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E adesso?

Paolo Pombeni - 30.04.2015
Fiducia all'Italicum

Il famoso dado sembra sia stato tratto. Ci riferiamo, ovviamente al fatto che Renzi ha deciso di porre la questione di fiducia su vari passaggi dell’Italicum. Le opposizioni sono scatenate nella speranza di lucrare una loro resurrezione (FI soprattutto) o un loro rafforzamento (M5S, Lega) dalla teatralizzazione dello scontro. Non sembrerebbe che l’opinione pubblica sia particolarmente calda su questo tema e forse il più abile a fiutare il vento è il solito Salvini che fa mostra di disdegnare il dibattito attuale come un non-problema.

Non è però all’opinione pubblica che guardano le opposizioni, bensì alla crisi interna al PD che si sta avvitando su sé stesso, in un crescendo di ipocrisie e di prese di posizione fuori dalla realtà. Le ipocrisie sono quelle di coloro che fingono di essere disponibili a trovare una via d’uscita purché il governo accetti di rimandare l’approvazione definitiva della legge. Essi per primi sanno benissimo che Renzi non può scendere su quelle sabbie mobili da cui non saprebbe poi come cavarsi. Le prese di posizione fuori della realtà sono quelle che strologano su attentati alla democrazia, dittature incombenti, chiamate in causa delle coscienze, e via elencando. Anche qui non ci vuol molto a capire che si tratta delle solite esagerazioni delle campagne di opposizione.

La questione che non sappiamo come sarà risolta è cosa accadrà dopo aver fatto la scelta di andare allo scontro finale fra due gruppi dirigenti del PD, perché di questo si tratta. Bersani, Bindi e compagni si stanno dando da fare per riconquistare il partito, cosa che sarà possibile solo cacciando Renzi e i suoi. Non hanno intenzione di uscire dal PD perché perderebbero le rendite di posizione che garantisce un marchio a suo modo consolidato e non hanno fiducia di poter contare qualcosa senza potersi presentare sotto quell’ombrello, ma non possono continuare nella coabitazione oltre un certo limite.

Renzi e i suoi hanno di conseguenza l’obiettivo opposto: marginalizzare la vecchia guardia incluse le sue nuove inquiete reclute. Per farlo basterà che possano vincere la battaglia sull’Italicum, perché a quel punto il partito si ricompatterà dietro a loro, non fosse altro che per la vecchia ragione che saltare sul carro del vincitore è una tentazione a cui è difficile sottrarsi. Renzi non avrà bisogno di cacciarli, perché diventerà evidente che non sono gli sconfitti quelli che possono dettare la linea.

Il problema per entrambi i gruppi è come uscire dallo scontro in corso col minor numero possibile di danni collaterali, ma soprattutto è come gestire il post-confronto sulla fiducia.

Andare affrettatamente alle urne non conviene a nessuno, perché la legge attuale è così proporzionale che rischia di dar vita ad un parlamento ingovernabile, ma soprattutto continua a prevedere l’elezione del Senato, che per ora non è stato affatto abolito. Con la volatilità di opinioni attuale e con la scarsa passione politica che coinvolge l’opinione pubblica può succedere di tutto: qualche giorno di guerriglia a Milano per l’apertura dell’Expo, qualche sbarco massiccio di immigrati, o cose del genere possono incidere pesantemente sugli orientamenti degli elettori.

Andare avanti come se niente fosse non sarà facile. Sebbene per la maggior parte dei commentatori sia poco probabile che il governo venga battuto sulla fiducia, è una ipotesi che va presa in considerazione. In questo caso ci sarebbe sia il problema di trovare eventualmente un nuovo governo con maggioranza parlamentare senza sciogliere le Camere (impresa più che ardua), sia il problema di creare comunque un “governo d’affari” per gestire il paese nell’attesa delle elezioni. Si può ben capire che confermare in questo ruolo l’attuale governo sarebbe difficile dopo un voto di sfiducia, ma altrettanto complicato è trovarne un altro che nei mesi che servono per arrivare alle urne possa gestire la situazione con una legittimazione accettabile (e, con l’estate di mezzo, i mesi potrebbero anche essere non pochissimi).

Se poi, come ipotizzato, Renzi supera indenne le forche caudine della fiducia, si porrà per la minoranza PD il problema drammatico di che fare. Come possono pensare di rimanere nel partito guidato da uno a cui hanno dato del fascista, dittatore, sfascia paese, e via dicendo? Ma se i dissidenti abbandonano il PD (cosa ovvia dopo aver detto ai quattro venti che quello di Renzi non è più il loro partito) cosa potrà succedere? Riusciranno a tirarsi dietro la vecchia militanza, in gran parte ex PCI, svuotando la struttura? In questo caso a Renzi non resterà altra scelta che quella di affrettare la prova elettorale, anche questa non proprio una soluzione molto auspicabile, perché è la sola via che avrebbe per far validare la sua leadership dagli elettori.

Per un po’ di giorni questi interrogativi, che siamo sicuri stanno già girando fra i professionisti della politica, rimarranno sotto traccia perché ci si deve occupare della gestione della battaglia parlamentare, ma poi torneranno prepotentemente a galla.

C’è da sperare che si sia preparati ad affrontare almeno decorosamente questo difficile passaggio.