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18 maggio 2024
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L'egemonia fragile

Luca Tentoni - 11.09.2021
Melloni

Manca poco, ormai, al voto per il rinnovo dei consigli comunali di sei importantissimi capoluoghi regionali (Roma, Milano, Torino, Napoli, Bologna e Trieste). Cinque anni fa si votò in condizioni politiche e sociali completamente diverse da quelle odierne: da allora, la leadership di Renzi è tramontata (con la doppia pesante sconfitta al referendum del '16 e alle politiche del '18), poi c'è stato il periodo d'oro del M5s (iniziato col 32% dei voti nel 2018 e finito già alle europee del 2019), quindi abbiamo avuto il boom della Lega alle scorse europee (34% nel 2019) che ora è sostanzialmente rientrato (il partito di Salvini ha ora circa il 19%, cioè poco più del 17% delle politiche); oggi in vetta è Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni, cioè quello che fino a due anni fa era un piccolo-medio partito e che oggi supera il 20% dei voti (ma quanto durerà?). Fatto sta che siamo di fronte ad un fenomeno ormai duraturo, tipico della fase di scomposizione (si potrebbe anche dire: di decomposizione) del secondo sistema dei partiti della Repubblica. L'"egemonia fragile" caratterizza gli anni dal 2014 in poi: ciascuno a suo tempo - prima il Pd ('14-'17), poi il M5s ('18-'19), poi la Lega ('19-'21), ora FdI - ha avuto un buon numero di consensi ed esercitato una presa sull'elettorato e sull'opinione pubblica. Finché è durato, ognuno ha avuto il suo quarto d'ora di gloria, che sembrava incontrastato e destinato a durare. Invece i sogni egemoni si sono sempre rapidamente dissolti in bruschi risvegli. Che la Seconda Repubblica sia un'era di instabilità è noto. Meno noto, invece, è che anche durante la Prima c'erano episodi nei quali un partito poteva acquisire o perdere più del 3%, o del 5% o addirittura (in un caso) più del 10% dei voti in una sola volta. È accaduto in 18 occasioni distribuite in 13 elezioni politiche (1948-1992). Se raggruppiamo le variazioni assolute percentuali in tre categorie (dal 3 al 5%; dal 5 al 10%; oltre il 10%) notiamo che la prima annovera ben dieci casi (in gran parte concentrati nelle consultazioni del 1953, 1963 e 1992), la seconda sette (due nel '48, una nel 1953, 1968, 1976, 1983 e 1992) e la terza solo una (Dc 1948: +13,3% sul 1946). In media, dunque, abbiamo avuto nel periodo 1948-'92 1,4 variazioni superiori al 3% per legislatura; nel 56% dei casi sono state sotto il 5%. La media delle variazioni ci restituisce uno scostamento del 6,1%: segno che nella Prima Repubblica le sorprese erano rare, ma che ce ne sono state di importanti che hanno spostato molti voti. La Seconda Repubblica, invece, presenta un bilancio sostanzialmente diverso: in undici occasioni su nove appuntamenti (abbiamo incluso le europee del 2019 e i sondaggi attuali) la variazione per un partito è stata fra il 3 e il 5% (otto delle quali fino al 2008; solo tre dal 2013); in dieci fra il 5 e il 10% (metà fra il 1994 e il 2008 e metà dal 2013 in poi); in altre dieci oltre il 10% dei voti (solo tre nel 1994, poi sette dal 2013 in poi). In altre parole, mentre il passaggio tumultuoso del 1994 (con ben sei partiti che hanno perso o guadagnato più del 3% e fino a oltre il 20%, come Forza Italia) è un evento scontato, perché segna la transizione fra un sistema e l'altro (dunque è per sua natura il maggior momento di instabilità), la relativa calma degli anni 1996-2008 è stata seguita da una brusca accelerazione del mutamento, a partire dal 2013. Così, le variazioni assolute percentuali dei partiti fra il 3 e il 5% sono passate dal 56% del 1948-'92 al 50% del 1994-2008 e al modesto 20% del 2013-'21; quelle fra il 5 e il 10% sono scese dal 39% della Prima Repubblica al 31% del 1994-2008 e risalite al 33% dal 2013 in poi; quelle oltre il 10%, invece, che erano appena il 5,6% nella Prima Repubblica, sono salite al 19% nel 1994-2008 e balzate addirittura al 46% dal 2013 in poi. In media, gli spostamenti "fuori misura" (cioè oltre il 3%) che erano 1,4 per ogni elezione fra il 1948 e il 1992, sono diventati 3,2 fra il 1994 e il 2008 e 3,75 fra il 2013 e il 2021; l'entità media di ogni variazione è passata dal 6,1% dei voti del primo periodo al 7,4% del secondo e al 9,7% del terzo. In altre parole, l'"egemonia fragile" è il regno della fluidità elettorale: quando sembra instaurato il dominio di un partito, un "golpe elettorale" cambia le carte in tavola. Segno di una democrazia nella quale i soggetti politici non sanno dare risposte adeguate e non hanno progetti per il futuro ma sono solo in grado di ottenere un immediato ed effimero tornaconto nelle urne. Gli stessi leader (a parte Draghi, che non a caso non ha un partito) non sono così forti e carismatici come credono, se il mercato ne decreta in continuazione il ricambio. Se vogliamo, la presenza di un governo di grande coalizione necessitata e il dibattito su un eventuale secondo mandato di Mattarella (dopo quello di Napolitano) sono i sintomi di un sistema dei partiti e di leader incapaci di rispondere alle sfide del nostro tempo.