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15 maggio 2024
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Il capo dei capi: Trump e la linea di comando nucleare statunitense

Dario Fazzi * - 07.10.2017
Stanislav Petrov

Qualche settimana fa si è spento nei dintorni di Mosca Stanislav Petrov, un ex ufficiale dell’aviazione sovietica che nel 1983 contribuì in maniera fondamentale ad evitare il possibile scoppio di una guerra nucleare. Mentre si trovava di guardia al sistema difensivo satellitare sovietico – quello che in pratica monitorava lo stato di allerta e operatività delle istallazioni nucleari statunitensi - Petrov scorse un segnale che lo avvisava dell’avvenuto lancio di ben cinque missili intercontinentali diretti verso l’Unione Sovietica. Era il 26 settembre e qualche settimana prima i russi avevano abbattuto un aereo di linea sudcoreano con a bordo un parlamentare statunitense. Una ritorsione americana, figlia dell’incidente e in linea con la retorica aggressiva di un presidente che aveva da poco pubblicamente definito l’Unione Sovietica come l’impero del male, era quindi del tutto plausibile. La linea di comando delle forze nucleari sovietiche, della quale Petrov costituiva un primo fondamentale tassello, avrebbe dovuto comunicare la notizia al segretario Andropov, sì da consentire ai vertici del Politburo di valutare le possibili reazioni alla minaccia, incluse quelle di tipo nucleare. Come raccontato in successivi diari e recenti volumi, Petrov decise tuttavia,e in maniera del tutto autonoma, di interpretare i segnali come un falso allarme e di riportare l’incidente come un malfunzionamento del sistema. A posteriori, Petrov aveva ragione: il sistema satellitare sovietico aveva confuso l’interposizione di un riflesso solare sulle rampe missilistiche statunitensi come l’avvio di una procedura di lancio e solo grazie alla prontezza e all’acume dell’ufficiale russo i quadri dirigenti sovietici non avviarono una discussione dagli esiti potenzialmente catastrofici.

 

La storia di Petrov riporta all’attualità due elementi strettamente connessi al possesso, allo sviluppo e all’uso (finora solo potenziale)delle armi nucleari. Primo, il rischio di errata valutazione e la volatilità delle percezioni umane sono elementi strutturali che non possono essere dimenticati allorchési valuti l’adeguatezza, non soltanto strategica, di tali arsenali. Secondo, bisogna considerare e analizzare in profonditàla linea di comando nucleare per comprendere come questo rischio sia stato gradualmente minimizzato, soprattutto attraverso una progressiva istituzionalizzazione, computerizzazione e professionalizzazione delle procedure che portano alla scelta di intervenire tramite armi nucleari. È proprio questa linea di comando complessa, infatti, che potrebbe limitare – o per contro esacerbare – i rischi derivati da errori di percezione e da idiosincrasie personali in tutto simili a quelle che al momento paiono caratterizzare le relazioni tra gli Stati Uniti e la Corea Del Nord.

 

“Il piccolo uomo-razzo,” queste le parole che Trump ha usato per definire il dittatore nordcoreano, ha di fatto ben salde le redini della catena di comando nucleare nel proprio paese, e appare scontato che le continue provocazioni di Pyongyang vadano lette in chiave prettamente interna, ovvero come un tentativo di legittimazione di una leadership infiacchita da cattive performance economiche, peraltro ulteriormente aggravate dalle recenti sanzioni delle Nazioni Unite, sempre più isolata da un punto di vista internazionale e alla costante ricerca di un nemico che possa giustificare un controllo politico e sociale di stampo totalitario. 

 

Discorso diverso va fatto invece per gli Stati Uniti, dove, nonostante la presenza al vertice di una personalità complessa e contraddittoria come quella di Trump, la linea di comando nucleare èmolto più articolata e complessa. Sin dalla firma nel 1946 di una legge che conferiva il controllo dell’energia e delle armi atomichea mani civili, negli Stati Uniti è il presidente che, assieme ai membri del proprio esecutivo, detiene l’ultima parolasul più vasto e potente arsenale nucleare del mondo. Fu Eisenhower a modificare leggermente questa struttura delegando dei poteri agli organi militari,soprattutto per quanto concerne l’uso delle cosiddette armi nucleari tattiche, in modo da garantire una risposta più efficace e immediata a eventuali minacce e sostanziare allo stesso tempo quella strategia di rappresaglia massiccia che costituiva il fulcro della visione di politica estera e di sicurezza messa in piedi dall’ex generale. Su questicambiamenti si fondò ad esempio l’intuizione di Stanley Kubrick, che nel suo celebre Dottor Stranamore diede a un paranoico ufficiale dell’aviazione statunitense il potere quasi assoluto di scatenare un conflitto nucleare di portata globale. L’avvento di Kennedy e soprattutto lo scampato pericolo della crisi dei missili cubana forzò una profonda riconsiderazione della linea di comando nucleare, tornata da allora saldamente nelle mani degli inquilini della Casa Bianca e resa ancora più complessa da una serie di procedure per le quali i quadri militari operativi ricevono adeguati training e sono esposti a un lungo percorso di professionalizzazione.

 

Negli USA, dunque, il presidente è formalmente colui il quale avvia l’intero processo, mediante uno specifico ordine (nessun bottone rosso da spingere, dunque). Nel farlo, tuttavia, il presidente deve tenere in considerazione le possibili alternative all’opzione nucleare tanto quanto la convenienza della stessa confrontandosi con i propri principali consiglieri civili e militari, la cui capacità di argomentazione e persuasione riveste pertanto un ruolo fondamentale. E si tratta di una capacità che deve manifestarsi in tempi rapidissimi, visto che dal momento in cui la decisione è approvata in sede di war room l’ordine è codificato e trasmesso alle unità operative nel giro di pochi minuti. La moderna tecnologia ela rapidità delle comunicazioni hanno dunque lasciato ben poco spazio ai margini di errore.

 

Vale perciò la penasoffermarsi sulle persone che ricoprono i ruoli principali in questa rapida eppure complessa linea di comando. Accanto a Trump, al vertice civile delle operazioni c’è l’attuale segretario della difesa, l’ex generale dell’esercito James “cane pazzo” Mattis, noto per le sue opinioni intransigenti nei confronti delle provocazioni nordcoreane e pronto a ridotare gli alleati sudcoreani di armi nucleari tattiche con funzione di deterrente. Il vertice militare dello stato maggiore della difesa èrappresentato dal generale dei marines Jo Dundon. Dundon ricopre questo incarico sin dai tempi dell’amministrazione Obama e la sua nomina è stata da poco riconfermata da un’ampia maggioranza in Senato. Dundon ha fama di essere uomo d’azione, ma anche gran calcolatore e non è difficile ipotizzare possa agire con cautela nel caso in cui venga a trovarsi nella necessità di dover valutare l’opzione nucleare. Immediatamente dopo Duncon in linea gerarchica si trovagenerale Paul Selva, un membro dell’aeronautica statunitense il cui background appare molto piùliberal dei suoi colleghi dell’esercito. In una recente audizione in Senato, ad esempio, Selva si è soffermato sulla necessità per gli Stati Uniti di affrontare il cambiamento climatico come una priorità viste le numerose conseguenze geopolitiche che tale fenomeno è in grado di generare anche in contesti finora ritenutirelativamente stabili e sicuri. Per Selva la capacità degli USA di anticipare queste tendenzedi lungo periodo costituiscono il vero banco di prova della leadership e dell’egemonia della nazione americana.A fare da contraltare alle posizioni di Selva nel comando di stato maggiore vi è il maggiore John Wayne Troxell, uomo dell’esercito dalla forte personalità. Di recente Troxell è stato protagonista di un tour delle numerose truppe dispiegate all’estero e si è soffermato in modo particolare in Corea del Sud, dove ha ribadito la necessitàper le forze armate statunitensi di farsi trovare pronte a fronteggiare con ogni mezzo il nemico nordcoreano. Un’altra figura chiave nella linea di comando nucleare statunitense è il luogotenente generale dell’aviazione John Dolan, cui è affidata la direzione del comando operativo. Prima di approdare allo stato maggiore Dolan ha sostituito il generale Salvatore Angelella al commando del quinto stormo dell’aviazione statunitense di stanza presso la base giapponese di Yokota. All’interno del comando di stato maggiore Dolan è quindi colui il quale conosce meglioil contesto asiatico e la rilevanza regionale della minaccia nordcoreana. E al momento Dolan è anche un diretto superiore del colonnello dell’aviazione James Dawkins, capo del comando strategico delle forze nucleari USA, la cui opinionesulle armi nucleari è ancora fortemente legata a controverse logiche di deterrenza. In un report del 2009, infatti, Dawkins ha spiegato come al fine di dissuadere i principali nemici degli Stati Uniti, e soprattutto la Cina, dall’intraprendere ogni tipo di azione ostile, le armi nucleari vadano incluse in una strategia composita e complessa che prevedaanche l’uso di tecnologie evolute che vanno dal cyberspazio alla robotica, alle nanotecnologie.

 

Il compito principale del presidente sarebbe dunque quello di mediare tra questi diversi livelli di expertise e tra queste diverse sensibilità non necessariamente collimanti tra loro. Un compito non facile che richiederebbe conoscenza, competenza e capacità di valutazione dei rischi. Un compito che al momento sembra affidato a una persona più propensa a seguire i propri istinti che i tradizionali canoni della ragione. La speranza, dunque, è che la tecnicizzazione del processo nucleare sia sufficiente ad informare le valutazioni militari e a limitare le conseguenze di calcoli fondati esclusivamente sulla convenienza politica, nonostante questo possa comportare una rinuncia pressoché totale al controllo esclusivamente civile su quello che resta il più terrificante arsenale nucleare al mondo. Speriamo insomma che i capi continuino ad avere la meglio sul capo.

 

 

 

 

* Dario Fazzi, ricercatore di storia degli Stati Uniti presso il Roosevelt Study Center di Middelburg, Olanda. Si occupa di politica e società statunitensi e in particolare di guerra fredda e relazioni transatlantiche.