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17 aprile 2024
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La politica estera di Renzi ovvero il “rottamatore pragmatico”

Michele Marchi - 23.04.2015

In politica estera non si inventa nulla. E nemmeno un funambolo come il nostro Presidente del Consiglio può contravvenire a questa regola ferrea. Senza dubbio i nuovi media influenzano i vecchi riti che dominano la politica internazionale. E’ allo stesso modo evidente che la fine della contrapposizione tra i due blocchi, l’accelerazione impressa allo sviluppo storico dalla globalizzazione dei mercati e le nuove minacce legate alle guerre asimmetriche e al terrorismo hanno reso il quadro internazionale più caotico ed anarchico. Nonostante tutto ciò, con le dovute compensazioni e i necessari adattamenti, la politica estera della “media potenza” Italia continua a muoversi lungo le sue direttrici classiche. Matteo Renzi, dopo un anno abbondante a Palazzo Chigi, ha mostrato di avere il quadro chiaro e di essere in grado di adattarsi in maniera pragmatica a questi “fondamentali”. Insomma più che a “rottamare”, si è impegnato a sfruttare vecchie rendite di posizione e a riadattare direttrici fondanti, il tutto con quella dose di volontarismo comunicativo così caratteristica del suo marchio di fabbrica.

Innanzitutto Renzi si è applicato nel rinverdire i fasti dell’europeismo italiano e lo ha fatto, se è consentito un paragone ardito, alla “maniera di De Gasperi”. Nel senso che, forte del travolgente successo alle elezioni europee del maggio scorso, si è rivolto direttamente alla fonte della nuova leadership europea. E’ andato diretto a Berlino, senza passare da Parigi. O meglio, ha fatto salire sul “bus della crescita” Hollande, dopo aver puntualizzato che il vero leader dei “progressisti” europei sta di casa a Roma.  leggi tutto

I verdetti delle dipartimentali e l’avvio della lunga corsa all’Eliseo

Michele Marchi - 31.03.2015

Questa volta i risultati sono effettivi e la vittoria della destra repubblicana (praticamente ovunque alleata al centro) è significativa. L’UMP guiderà 67 dei 101 dipartimenti, dopo averne strappati 28 alla sinistra, perdendone soltanto 1. Il ritorno è alla metà degli anni Novanta, prima che si avviasse il trend positivo del cosiddetto “socialismo municipale”. Proprio la gauche nel suo complesso e il PS in particolare escono malconci anche da questo scrutinio dipartimentale. Con 34 dipartimenti ancora diretti non siamo ai minimi storici del 1992 (allora erano 23), ma in termini di voti (sotto i sei milioni per la sinistra complessivamente, meno di tre per il PS) siamo vicino ai minimi storici della Quinta Repubblica. Infine il FN, in crescita prepotente rispetto a tutti i precedenti scrutini locali (anche se con circa un milione di voti in meno rispetto al I turno), non è riuscito nell’impresa, simbolicamente rilevante, di conquistare la guida di almeno un dipartimento. Dunque da un tripartitismo evidente dopo il primo turno, si può parlare oggi di una sorta di oligopolio dominato in termini effettivi dalla destra repubblicana, con il FN sottorappresentato ma anche auto-esclusosi con la sua campagna “anti UMPS” e la sinistra frammentata e destinata ad un ruolo politico marginale.

Se i risultati sono incontestabili, si può discutere a sinistra come a destra su come si è arrivati a questo quadro. A sinistra le ragioni della sconfitta sono imputabili in parti uguali a Presidente, Primo ministro e partito socialista. Oltre il 40% dei francesi che si è recato alle urne ha dichiarato di volerlo fare per sanzionare il potere in carica a livello nazionale. leggi tutto

Dipartimentali francesi: alcuni spunti a metà del percorso

Michele Marchi - 26.03.2015

Presentando il voto dipartimentale su queste colonne si era concluso ribadendo il valore “nazionale” di questa importante consultazione “locale” (http://www.mentepolitica.it/articolo/le-elezioni-dipartimentali-francesi/422 ). Da questo punto di vista il primo turno di domenica 22 marzo non ha tradito le attese. Se la stampa europea, e quella italiana in particolare, si è lanciata in improbabili commenti, tutti tesi a sottolineare un supposto (quanto inesatto) arretramento del FN, il primo punto da sottolineare è che vincitori e vinti potranno essere proclamati solo e soltanto dopo il secondo turno di domenica 29 marzo.

Sempre nel già citato contributo si era sottolineato come l’appuntamento elettorale di fine marzo, il penultimo prima delle presidenziali del 2017, racchiudeva un’importanza particolare per le tre principali formazioni politiche del Paese e in più costituiva un banco di prova da non trascurare per l’evoluzione del sistema politico transalpino nel suo complesso. Vediamo schematicamente le interessanti indicazioni emerse dal primo turno.

 

Un Ps comunque, ancora una volta, perdente

 

Nonostante il Primo ministro Valls si sia affannato a spostare l’attenzione sul fatto che il Front National non sia risultato primo in termini di voti e tutti i principali dirigenti del partito abbiano evidenziato un arretramento inferiore rispetto a quello prospettato dai sondaggi, il PS ha ottenuto leggi tutto

Le elezioni dipartimentali francesi: ovvero l’importanza del “locale”

Michele Marchi - 21.03.2015

Elezioni importanti le dipartimentali francesi di domenica 22 e domenica 29 marzo. Il voto costituisce un banco di prova da una molteplicità di punti di vista.

Si può partire da quello forse più scontato. L’intero elettorato francese (esclusi i parigini e gli abitanti di Lione che hanno già rinnovato in occasione delle elezioni municipali) è chiamato ad esprimersi a poco meno di tre mesi dai drammatici fatti di inizio gennaio. Senza trascurare il carattere locale dello scrutinio, sarà importante valutare il livello di partecipazione, così come i risultati del FN, che i sondaggi accreditano al 30%.

In secondo luogo siamo alla penultima consultazione elettorale prima del voto presidenziale del 2017. L’ultima chiamata si avrà con le regionali di fine anno. Dunque il 2015 costituisce l’ultimo anno elettorale prima del voto della tarda primavera del 2017. Hollande e il suo fino ad oggi stentato quinquennato si trovano sotto la lente dell’elettorato francese. Il Ps onnipotente del 2012 (Eliseo, Assemblée nationale, Senato, tutte le regioni tranne l’Alsazia, la maggioranza di comuni e dipartimenti), dopo il Senato e molti comuni, si prepara a nuove sconfitte anche sul fronte dei dipartimenti. Oggi la gauche guida 56 dipartimenti su 95 (in 49 il PS è solo alla guida). Averne persi venti dopo il 29 marzo significherebbe aver limitato i danni. leggi tutto

La fine “della storia” e la fine di “una storia”

Michele Marchi - 24.02.2015

È sotto gli occhi di tutti che le crisi aperte in Ucraina, Grecia e Libia sono legate ed interconnesse. Si è riflettuto molto, in queste settimane, sui successi diplomatici della Germania di Angela Merkel, volata a Washington per convincere Obama a non avventurarsi nell’invio di armi in Ucraina, per poi correre a rappresentare la diplomazia europea al tavolo negoziale di Minsk e infine pronta a far pesare il prestigio acquisito a Minsk e a Washington nel braccio di ferro con Atene.

Allo stesso modo si sono sottolineate le tante divisioni che i tre focolai di crisi evidenziano all’interno del continente europeo. Il caso greco (euro) e quello libico (immigrazione e guerra civile) confermerebbero una sempre più profonda divaricazione tra un’Europa del nord ed un’Europa del sud. Virtuosa economicamente e sufficientemente lontana dalle tensioni provenienti dall’altra sponda del Mediterraneo quella del nord. Cronicamente arretrata ed esposta ai marosi delle crisi successive alle primavere arabe quella del sud. Sempre seguendo questo ragionamento la  crisi ucraina accentuerebbe un’altra frattura, quella sull’asse est/ovest, o per dirla con un’altra terminologia tra “nuova Europa” e “vecchia Europa”, con la prima timorosa dei tentativi egemonici di Putin (intrisi di zarismo e post-stalinismo) e la seconda ancora disposta a farsi cullare nell’illusione di una improbabile “fine della storia”.

Ma è proprio l’attenzione sulla dimensione “storica” che in questi giorni è forse mancata. leggi tutto

Parigi gennaio 2015: la linea sottile tra emergenza e quotidianità

Michele Marchi - 27.01.2015

I tragici eventi che hanno sconvolto la Francia ad inizio gennaio e le successive risposte dei principali protagonisti politici segnano un tornante nella lunga crisi che attanaglia il Paese perlomeno dall’inizio del XXI secolo? Se di reale tornante ed effettiva cesura sia lecito parlare, sarà solo il tempo a confermarlo o a smentirlo. L’impressione di una qualche forma di discontinuità è però più che evidente.

La prima riguarda il presidente della Repubblica. François Hollande, a metà del deludente mandato che lo ha condotto ad essere l’inquilino dell’Eliseo meno gradito della Quinta Repubblica, sembra avere a disposizione una “seconda chance”. Nelle tragiche giornate del 7-9 gennaio, poi in quella “mitica” dell’11 e nel corso delle varie commemorazioni per le vittime, Hollande ha sfoggiato un “percorso netto”. Ha di volta in volta trovato il giusto tono e la necessaria determinazione. Di fronte all’evento “straordinario” ha insomma contraddetto i suoi critici: ha mostrato cioè di poter essere all’altezza del ruolo. Il Paese in questa complicata congiuntura ha avuto, per la prima volta dal maggio 2012, l’impressione di poter contare su un presidente. È vero che il +21% del suo livello di popolarità dovrà superare la prova del tempo, ma oltre l’80% dei cittadini ha approvato ogni singolo intervento di Hollande nella gestione della crisi. È un dato emblematico per un Paese che ha visto il suo presidente svolgere al meglio le due principali funzioni che Costituzione formale e materiale gli attribuiscono: decidere e rassembler. leggi tutto

Assalto a Parigi: dopo l’unità, qualche amara considerazione

Michele Marchi - 13.01.2015

Dopo i giorni dell’ansia e della crudeltà, sono apparse splendide le immagini giunte da Parigi e da tutta la Francia. Le piazze e le strade sono state travolte da un’ondata di partecipazione e da un comune grido: libertà. Affascinante anche l’immagine dei leader europei, ma non solo, che procedono fianco a fianco e che ricordano le imponenti manifestazioni francesi dell’estate ’44. Scemata l’emotività, è tempo ora delle considerazioni politiche e l’entusiasmo lascia spazio a non poche perplessità ed interrogativi.

I tragici eventi che hanno travolto Parigi tra il 7 e il 9 gennaio riportano in primo piano una serie di criticità e di questioni irrisolte e trascurate. Alcune di queste possono essere considerate di natura globale e, in particolare, riguardano l’area del Vecchio Continente. Altre sono più legate alla specificità della lunga e oramai cronica crisi francese.

Rispetto alle prime, si può proporre uno schema secondo una duplice dimensione: geopolitica e morale. Sul primo punto bisogna ricordare che la presenza alla manifestazione dei principali leader europei, unita a quella di tutti i vertici delle istituzioni comunitarie (presidenti di Consiglio e Commissione, Alto rappresentante e presidente del Parlamento) non può far dimenticare le clamorose e colpevoli divisioni ed inefficienze reiterate in questi anni di fronte ai focolai di crisi che più alimentano l’integralismo terroristico di matrice islamica. Nonostante l’unità di facciata, leggi tutto

Renzi e l’Europa, tra quotidiano e sistemico

Michele Marchi - 30.12.2014
Riflettere sul semestre di presidenza italiano dell’Unione europea che si concluderà ufficialmente con il discorso di Matteo Renzi il prossimo 13 gennaio 2015 può essere un buon angolo visuale sia per fare il punto sull’operato del nostro Primo ministro a poco meno di un anno dal suo ingresso a Palazzo Chigi, sia, più in generale, per fermarsi ad osservare a che punto si trova l’ “infinita” transizione italiana. L’Italia di Renzi, nel corso del semestre di presidenza dell’Ue, ha cercato di mantenersi in equilibrio tra soluzioni congiunturali e più complicate e decisive svolte strutturali. Renzi, il paladino della velocità e della svolta rapida, si trova quotidianamente a fare i conti con esigenze di brevissimo periodo che finiscono, il più delle volte, per cozzare con dinamiche di medio e lungo periodo. Ed il semestre di presidenza, da questo punto di vista, è stato uno specchio fedele di tale difficile equilibrismo.
Nel suo discorso al Parlamento di Strasburgo del 2 luglio scorso Renzi aveva contrapposto un’Europa stanca, annoiata e rassegnata (attraversata da una pericolosa ondata populista certificata dal voto di fine maggio) all’immagine di un mondo che corre veloce e finisce per lasciare indietro proprio il Vecchio Continente. Si era poi soffermato a ricordare che il Patto di stabilità presenta anche, sin dalle origini, una parte dedicata alla crescita, troppo a lungo trascurata. E infine non si era sottratto dalla sfida che nello specifico riguarda l’Italia e cioè la possibilità che, da osservato speciale (insieme a Parigi) delle istituzioni europee, il nostro Paese si trasformi in pungolo rispetto alla cosiddetta linea dell’austerità. Particolarmente apprezzato era stato, a questo proposito, il suo richiamo ad un’Italia che deve cambiare prima di poter chiedere alla stessa Ue un cambiamento.
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A volte ritornano

Michele Marchi - 02.12.2014

Nicolas Sarkozy si è ripreso l’UMP, a dieci anni dalla prima conquista del partito post-gollista creato dalla coppia Chirac-Juppé nel 2002. Il 28 novembre 2004 Sarkozy aveva ottenuto l’85% dei voti dei militanti e avviato la sua rincorsa all’Eliseo, coronata con la vittoria del maggio 2007. Il 29 novembre 2014 il 63% dei militanti gli ha riconsegnato le chiavi del partito della destra repubblicana francese.

Un decennio è passato e si vede! Si potrebbe affermare così, con una battuta. Infatti, le differenze sono davvero notevoli. Cominciamo da quelle più banali, ma non per questo meno importanti. L’attuale Nicolas Sarkozy è l’ex presidente per cinque anni alla guida del Paese e non in grado nel 2012 di ottenere la riconferma per un secondo mandato. La parentesi maggio 2012-settembre 2014 è stata caratterizzata da una serie di faide interne e di guai giudiziari che hanno condotto l’UMP sull’orlo dell’implosione. Si può senza retorica affermare che il trauma del 2012 non è mai stato superato dal partito ed ora è chiamato a risolvere la situazione colui che, di quel trauma, per molti versi è una, se non la principale, causa.

Non si devono poi sottovalutare le differenze di sostanza tra novembre 2004 e novembre 2014. Intanto lo score. Un plebiscito per Sarkozy nel 2004, con l’85% dei voti (anche se in termini effettivi, solo 60 mila voti contro gli oltre 100 mila odierni) e al secondo posto un misero 8% per Dupont-Aignan e un 5% di testimonianza per Christine Boutin. leggi tutto

Diplomazia: un ministro “politico” per una nuova ripartenza

Michele Marchi - 22.11.2014

L’arrivo del quinto ministro in tre anni esatti alla guida della Farnesina è l’occasione per tornare a riflettere sulla politica estera italiana. Ripartendo da un precedente contributo (http://www.mentepolitica.it/articolo/per-una-a-oeterzaa-repubblica-anche-alla-farnesina/140), non si può dimenticare che la proiezione di politica estera del nostro Paese ha subito una profonda evoluzione nel corso dell’ultimo ventennio, essenzialmente per due ragioni. Da un lato ha, infatti, subito gli effetti sistemici del tornante 1989-1992, per intenderci quello che dal crollo del Muro di Berlino conduce al Trattato di Maastricht, passando per la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Dall’altro tali fattori esogeni hanno pesantemente condizionato il quadro politico interno. I vari tentativi (spesso fallimentari, ma comunque reali) di andare nella direzione di una democrazia dell’alternanza ad assetto bipolare e con un rafforzamento del ruolo e della legittimità del Presidente del Consiglio hanno avuto riflessi non trascurabili anche sulle scelte e le modalità di implementazione delle linee di politica estera.

Nel post ’89 l’Italia è stata per certi versi “forzata” alla politica estera, dopo oltre un quarantennio nel corso del quale aveva condotto la sua lenta e costante riabilitazione dopo i disastri della politica estera fascista e aveva cercato di ricostruirsi un’immagine di “media potenza” regionale, collocandosi nel gruppo fondatore del processo d’integrazione europea e sfruttando al massimo l’ombrello protettivo della Nato. Per molti versi il tornante 1989-1992 ha visto “scadere” la rendita di posizione geopolitica del nostro Paese e da quel momento non è stato più sufficiente soltanto seguire, in particolare l’alleato americano, o solo rincorrere, i principali partner europei. leggi tutto