Ultimo Aggiornamento:
04 maggio 2024
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La politica non distoglie gli occhi dal proprio ombelico

Paolo Pombeni - 17.04.2024
Meloni in Israele

È quasi un coro unanime: non si capisce come mai la politica italiana di fronte ad una crisi internazionale che si aggrava non riesca a mostrare una seria volontà di farsi carico, sia pure per quel che è possibile, della situazione che incombe su di noi.

Non vogliamo parlare di imprese fantasiose e di missioni impossibili: chi pensa che il nostro Paese sia in grado di gestire delle incisive azioni specifiche tanto sul fronte russo-ucraino quanto su quello della guerra in Medio Oriente sta fantasticando a vuoto. Non abbiamo né la forza militare, né la eccezionale creatività diplomatica che sarebbero necessarie per renderci protagonisti di iniziative con un peso reale.

Il nostro governo fa quel poco che si può fare approfittando della contingenza della presidenza italiana del G7. Meloni cerca di muoversi con attenzione, non si può dire che stia facendo particolari sbagli, ma non ha gli strumenti per fare cose particolari, così come non li hanno avuti alcuni dei suoi predecessori. Oltre tutto le nostre finanze pubbliche non sono messe bene, ed azioni di peso sullo scacchiere internazionale richiedono un sistema in buona salute economica: per la semplice ragione che per i nostri avversari non sarebbe difficile profittare di alcune debolezze italiane se vorranno metterci i bastoni fra le ruote. Le opposizioni sono sul fronte della politica estera in grave difficoltà per le differenze sia fra le forze che la compongono, sia per le divisioni all’interno della maggior parte di esse.

Elly Schlein ha fatto la mossa di telefonare alla premier per promettere un sostegno del suo partito se e per quanto fossero in questione gli interessi nazionali: una mossa apprezzabile, ma che non è chiaro quali contenuti concreti possa avere. I Cinque Stelle sono andati avanti con la loro più che fumosa politica di pacifismo senza costrutto e questo, unito alle posizioni dell’estrema sinistra, indebolisce non poco le possibilità di un largo consenso se la situazione internazionale giungesse ad un ulteriore punto critico (continuando a sperare che i giochi dei vari imperialismi e nazionalismi piccoli, medi e grandi non ci spingano dentro l’abisso della guerra globale).

Dette queste cose, che dovrebbero essere ovvietà, passiamo a vedere se in concreto le forze politiche stiano facendo qualcosa per trasmettere alla pubblica opinione il segnale che si sono rese conto di quanto la situazione internazionale sia grave. Non sappiamo se capiscano che, per loro fortuna o per loro sfortuna, ci sarebbe un momento favorevole per farsi giudicare su questo piano. Parliamo ovviamente delle elezioni europee, perché se vogliamo contare davvero qualcosa è nel quadro della UE che possiamo e dobbiamo trovare l’occasione favorevole.

Molti denunciano che nella propaganda elettorale non si parli affatto dei grandi problemi presenti sul tappeto. È vero, ma lo è altrettanto che al momento di campagna elettorale se ne fa molto poca, almeno intesa come dibattito su un qualche tema concreto. Tuttavia questo sarebbe, anche se appare incredibile dirlo, il male minore. In fondo non è con manifesti elettorali che si può incidere più di tanto sul futuro andamento delle crisi che abbiamo davanti.

Quelle andranno affrontate nel lavoro concreto che si farà nell’ambito delle istituzioni europee, che saranno chiamate a decidere su questioni di grande importanza: difesa comune, bilancio comune, promozione della sicurezza sociale su più piani, interventi nelle aree deboli e in ebollizione (africane, ma non solo). Bene, per una azione di spessore da parte dell’Italia dovremmo mandare a Bruxelles/Strasburgo personalità con grande competenza su quei terreni complessi, gente che non va a fare il giro dei talk show per costruirsi una immagine da rivendere al popolo, ma che sa come ci si muove in contesti internazionali, che è in grado di analizzare dossier complessi, che è capace di costruire reti di relazioni con il variegato mondo che si muove all’interno dei governi e dei centri che elaborano le politiche di intervento.

Vi sembra che sia questo il tipo di selezione che i partiti italiani, più le alcune sigle inventate all’ultimo momento, stanno operando? L’interrogativo è retorico, perché la risposta è scontata: salvo alcune eccezioni che per fortuna ci sono, le forze che presentano liste sono più che altro interessate o a candidare personaggi che si presumono acchiappavoti, anche se è dubbio che abbiano la statura e le competenze per operare in Europa sui difficili temi sul tappeto, oppure a sistemare qualche “famiglio” che merita uno stipendio e una ricompensa per i servigi passati e per quelli che si è certo faranno in futuro a sostegno dei capi che manovrano la formazione delle liste.

Detto fuori dai denti: la classe politica attuale, salvo alcune pur lodevoli eccezioni che ci sono ed è bene ribadirlo, è interessata più che altro a guardarsi l’ombelico, cioè a continuare nel gioco del confronto sulle percentuali che potranno esibire grazie al meccanismo proporzionale del voto (per di più con la possibilità di dare preferenze). Non giova certo l’abbinamento di fatto con una serie di scadenze di elezioni regionali e amministrative, dove prevalgono gli interessi di bottega: sembra una occasione fatta apposta per massimizzare le opportunità per chi vuole fare sceneggiate, per chi vuole agitare l’ombra di vecchi e nuovi fantasmi, per chi non ha remore a ricorrere perfino alla bassa demagogia.

Tutto questo poteva persino essere tollerato se, come è stato alcune volte nel passato, si fosse in presenza di uno scenario europeo e internazionale più o meno di ordinaria amministrazione. Ci permettiamo di ricordare che questa volta non è proprio così e crediamo che la gente se ne stia rendendo conto. Vedremo se sarà abbastanza perché dalle urne esca se non una sconfitta, almeno un ridimensionamento di quella parte preponderante della nostra classe politica che ad alzare gli occhi dal rimirare il proprio ombelico non ci pensa proprio.