Ultimo Aggiornamento:
04 maggio 2024
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Dimenticate la democrazia come la conoscete: arrivano il governo forte, la rete e la sovranità diretta

Omar Bellicini * - 08.03.2016

Populismo, crisi delle formazioni politiche, fanatismo di ritorno. Altro che riforma del Senato. Ci troviamo di fronte al declino della democrazia? La domanda è legittima, se si considera il successo economico del modello cinese, o se si esamina la longevità istituzionale di un autocrate come Vladimir Putin. Anche l’ascesa di Donald Trump, futuro candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti, e personaggio pubblico dalle posizioni piuttosto controverse, genera parecchi dubbi sulla tenuta dell’ideale democratico. Siamo dunque destinati ad un futuro all’insegna dell’autoritarismo? È probabile, se ci rifiuteremo di comprendere che a franare non è il concetto democrazia tout court, bensì la forma -o le forme- con cui abbiamo applicato il principio fino ad ora. In altri termini: è la democrazia rappresentativa, con i suoi strumenti di mediazione del potere, a essere messa in discussione. Perché non tiene il passo di una società sempre più veloce. Perché non sa garantire l’affermazione dei talenti. Perché mal si adatta alle dinamiche e ai linguaggi della rivoluzione digitale. Ha fatto scalpore, in Italia, il breve saggio di Gianroberto Casaleggio: «Veni vidi web», pubblicato da Adagio Editore. leggi tutto

Protezione Dati Personali: onde sismiche in Atlantico, ipocentro in Lussemburgo (parte seconda)

Patrizia Fariselli * - 24.10.2015

Il caso Snowden ha aperto uno squarcio molto allarmante sulla dissociazione tra proprietà e controllo dei dati personali. Questa dissociazione assume un profilo geo-economico se si considera che il trasferimento e la rielaborazione dei dati ne implicano lo stoccaggio in grandi centri o cloud (nuvole) sotto il controllo di operatori la cui localizzazione è indipendente dal luogo di provenienza dei dati, ma dipende piuttosto dalla nazionalità dell’operatore. Attualmente, l’85% del mercato globale di cloud computing è rappresentato da imprese basate negli USA, che trattano dati di persone, imprese, istituzioni, organizzazioni del resto del mondo, e soprattutto europee. C’è dunque uno scambio ineguale tra individui e operatori digitali, ma anche tra le due sponde dell’Atlantico. La trattativa tra USA e UE è molto difficile, complicata dalla presenza di interessi divergenti in Europa, che si rivelano nella competizione tra sistemi differenziati di tax ruling (mantenuti segreti), nella coesistenza di modelli di protezione/sorveglianza, di leggi e di autorità per la protezione dei dati diversi nei diversi Stati membri, e in sostanza dalla mancanza di un mercato unico digitale, oltre che nella forte pressione delle imprese americane e delle loro lobby a mantenere inalterato l’equilibrio attuale. Fa riflettere che il Volkswagen diesel-gate sia scoppiato proprio in questo momento. leggi tutto

Protezione Dati Personali: onde sismiche in Atlantico, ipocentro in Lussemburgo (parte prima)

Patrizia Fariselli * - 22.10.2015

Se ci fosse una formula rovesciata di “molto rumore per nulla” adesso sarebbe il caso di usarla. In queste settimane, infatti, la notizia relativa alla sentenza della Corte di Giustizia dell’UE del 6 ottobre scorso, che invalida la decisione della Commissione UE che riconosce agli USA il regime di Safe Harbor (porto sicuro) è passata quasi inosservata nei media italiani, o non è passata affatto. Del resto, da quando le tecnologie digitali di rete hanno fatto esplodere offerta e accesso all’informazione, paradossalmente l’informazione di massa si è impoverita, propinata come iterazione ossessiva di titoli che troppo spesso rispondono al motto shakespeariano e impongono di arrovellarsi su non-notizie fino al loro e nostro esaurimento fisico. Invece questa è una vera notizia, con importanti ricadute, non solo giuridiche e non solo per gli addetti ai lavori.

 

L’accordo Safe Harbor è stato siglato nel 2000 tra il Dipartimento del Commercio (DoC) degli USA e la Commissione Europea, per ottemperare a una clausola della Direttiva europea sulla protezione dei dati del 1995, secondo la quale il trasferimento di dati personali verso un paese terzo può avvenire solo se questo garantisce un “adeguato” livello di protezione. Poiché, secondo le stesse parole del DoC, USA ed Europa hanno due diversi approcci alla privacy, l’accordo serve a lanciare un ponte tra i due e a snellire le relazioni commerciali delle imprese americane leggi tutto

Mercato unico digitale e frammentazione (2)

Patrizia Fariselli * - 05.09.2015

Come anticipato nel precedente articolo, nell’Unione Europea il contrasto tra frammentazione reale e mercato unico virtuale è evidente nel settore dell’economia digitale ed è rivelatore il caso della tassazione delle imprese americane che operano servizi digitali di rete (OTT) negli Stati membri.

In sostanza, imprese come Google, Apple, Amazon che hanno il loro quartier generale negli Stati Uniti (che sono un mercato unico), localizzano le loro filiali europee negli Stati che offrono loro trattamenti fiscali di favore (ad esempio Irlanda e Lussemburgo) e riconducono ad esse la formalizzazione dei contratti relativi alle attività che società locali svolgono nei singoli Stati europei. Recentemente, Apple è stata accusata dalla Procura di Milano di presunta evasione fiscale per non aver pagato all’Agenzia delle Entrate 879 milioni di Euro sulle vendite di Apple Italia destinate alla rete di distribuzione nazionale, sostenendo che la società residente in Italia è in grado di negoziare e decidere autonomamente i contratti e contestando che si tratti di un agente che opera per conto della società irlandese. Nel dicembre scorso il cancelliere Osborne ha manifestato l’intenzione di introdurre una tassa del 25% sugli utili generati nel Regno Unito dalle imprese che “deviano i profitti in altri Paesi con aliquote fiscali più basse”. La cosiddetta Google tax, tuttavia, leggi tutto

Mercato unico digitale e frammentazione

Patrizia Fariselli * - 01.09.2015

Il metodo funzionalista, che mira a costruire de facto l’Unione Europea mediante politiche incrementali di integrazione in aree chiave della realtà socio-economica (le frontiere, gli scambi commerciali, l’agricoltura, la concorrenza, la giustizia, la moneta, etc.), creando così le condizioni per l’integrazione politica e de jure, spiega buona parte dei risultati acquisiti nell’architettura EU nel corso della sua storia, ma non assicura il loro automatico raggiungimento. Quando lo spirito nazionale prevale su quello europeo, come in questi lunghi anni, da una parte i risultati sono frutto di compromessi al ribasso, dall’altra l’espansione tecnica del processo di integrazione ad un numero crescente di aree di policy tende a generare un ingorgo amministrativo invece che contribuire ad un organico disegno. In questo contesto si rafforzano simultaneamente due fenomeni divergenti: da una parte la burocrazia europeista, a cui viene affidato il ruolo di protagonista nella direzione tecnica del processo di integrazione, dall’altra l’avvitamento antieuropeista degli Stati membri, che priva il processo stesso della leadership politica necessaria. L’indebolimento economico innescato dalla crisi finanziaria americana a partire dal 2007 e la sottovalutazione delle conseguenze sociali, oltre che politiche e di sicurezza, dei conflitti mediorientali e interni al mondo islamico hanno contribuito ad esasperare questa divergenza. Quando il PIL e la capacità produttiva diminuiscono, le diseguaglianze sociali si acuiscono, il debito sale, la spesa per il welfare si contrae, leggi tutto

Internet: sovrabbondanza di dati – scarsità di informazione

Patrizia Fariselli * - 14.02.2015

La caratteristica fondamentale delle tecnologie digitali di rete è l’atomizzazione della materia informazione in bit, l’unità minima di codificazione. La digitalizzazione non riguarda solo i contenuti, ma anche i programmi e i sistemi di elaborazione e di trasmissione dell’informazione codificata, e la stessa infrastruttura che la veicola - e quindi la rete delle reti. Poiché tutto viene ridotto alla stessa sostanza, il risultato e il processo non sono separabili. Ciò ha un duplice effetto: da una parte l’informazione viene trasformata in dati digitali, e quindi acquisisce fisicità; dall’altra parte qualunque tipo di informazione diventa catturabile, comunicabile, accessibile, rielaborabile, manipolabile indipendentemente dal suo supporto originario (testo, audio, video), dalla competenza e dallo status di proprietari, autori e utilizzatori dei dati. Non solo: gli sviluppi delle tecnologie digitali di rete e la diffusione capillare di dispositivi a basso costo e ad alta prestazione hanno progressivamente eroso i confini tra i servizi, e tra produttori e utilizzatori dei dati. In uno smartphone sono concentrate molteplici funzionalità che l’uso di “app” rende tendenzialmente illimitate, e impiegando uno smartphone possiamo sia attingere che generare e diffondere dati in rete (Web 2.0). Il vantaggio tecnico e sociale è straordinario, pervasivo e irrinunciabile e va oltre la somma delle innovazioni tecnologiche, legittimando ogni sorta di enfasi (rivoluzione tecnologica; network society, economia digitale, etc.) nella letteratura e nella pubblica opinione. Una delle formule di cui si abusa per rappresentare l’esito sociale delle tecnologie digitali di rete è quella della “società dell’informazione”. leggi tutto

Conoscere il fine. Profitto, scopo e motivazione.

Federico Ronchetti * - 12.02.2015

Anni fa tentai di spiegare a un economista il funzionamento di un calorimetro elettromagnetico (un tipo di rivelatore usato in fisica per misurare l’energia delle particelle elementari) e le sfide ingegneristiche legate alla sua realizzazione. L’interlocutore, poco colpito, a un certo punto domandò e se non fosse semplicemente possibile “copiare i calorimetri”.

 

Ora, la costruzione di un rivelatore è un processo che unisce creatività, competenze tecnologiche d’avanguardia e manualità tipica dell’alto artigianato, per cui l’idea di “copiarlo” come se fosse un file, appare alquanto bislacca. Tuttavia il problema di dare una risposta alla domanda rimane e per farlo occorre scardinare la mitologia pragmatista da cui essa trae legittimazione.

 

Infatti, dietro l’idea di “copiare” si affaccia il preconcetto del “non perdere tempo” evidentemente al fine di massimizzare la produttività e in ultima analisi il profitto. Questo modello di business ancora legato al vecchio sistema del bastone e della carota ha certamente funzionato con successo nel secolo XX e in quelli precedenti quando i fattori della produzione erano agganciati prevalentemente al lavoro fisico-meccanico e a compiti ripetitivi.

 

Per contro, nel mondo contemporaneo, specialmente nelle società avanzate, la natura delle attività produttive è radicalmente mutata leggi tutto