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Preferenze, democrazia e memoria corta

Stefano Zan * - 20.12.2014
Urna elettorale

Sempre più spesso da parte di esponenti politici di tutti gli schieramenti si sente dire che l’unica possibilità di ripristinare la democrazia nel nostro paese è quella di reintrodurre le preferenze. Apparentemente la cosa sembra così ragionevole da essere quasi banale. In realtà le cose non stanno proprio così. In primo luogo la cosa più democratica che ha fatto questo paese con riferimento alle preferenze è stata la loro abolizione con apposito referendum. In secondo luogo anche se venissero reintrodotte le preferenze i candidati, così come avviene in tutto il mondo e anche per i grillini, sono comunque scelti dai partiti che individuano le persone da sottoporre al giudizio degli elettori. Certo le cose sono diverse a secondo di quanti siano i candidati presenti nella lista a seconda delle dimensioni del collegio. Nel collegio uninominale un solo candidato, cinque o sei in collegi piccoli. Venti e più in collegi grandi. Ma sempre individuati dai partiti. D’altra parte questa è la funzione principale di tutti i partiti e per quanto discutibile non si è ancora trovata una soluzione migliore. Se non fossero i partiti chi dovrebbe individuare i candidati? La massoneria, l’Opus Dei, il sindacato, le associazioni imprenditoriali o professionali o chi altro? In realtà l’unica possibilità, ancorché limitata, di individuazione democratica delle candidature è rappresentata dalle primarie di partito o di coalizione laddove più persone appartenenti ad uno stesso schieramento possono proporsi come potenziali candidati che dovranno poi sottostare al vaglio di tutti gli elettori. Inoltre riproporre le preferenze con l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti rischia di essere non solo pericoloso ma certamente poco democratico. Intanto si scatena una conflittualità interna ai partiti di cui non si sente alcun bisogno. In secondo luogo la ricerca di finanziamenti per farsi in proprio la campagna elettorale crea non poche distorsioni. Saranno favoriti quelli che hanno l’appoggio del partito, quelli che dispongono di risorse proprie (ma come faranno poi a rientrare dei soldi investiti nella propria campagna?) ma anche e soprattutto i “signori dei voti” quelli cioè che sulla base di relazioni di scambio più o meno trasparenti sono in grado di raccogliere migliaia di voti ovunque. Non bisognerebbe dimenticare che molti dei signori dei voti hanno avuto e hanno quotidianamente a che fare con la giustizia e che l’abrogazione delle preferenze è stata determinata in prima istanza dalla volontà di impedire pratiche collusive e corruttive in molte aree del paese. Senza il finanziamento pubblico tutto questo non potrebbe che peggiorare e comunque non darebbe nessuna garanzia di una selezione migliore dei parlamentari. Anche qui non bisognerebbe dimenticare che tanto con le preferenze, che con le liste bloccate ma anche con le primarie in rete sono entrate in parlamento (anche) figure di scarsissimo valore professionale, morale e di altrettanto scarsa competenza politica. Non esiste dunque una soluzione democratica in assoluto ma esiste sempre e comunque un’approssimazione alla democrazia che tenga anche conto delle possibili degenerazioni. Da questo punto di vista sembra allora che la soluzione più ragionevole (anche questa non democratica in assoluto soprattutto per le fratture che crea a livello locale) consista nelle primarie di partito o di coalizione per la scelta dei candidati e in collegi piccoli con un numero ristretto di candidati (cinque o sei) che possano essere conosciuti da tutti gli elettori. Si potrebbe altresì ragionare sulla possibilità data al cittadino di cancellare i candidati non graditi. E’ sempre possibile infatti che dinamiche politiche nazionali e locali portino a candidature di impresentabili che potrebbero, al limite, superare anche il filtro delle primarie. La possibilità di annullare nella scheda alcune candidature sarebbe certamente espressione della volontà popolare senza per questo innescare quel mercato delle preferenze che in passato, sarebbe opportuno ricordarlo, ha creato così tanti malanni. Quindi attenzione: sostenere che le preferenze sono l’unica forma di democrazia è un’affermazione categorica che non regge al riscontro della realtà empirica e che per di più si scontra con la volontà popolare che si è espressa non molti anni fa con apposito referendum abrogativo. Il fatto poi che oggi tra i sostenitori delle preferenze ci siano anche molti di coloro che con forza ne avevano propugnato l’abolizione fa parte delle curiosità di questo paese e della memoria corta di molti suoi rappresentanti.

 

 

 

* E' stato docente universitario di Teoria delle organizzazioni