Ultimo Aggiornamento:
01 maggio 2024
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La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: elementi di una sfida al futuro

Raffaella Gherardi * - 11.12.2021
Human Rights

La data del 10 dicembre viene ogni anno ricordata in tutto il mondo quale anniversario dell’atto di nascita della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948): si tratta di richiamare l’importanza di  quest’ultima come punto di riferimento obbligato per la politica contemporanea e per la sua legittimazione in primo luogo per le odierne democrazie, dato che essa rappresenta una pietra miliare nel lungo cammino delle idee e delle norme sui diritti umani e della riconfigurazione dei rapporti fra gli Stati e fra Stati e cittadini. Quella del 10 dicembre è dunque una data che non può essere passata sotto silenzio e che anche i media, così come politici e rappresentanti delle istituzioni, ogni anno sentono di dover perlomeno ricordare. Dopo la devastante esperienza di due guerre mondiali, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, riaffermava con forza, fin dal Preambolo «la presente Dichiarazione Universale dei Diritti Umani come ideale comune da raggiungere da tutti i popoli e da tutte le nazioni, al fine che ogni individuo ed ogni organo della società, avendo costantemente presente questa Dichiarazione, si sforzi di promuovere, con l’insegnamento e l’educazione, il rispetto di questi diritti e di queste libertà e di garantirne, mediante misure progressive di carattere nazionale e internazionale, l’universale ed effettivo riconoscimento e rispetto». Venivano poi specificamente elencati in trenta articoli i diritti fondamentali che la Dichiarazione riconosce e che sono riassumibili nella tipologia seguente: diritti della persona, diritti spettanti all’individuo in relazione ai gruppi sociali ai quali appartiene, diritti politici, diritti economici e sociali. La forte scommessa su un futuro da ricostruire in tutto il mondo, tenendo fermo al faro-guida dei i diritti umani, risuona forte in uno degli articoli conclusivi laddove si afferma «Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possano essere pienamente realizzati.»(art. 28)  E che l’individuo di cui si parla non sia un termine astratto che serva a celare possibili forme di discriminazione, viene  chiarito fin dall’articolo 2 della Dichiarazione che specifica bene quanto segue: «Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.»

È del resto molto significativo che già il Preambolo alla Dichiarazione Universale si apra con la potente e inequivocabile affermazione secondo la quale «il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo». In riferimento allo stesso Statuto delle Nazioni Unite si sottolinea poi la «fede nei diritti umani fondamentali, nella dignità e nel valore della persona umana, nell’uguaglianza dei diritti dell’uomo e della donna».

Dignità della persona, uguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne, lotta contro ogni discriminazione: basterebbero questi elementi-cardine della Dichiarazione per far sì che in questo scorcio finale del 2021 non ci fosse molto di cui essere fieri quanto al raggiungimento degli obiettivi indicati. Basti pensare al recente restaurato regime dei Talebani in Afghanistan, esemplificativo per eccellenza della violenta negazione della parità dei diritti fra gli uomini e le donne.

Lasciando sullo sfondo considerazioni improntate ad accenti entusiastici o, invece, critici sulla portata universalistica della Dichiarazione, (problemi che riguardano il fondamento stesso dei diritti umani, la loro giustificazione, la loro universalità, la loro violazione e/o applicazione selettiva, “esportazione” da parte dell’Occidente ecc..), essa resta comunque un punto fermo col quale, anche da presupposti diversi, occorre fare i conti e che sarebbe bene rappresentasse un terreno di riferimento comune anche per le giovani generazioni. Dalla semplice lettura del testo, è possibile infatti ricavare immediatamente l’impressione che la Dichiarazione Universale sia qualcosa di più che mai vivo e in grado di sfidare da vicino il presente/futuro. Il messaggio di fondo che vi risuona della dignità di tutte le persone, nel segno della libertà, della solidarietà e contro ogni forma di discriminazione, non ha certo oggi perso di attualità; sarebbe davvero importante che la politica e i politici, in casa nostra e altrove, ne facessero tesoro, tanto più di fronte a problemi globali quali quelli che l’intero pianeta sta ora attraversando e che da vicino sembrano porre a rischio l’esistenza stessa dell’umanità intera.

 

 

 

 

* Professore dell’Alma Mater – Università di Bologna