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18 maggio 2024
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La conoscenza affidata ai PM?

Paolo Pombeni - 08.03.2023
Inchiesta Bergamo

È accesa la polemica sull’indagine avviata dalla procura di Bergamo circa la gestione del Covid in quell’area. Siamo davanti ad una situazione curiosa. Da un lato quasi tutti a dire che non tocca ai magistrati la ricerca della verità “storica”, ma solo quella dei reati perseguibili. Dal lato opposto tutti i media che approfittano di quel che hanno scoperto gli inquirenti per ricostruire ciò che accadde in quei terribili giorni. Val la pena di farci una riflessione.

Che non sia compito dei magistrati far luce sulle “verità” dei comportamenti quando questi non si configurino come reati è abbastanza pacifico. Diciamo che una parte almeno della magistratura inquirente e anche di quella giudicante non è esattamente di questa opinione e si lascia volentieri andare, vuoi nei rapporti con i media, vuoi anche nel motivare le sue azioni negli atti formali a rivendicare il ruolo di supremi censori dei mali sociali. Non è un bel vedere né è una buona pratica: si mette a rischio il ruolo della magistratura come “potere neutro” rispetto al governo e al parlamento, ma anche rispetto ai cittadini. Farsi schermo della possibilità di intravvedere “reati” nei vari comportamenti non è poi particolarmente difficile con leggi che non possono dettagliare bene i confini delle fattispecie che le violano, anzi con a disposizione molte norme che sono un po’ troppo interpretabili a discrezione (e non è neppure colpa dei magistrati: chi ha scritto quelle norme ambigue aveva già l’obiettivo di trasformare la legge in una clava per colpire a destra e a manca).

È però difficile non rilevare oggi che senza l’indagine della procura di Bergamo non disporremmo di una mole di documenti che ci fanno conoscere come ha funzionato il nostro sistema politico-istituzionale, nonché quello burocratico. In che altro modo avremmo potuto leggere conversazioni ed sms fra politici e pubblici funzionari, documenti che registrano non solo la confusione di quei giorni, ma anche il pressapochismo e l’arroganza di molti dei soggetti che avrebbero dovuto governare l’emergenza? Senza la pubblicazione di quel materiale dubito che qualche sottosegretario e qualche burocrate ora avrebbe ammesso in interviste che sì, insomma, al ministero e a Palazzo Chigi non è che si potesse contare su collaborazioni di qualità.

Non che tutto fosse ignoto. Anche personaggi modesti come chi scrive aveva avuto già a suo tempo informazioni che gli industriali del bergamasco avevano fatto pressioni perché non si chiudesse, timorosi di rimetterci le commesse che avevano. Qualsiasi persona che abbia un po’ di memoria ricorda le intemerate di Salvini che diceva che non si capiva perché mettere limiti alla frequenza scolastica visto che in Svizzera non si faceva, le difese delle stupidaggini no vax che erano presenti a destra, ma anche a sinistra, nonché le risse televisive fra vari virologi e assimilati (che magari cambiarono poi posizione dopo aver sostenuto nei primi giorni che il Covid era poco più che un raffreddore pesante).

Però i materiali che oggi l’inchiesta ha portato alla luce mostrano di peggio. Più che reati, arroganze, stupidità, reticenze ad assumersi responsabilità prima di avere la certezza che se si faceva i duri si avrebbe avuto il plauso pubblico. Essere inferiori a quanto è richiesto da una circostanza certo eccezionale non è un crimine: nessuno ha l’obbligo giuridico di essere intelligente e coraggioso e possiamo anche riconoscere che in certe circostanze non è facile esserlo.

Se questo è vero, lo è altrettanto il fatto che in politica è doveroso imparare dagli errori. Non si può evitare di chiedersi come mai ai vertici di un ministero delicato come quello della sanità ci fosse un personale così inadeguato, perché abbiamo lasciato un po’ troppo a lungo spazio mediatico ad esperti che definivano cazz… il tamponamento diffuso, perché non si sono predisposti presidi (banali) come le mascherine finché la situazione non è divenuta chiaramente drammatica. Abbiamo anche visto il pastrocchio di una sanità lasciata nelle mani di regioni dove governavano personaggi che si sono distinti per numeri di varietà nella comunicazione pubblica anziché guidare l’opinione pubblica.

Non sono problemi che si possano risolvere nelle aule dei tribunali, ma sono problemi che devono essere affrontati e risolti. È inutile discutere di difesa della sanità pubblica se non la si dota di un sistema di riferimento e di guida che abbia l’autorevolezza per farla funzionare anche nelle situazioni drammatiche (e sorvoliamo oggi sul fatto che troppo spesso funzionano maluccio anche in situazioni normali).

Sono domande che vanno poste in più di una sede. Sicuramente in quella politica, poiché è ad essa che in gran parte risale la responsabilità di aver selezionato il personale dirigente ai vari livelli. La lottizzazione in quegli ambiti è un male antico, ora peggiorato da un sistema di spoils system che per la verità non tocca solo l’ambito sanitario: troppi ministri, governatori e altri puntano solo a garantirsi “amici” accanto a loro anche quando questi sono tecnicamente inadeguati. C’è da dire che una certa censura dovrebbe riguardare anche il sistema dei media che durante la pandemia ha fatto a gara a creare non solo personaggi fra gli esperti, ma a metterli in competizione fra loro senza curarsi del fatto che si faceva confusione dando spazio più che altro a stereotipi in cui ci si doveva dividere a prescindere fra un fronte liberista e un fronte rigorista.

Se la nostra opinione pubblica, a cominciare dai vertici dei partiti (tutti), si applicasse a meditare su quel che è successo, a riconoscere che come sempre nelle emergenze si scontano colpe di sistema che hanno molti padri e madri, a proporre riforme coraggiose che ci mettano al riparo nel caso di prossime pandemie, che non sono da escludersi, dai pasticci fatti durante il Covid, faremmo davvero un’operazione di “giustizia”. Di quella “riparativa” che non si può fare nei tribunali.