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La Colombia e le FARC: un eterno ritorno

Alessandro Micocci * - 02.11.2019
FARC ritorno alle armi

Il 29 agosto 2019, con un messaggio inviato da una località segreta, l’ex vicesegretario delle FARC, Iván Márquez, ha ufficializzato il ritorno alle armi di una parte delle FARC, interrompendo di fatto il processo di pace ottenuto dall’ex presidente Juan Manuel Santos nel settembre 2015. La ripresa delle armi di una parte delle FARC-EP comporta un rinnovarsi delle violenze ai danni della popolazione civile nelle zone interessate dal ritorno dei guerriglieri, oltre al pericolo di una delegittimazione del processo di pace, in quanto l’ex numero due delle FARC aveva partecipato attivamente alle trattative di pace a La Avana.

La ripresa delle ostilità tra FARC dissidenti e governo ha dunque scatenato una serie di dibattiti sulle cause che hanno provocato la mancata osservanza del trattato di pace: le ipotesi sulle motivazioni di questo ritorno alle armi degli ex guerriglieri possono essere riassunte in due posizioni.

La prima ritiene che il trattato di pace, o Acuerdo General, contenga intrinsecamente un orientamento retorico di ricerca del consenso della società colombiana, ossia di un impianto dialettico orientato maggiormente verso un consenso emotivo piuttosto che verso una chiara e definitiva risoluzione dei conflitti politici fra Stato e FARC-EP. In discussione non è l’Acuerdo stesso, ma la nozione di “termine del conflitto”. Secondo le FARC esso implica una modifica strutturale dell’organizzazione intrinseca dello Stato e della società colombiani, in quanto ritenuti da sempre “in crisi”. Secondo lo Stato, al contrario ci si riferisce alla conclusione definitiva delle ostilità e della lotta armata guerrigliera. L’elemento che, dunque, ha unito le due parti nella ratifica della provvisoria pace è stata la necessità di porre fine al conflitto, ma senza che tale termine delle ostilità sia stato delineato e dettagliato con chiarezza.

Il trattato di pace, in sintesi, non presenta termini di azione chiari e definiti per l’ottenimento pratico di una conclusione del conflitto armato: esso è solo “un rapporto di protocollo sullo stato dei lavori” per la tregua, e non, dunque, un documento “che orienti la cittadinanza” sui punti di accordo e di sviluppo per la pace tra le due fazioni.

FARC e Governo colombiano utilizzano, dunque, l’Acuerdo come documento di riconoscimento e di ufficializzazione agli occhi dell’opinione pubblica della propria visione della società e della politica in Colombia. Lo stesso Márquez utilizza propagandisticamente l’Acuerdo General, ribadendo alla popolazione che tale accordo non è stato rispettato dallo Stato colombiano.

La seconda ipotesi addossa le responsabilità dell’interruzione della pace alle forze conservatrici di destra, capeggiate dall’ex presidente Uribe, sfavorevole a una risoluzione pacifica del conflitto. L’attuale presidente Iván Duque, pur non facendo parte dello stesso partito di Uribe, secondo molti osservatori ha eseguito una modalità di gestione del trattato di pace improntata all’ostruzione sorda di qualsiasi riforma in Colombia.

Mantenere una situazione di conflitto e di pericolo consentiva in passato alle destre ultraconservatrici di poter alimentare un clima di tensione che relegava in disparte le rivendicazioni anticonservatrici e a favore di una democratizzazione della politica e della società colombiana. Quest’ultima, dunque, ha vissuto costantemente la lotta contro le FARC-EP come una criminalizzazione mutua tra le due fazioni a livello dialettico e di propaganda. Quando tale situazione è stata messa in discussione dalla stipula del trattato di pace tra i due contendenti la destra ultraconservatrice ha dovuto fronteggiare la potenziale rivendicazione progressista dei partiti democratici colombiani, intenzionati a utilizzare la fine delle ostilità con le FARC come apripista per una riforma della vita politica, economica e sociale colombiana.

Di conseguenza Uribe e i conservatori hanno volutamente impantanato e reso il più possibile difficoltosi gli obiettivi delineati nell’Acuerdo General con le FARC. La riforma rurale che avrebbe dovuto sottrarre i contadini delle zone in mano alle FARC dal controllo del narcotraffico e dalla coltivazione della coca non è mai stata applicata, portando in questi territori a un vuoto di potere che è stato colmato dalle milizie paramilitari sotto il controllo dei cartelli della droga. Già nei mesi scorsi il governo Duque era stato accusato di agire sottilmente in modo da far fallire le riforme proposte dal trattato di pace. Egli infatti avrebbe bloccato il Piano di Sviluppo per le popolazioni rurali, ostacolato il cammino della Giurisdizione Speciale per la Pace, criminalizzato, sotto l’etichetta di “guerrigliera”, ogni rivendicazione e protesta sociale, causando l’uccisione di centinaia di attivisti locali.

In conclusione, sembra dunque che la ripresa delle armi e delle ostilità verso lo Stato di una parte delle FARC sia stata incentivata dalle forze conservatrici, consapevoli che solo la “rinascita” del vecchio nemico guerrigliero possa deviare l’attenzione dalle rivendicazioni progressiste per un cambiamento radicale delle condizioni di sviluppo della società e dell’economia colombiane.

Le FARC dissidenti sembrano, d’altro canto, essersi convinte che non ci siano le possibilità nell’attuale società colombiana di inserirsi pacificamente. Da questa percezione scaturisce la scelta di un gruppo di ex guerriglieri di interrompere il disarmo e ritornare all’unica posizione di forza nei confronti dello Stato che esso riconosce in un clima di perenne tensione: la guerriglia.

La positiva differenza rispetto ai precedenti anni potrebbe essere rilevabile nella presa di posizione netta dei partiti progressisti e della maggior parte delle FARC-EP smobilitate, che hanno decisamente rinnegato il gesto del gruppo dissidente di Iván Márquez, creando in tal modo un fronte opposto ai due vecchi contendenti: conservatori e FARC in armi.

 

 

 

 

* Laureato magistrale in Scienze Storiche presso l’Università di Bologna