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Evitiamo una Tangentopoli due

Paolo Pombeni - 11.12.2014
Mani Pulite

Lo scandalo denominato “mafia capitale” ha tutti i requisiti per tenere avvinta la pubblica opinione e per scatenare riflessi quasi meccanici che rischiano di farci piombare in una cattiva riedizione di quanto abbiamo già visto con Tangentopoli. E sarebbe un disastro.

Certo le differenze fra le due fattispecie sono molte e profonde. La vecchia tangentopoli era un fenomeno corruttivo per così dire istituzionalizzato: in origine serviva a finanziare i partiti tramite “creste” che venivano fatte sui lavori pubblici. Le ditte che vincevano gli appalti erano, per così dire, degli incaricati di eseguire “partite di giro” a beneficio del loro partito di riferimento. Naturalmente per questo trattenevano una percentuale per il servizio reso, ma era quasi come succede nei servizi bancari. Poi, inevitabilmente, cominciò a spuntare qualche “mariuolo” (secondo la famosa definizione di Craxi) che ci lucrava sopra anche per sé stesso, ma era una degenerazione del sistema originario, anche se fu quella che veramente ne determinò il crollo.

Intendiamoci: non stiamo difendendo o assolvendo in maniera postuma un meccanismo che aveva portato ad una corsa alla tangente al servizio della politica divenuta presto insostenibile perché il panorama era molto frammentato e bisognava dare qualcosa a tutti. Il sistema era perverso e l’incapacità di contrastarlo è costata carissima al nostro paese.

La “mafia-capitale”, che temiamo sia solo l’aspetto più sguaiato di un sistema ben altrimenti diffuso, non ha alcuna origine nei partiti, ma nella imprenditorialità criminale di singoli soggetti che hanno in mente solo l’arricchimento personale. Che poi questi, per “oliare” i meccanismi che consentono loro di succhiare il sangue del denaro pubblico, abbiano messo accanto alla corruzione diretta di singoli uomini dell’amministrazione o della politica dei versamenti a favore dei partiti è un fattore tangenziale: serviva non solo per garantirsi qualche sponda nei soggetti da cui avrebbero poi bussato per appalti, ma anche a “coprire” l’azione di quelli che aveva corrotto, i quali potevano in ogni caso fingere con i vertici di riferimento di lavorare a favore di “amici della nostra parte” (per questo finanziavano tutti i possibili vincitori).

Fermare questo meccanismo “tangenziale” è altrettanto importante che perseguire i delinquenti che gestiscono le trame corruttive. Ma qui sta la delicatezza dell’intervento, perché ciò che va assolutamente evitato è che si ripeta quel che è accaduto con tangentopoli.

Allora la più che giusta azione per fermare la degenerazione della corruzione imperante finì per trasformarsi in una caccia alle streghe che ebbe come esito finale l’azzeramento del sistema politico della prima repubblica. Si trattava indubbiamente di un sistema logorato, che probabilmente si sarebbe dissolto comunque, ma quella fine traumatica non è che ci abbia lasciato una grande eredità. Oggi si può dire che la storia della cosiddetta “seconda repubblica” non è stata particolarmente gloriosa, e soprattutto non si sta concludendo bene.

Ovviamente Raffaele Cantone, per fortuna nostra, non è Antonio Di Pietro, né uno dei suoi molti seguaci. E’ un magistrato molto competente, equilibrato, che sta svolgendo un’opera molto apprezzabile di raffreddamento degli istinti populisticamente giustizialisti. Paga anche per questo e per questo rinuncia ad una facile popolarità. Però non si può pretendere che sia in grado di vincere da solo questa difficile battaglia che consiste nello sconfiggere la dimensione abnorme e volgare che ha raggiunto la corruzione e al tempo stesso nell’evitare una caccia alle streghe che non serve a nulla (e lo si è già visto innumerevoli volte).

Soprattutto ciò che va evitato è che l’ondata di indignazione che coinvolge una popolazione sin troppo allevata a questi riti da anni di strumentalizzazioni mediatiche di vario colore politico finisca per travolgere il difficile tentativo che si va facendo di mettere mano alla nostra crisi.

Sappiamo tutti che i provvedimenti di riforma che si stanno varando e che sono in progetto hanno limiti e difetti, che l’impresa di cambiare l’orientamento del paese è ardua, che la classe politica e più in generale la classe dirigente che sembra volersi assumere questo compito non è completamente né sempre all’altezza di ciò che occorrerebbe. Resta il fatto che se buttiamo giù tutto in un moto di rigetto generale della politica perderemo quel poco di opportunità che offre questo momento di passaggio. Con la crisi che continua a mordere e con possibili rischi futuri (si pensi solo a ciò che potrebbe avvenire in Grecia, in Libia, ecc.) non c’è da augurarsi di avere una seconda crisi politica ingestibile come quella di inizi anni Novanta del secolo scorso.

Per dire le cose più banali, andare in un clima da “lancio di monetine” alle due scadenze prossime dell’elezione del successore di Napolitano e della tornata elettorale amministrativa di primavera è molto preoccupante. Renzi sembra consapevole del rischio, perché si è subito buttato in una battaglia di opinione pubblica assumendo su di sé il ruolo del moralizzatore senza remore. Invece gli altri partiti coinvolti latitano, e anche una parte del PD sembra più interessata a correre dietro ai sacri furori della Camusso, non capendo che anche con quelle azioni si lavora, per quanto inconsciamente, per la destabilizzazione del sistema.

Ignorare che di nuovo questa antipolitica giocherà nell’immediato a favore di Grillo (salvandolo dalla crisi che sembrava incombere su di lui) e di Salvini (colla sua nuova Lega “nazionale”) è davvero miope e foriero di guai.