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Dal Venezuela il nuovo ‘Papa Nero’.

Claudio Ferlan - 19.10.2016
Arturo Sosa Abascal

Venerdì scorso, 14 ottobre, è stato eletto il nuovo generale dei gesuiti, il venezuelano Arturo Sosa Abascal. Tradizionalmente l’uomo al vertice della Compagnia di Gesù viene definito ‘Papa Nero’. A quel che ne sappiamo, l’espressione fu riportata la prima volta dal prete-scrittore francese Jean Hippolyte Michon, che in una novella del 1865 (Le Jésuite) aveva messo in scena proprio il rientro del generale Jan Roothaan a Roma dopo l’esilio seguito ai moti del 1848, acclamato dalla folla al grido di «Viva il papa nero». L’invocazione richiamava l’abitudine degli ignaziani di abbigliarsi in quel colore. A un bambino che chiedeva spiegazioni alla madre sul significato di quel saluto, la donna – stando alla penna di Michon – rispose: «È il papa nero, il vero papa».

 

Arturo Sosa, tra periferia e centro

 

Oggi che «il vero papa» è egli stesso un gesuita, questa distinzione suona stonata, ma è indubbio che il capo dei gesuiti ricopra un posto di rilievo per la vita della Chiesa. Arturo Sosa ha un altissimo profilo intellettuale e non è certo una novità per il generale della Compagnia di Gesù. Esperto di scienza politica, accademico di valore, conosce il mondo e l’arte di governare, come dimostrato dalla sua strada all’interno dell’ordine, in Venezuela prima e a Roma poi, dove ha vissuto gli ultimi anni quale consigliere del generale uscente Adolfo Nicolás e responsabile delle comunità interprovinciali gesuitiche (una fra tutte, la Pontificia Università Gregoriana). Primo generale non europeo, latinoamericano, costretto a vivere diversi anni della propria vita sotto un regime dittatoriale… il ritratto di Sosa richiama inevitabilmente quello di Bergoglio. A differenza del papa prima della sua elezione, però, il nuovo eletto ha una non lunghissima ma di certo intensa esperienza della vita romana. Questo è un segno che lo spostamento in atto nel baricentro della Chiesa, rivelato anche dalle recenti nomine cardinalizie, non dimentica il Vaticano. È certo che qui più di altrove Francesco abbia bisogno di un sostegno che gli potrà essere validamente fornito proprio dal suo stesso ordine. Non dimentichiamo che il grado più alto nella Compagnia di Gesù si raggiunge con la pronuncia del quarto voto, in forza del quale «Tutto ciò che l’attuale Romano Pontefice e gli altri suoi successori comanderanno come pertinente al progresso delle anime ed alla propagazione della fede, ed in qualsivoglia paese vorranno mandarci, noi, immediatamente, senza alcuna tergiversazione o scusa, saremo obbligati ad eseguirlo, per quanto dipenderà da noi; sia che giudicheranno inviarci presso i Turchi, sia ad altri infedeli, esistenti nelle regioni che chiamano Indie, sia presso gli eretici, scismatici o fedeli quali che siano» (Formula Instituti, 3). Percorrere le frontiere, andare ai margini, ma senza dimenticare tutti i «fedeli quali che siano».

 

Il dialogo per la casa comune

 

Il nuovo generale è un uomo del dialogo, lo dicono il suo appoggio all’Assemblea nazionale costituente voluta da Hugo Chávez e le sue approfondite analisi socio-politiche. Lo dicono anche i contenuti della prima omelia predicata dopo l’elezione al vertice dell’ordine fondato da Ignazio di Loyola. Sosa ha definito infatti la Compagnia di Gesù «un corpo multiculturale chiamato a testimoniare la ricchezza della interculturalità come volto dell’umanità» e ha sottolineato che essa «potrà svilupparsi solo in collaborazione con altri». Del resto, nei momenti preparatori la scelta della propria nuova guida, i gesuiti elettori individuavano tra le qualità necessarie l’esperienza fatta con altre culture, altre chiese cristiane e altre religioni. Ecumenismo e dialogo interreligioso sono temi di strettissima attualità nell’agenda vaticana e l’immediato richiamo al confronto tra le culture si pone nella stessa direzione.

Le prime parole di Sosa nella nuova carica sono di certo molto ‘gesuitiche’. Insistono sull’urgenza della conoscenza e della riflessione; non è solo uno slogan quello che i gesuiti usano per definirsi: «contemplativi nell’azione». Il generale ha rimarcato come serva «pensare per capire in profondità il momento della storia umana che viviamo e contribuire alla ricerca di alternative per superare la povertà, l’ineguaglianza e l’oppressione». Anche qui è evidente la sintonia con la pastorale portata avanti da papa Francesco, una sintonia che si ritrova anche nel richiamo ai propri confratelli di tendere non solo all’improbabile, ma addirittura all’impossibile, a «un’umanità riconciliata nella giustizia, che vive in pace in una casa comune ben curata, dove c’è posto per tutti quanti».

Sembra insomma di avere assistito all’elezione di un soldato di Cristo schierato senza indugio dalla parte del pontefice, in continuità con la tradizione iniziata da Ignazio di Loyola.