecipare alle primarie (Salvini e Meloni) con buone possibilità di riuscita, mentre i secondi hanno tanti aspiranti minori ma nessun vero capo incontrastato. Ci sarebbe Berlusconi: ma il Cavaliere non parteciperebbe mai ad una competizione fra pari, col rischio di fare la fine di Sarkozy in Francia. Quindi l'unico leader competitivo "azzurro" non può gareggiare. Ma c'è di più: la recente vicenda di Parisi dimostra che l'ex premier detiene ancora un potere almeno di veto nel suo partito, perciò non può che essere lui il "king maker" del candidato della sua area in un'ipotetica elezione primaria. Ma Berlusconi non gioca mai per partecipare: gioca per vincere. Ad oggi, nessuno dei suoi uomini gli può garantire - correndo con la sua benedizione – che otterrà il primo posto e la candidatura alla presidenza del Consiglio per la rinata CDL. Se dunque la debolezza delle posizioni elettorali e il tramonto della stagione politica del Cavaliere impediscono alla parte moderata del centrodestra di veder crescere leader capaci di contrastare una destra che ne ha già uno o due, è impossibile pensare che un'eventuale "primaria" non finisca per consegnare la guida della coalizione ad un esponente "lepenista", che influirebbe in modo determinante sull'offerta politica e forse allontanerebbe gli elettori più moderati. Quindi, anche la seconda condizione necessaria (la leadership di coalizione accettata da tutti i partiti, anche se coincidente con la leadership di uno di essi) non è realizzabile (o meglio: non lo è più, dopo il ventennio di Berlusconi). C'è, infine, un problema di prossimità politica fra le forze della coalizione: se è vero che i centristi di UDI-MoDem e Les Républicans in Francia hanno leader che esprimono posizioni politiche diverse fra loro, è però vero che possono essere tutte ricomprese in un ambito di accettabilità da parte degli elettori di quell'area politica. È invece da capire quanto e se - ad esempio - gli elettori di Forza Italia (a maggior ragione quelli del Ncd) si sentano più vicini alle posizioni della Lega o a quelle di Renzi in materia di Unione europea e di euro. In altre parole, in Francia un confine a destra c'è, e serve per delimitare un campo ideale fra la sinistra socialista e la destra lepenista. In Italia non c'è alcun confine a destra, nè gli esponenti "lepenisti" cercano di ammorbidire le posizioni per catturare consensi oltre il proprio “territorio” (cioè andando verso il centro). C'è poi da rilevare che le primarie francesi sono state organizzate per scegliere quello che verosimilmente - stante la crisi della sinistra - sarà l'avversario di Marine Le Pen nella corsa per l'Eliseo, quindi per individuare la personalità che possa replicare l'esperimento (forzato) di “rassemblement” che portò Chirac, nel 2002, a conquistare la Presidenza anche coi voti socialisti (pur di fermare Le Pen senior). Da noi la competizione per la conquista della maggioranza in Parlamento è invece fra Pd e M5S, quindi il centrodestra (diviso o unito) appare più come un soggetto esterno rispetto ai due più agguerriti e potenzialmente più forti, che un pivot come invece è in Francia. A Parigi un socialista può votare Juppé o, al limite, Fillon, per far perdere l'Eliseo a Marine Le Pen, così come forse i lepenisti (in misura minore, tuttavia) potrebbero preferire il candidato del centrodestra alla conferma di Hollande (o alla vittoria di un candidato di sinistra). A Roma, invece, può capitare che sia l'elettorato del centrodestra a dividersi (forse in parti non uguali, com'è accaduto alle comunali) in caso di competizione fra Pd e M5S. Lo svolgimento di elezioni primarie per l'area ex CDL, insomma, è vincolato ad un percorso politico che non appare neppure ipotizzato. Di più: potrebbe anche rivelarsi inutile qualora l'Italicum cambiasse. In quest'ultimo caso, addirittura, a Forza Italia servirebbe "marcare le differenze" con la Lega (e Salvini farebbe altrettanto con gli azzurri) perché la competizione si svolgerebbe "tutti contro tutti" e darebbe il via ad una battaglia per la conquista degli elettori "di frontiera" che sono a metà strada fra le due "anime" del vecchio centrodestra.