Sciences Po, specchio della Francia?
Il FN conquista Sciences Po? Espresso in questo modo il concetto è mal posto e può essere derubricato a livello di boutade mediatica. Se si decide di affrontare la questione con attenzione e fuori dal gioco degli slogan, allora si fa interessante.
Prima di tutto i fatti, di per sé non eclatanti. FN Sciences Po ha rapidamente raccolto le 120 adesioni necessarie per diventare una delle numerose associazioni (politiche, culturali, sportive) accreditate in uno dei più famosi e prestigiosi istituti di formazione universitaria e post-universitaria a livello mondiale, almeno per quello che concerne le scienze umane, la politologia e la storia politica. Dunque come ha prontamente dichiarato il suo direttore, Frédéric Mion, siamo di fronte alla conferma della vocazione aperta e pluralista di questa grande istituzione, erede dell’Ecole Libre de Sciences Po, poi rifondata nel post ’45 dalla coppia De Gaulle-Debré, dando origine all’Institut d’études politiques e alla Fondation Nationale des Sciences Politiques.
È ugualmente vero che non si è di fronte ad una “prima assoluta”. Nei tardi anni Settanta, il Groupe d’Union Défense (molto attivo nelle facoltà parigine di diritto) aveva avuto al 27, rue Saint-Guillaume una sua rappresentanza e lo stesso si può dire del Cercle National, leggi tutto
Lo “spettro” delle primarie alla francese
Uno spettro si aggira per la Francia oramai da mesi avviata sulla via della lunga campagna presidenziale per il voto del 2017. Si tratta dello spauracchio delle primarie, fonte di imbarazzo e difficoltà politiche per un PS a rischio implosione e per Les Républicains, la nuova creatura di Nicolas Sarkozy che sembra aver ereditato dal post-gollismo faide e trame interne.
Davvero paradossale appare ciò che sta accadendo all’interno del PS. Quando il segretario Cambadélis ha annunciato che quasi sicuramente militanti e simpatizzanti socialisti non sceglieranno il loro candidato per le future presidenziali attraverso l’istituto delle primarie, ad andare in pezzi è stato un ventennio di “democrazia diretta e partecipativa”, applicata con risultati apprezzabili per le candidature del 1995, 2007 e 2012. In realtà il vero salto di qualità si è avuto con le primarie del 2011, rispetto alle quali ha svolto un ruolo non trascurabile il “modello italiano” del 2005. Se infatti nel 1995 con il duello Jospin-Emmanuelli il PS testò il sistema con la partecipazione aperta ai soli iscritti, già nel 2006, seppur in un contesto ancora soltanto interno, le primarie condussero, con la vittoria di Segolène Royal, all’emergere di una leadership non così in linea con l’establishment tradizionale del partito, non fosse altro per questioni di genere. Dal canto suo François Hollande ha utilizzato la lunga campagna per le primarie poi vinte al ballottaggio contro Martine Aubry per costruirsi un profilo di candidato alla presidenza equilibrato e rispettabile, leggi tutto
FN e Francia cattolica: un fronte aperto
Pare che Marine Le Pen abbia attaccato, con l’obiettivo di distruggerlo, un altro muro. Questa volta si tratta di quello che si potrebbe definire l’“assioma di Rémond”. Il grande esperto di storia politica e storia religiosa, nonché abituale commentatore televisivo delle principali tornate elettorali francesi sino alla sua scomparsa nel 2007, ha sempre mostrato che le aree del Paese a maggiore densità di praticanti religiosi sono state quelle a minor penetrazione del voto FN. Insomma nella sempre più laica e secolarizzataFrancia (ma meglio sarebbe dire atea, dato che oltre il 60% si dichiara “senza religione”), la pratica cattolica ha agito da barriera di fronte all’avanzata del voto frontista. Il riferimento al passato è d’obbligo dato che la recente evoluzione potrebbe rendere obsolete le certezze espresse da Rémond e dai principali esperti di flussi elettorali transalpini.
In realtà il discorso è complesso ed è necessario fare un minimo di chiarezza non limitando l’analisi al solo dato elettorale. Si può comunque partire dall’elemento del voto per poi articolare meglio il quadro.
Le elezioni europee di maggio 2014 e quelle dipartimentali della scorsa primavera, hanno evidenziato l’apertura di non poche crepe nel cosiddetto cattolicesimo progressista francese. Alle europee due praticanti su dieci hanno scelto il FN. leggi tutto
La “versione di Prodi”
C’è da chiedersi se il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, che dal palco del meeting riminese di CL ha parlato del fallimentare ultimo ventennio della politica italiana, abbia almeno sfogliato il recente libro intervista realizzato da Marco Damilano con l’ex premier ed ex presidente della Commissione europea Romano Prodi (R. Prodi, Missione incompiuta. Intervista su politica e democrazia, a cura di M. Damilano, Laterza, 2015).
Il padre fondatore dell’Ulivo ricostruisce il suo percorso intellettuale, culturale e politico, ma in realtà tratteggia una sua versione della storia d’Italia e della politica internazionale dagli anni Sessanta del Novecento ai nostri giorni. Ebbene la “versione di Prodi” è di notevole interesse proprio quando entra nel vivo di quell’ultimo ventennio citato da Matteo Renzi, epoca che lo ha visto tra gli indiscussi protagonisti.
Il primo passaggio di rilievo è quello riguardante il giudizio di Prodi su Mani pulite. L’ex premier non teme di andare controcorrente, o di avallare una lettura spesso avversata nell’area di centro-sinistra, quando parla della stagione delle inchieste milanesi di inizio anni Novanta come di un momento di grande opportunità per lottare contro il malaffare e la corruzione, ma allo stesso tempo come l’incubatore del virus di un “populismo senza freni”. Mani pulite e i metodi “giustizialisti” ad esso connessi si tramutano nei facilitatori per l’instaurarsi di un clima di sospetto e di attacco nei confronti non solo di quella parte di classe dirigente politica corrotta, ma più in generale del ruolo della politica in quanto tale. leggi tutto
Rentrée 2015: ultima chiamata per Hollande, ma non solo … .
In queste settimane si è molto parlato del ruolo svolto dallo storico asse franco-tedesco nell’ennesimo (ma forse non ultimo) salvataggio greco. Chi scrive è persuaso, come indicato su queste colonne http://www.mentepolitica.it/articolo/parigi-berlino-e-la-crisi-greca/562, che l’equilibrio della coppia sia oramai rotto e che la leadership, non solo economica ma anche politica, sia ascrivibile a Berlino. Per una serie di ragioni, in larga parte storiche ma anche legate ai nuovi equilibri all’interno dell’Ue a 28, un processo di integrazione a guida tedesca può, sul medio-lungo termine, non essere una notizia così positiva per l’intero Vecchio Continente e nello specifico per l’Italia. Lo “stato di salute” di Parigi diventa così un elemento non trascurabile quando si cercano di valutare le prospettive di ripresa dell’area euro. Per dirla in maniera ancora più esplicita, al di là delle preferenze politiche e dei giudizi personali, il carattere deludente dei tre anni di presidenza Hollande e l’ipotesi di un ritorno alla guida del Paese di Nicolas Sarkozy, dovrebbero preoccupare non poco tutti coloro che hanno veramente a cuore i destini del processo di integrazione europea. Mentre Hollande affonda e Sarkozy arranca, a sorridere resta sempre e comunque Marine Le Pen. Ecco perché la rentrée di Hollande, dopo la pausa estiva, rappresenta uno snodo importante.
Non si tratta di avventurarsi in previsioni relative all’ipotesi che Hollande opti per una clamorosa non ricandidatura nel 2017 (si tratterebbe di una prima assoluta in quasi sessant’anni di V Repubblica). Né tanto meno di insistere sul livello di gradimento bloccato al 20%, peggior risultato dopo tre anni all’Eliseo per qualsiasi presidente quinto repubblicano. leggi tutto
Cambiare davvero verso? L’Italia tra diplomazia e politica di difesa
Dove vuole andare l’Italia? Vuole davvero costruire, su solide basi di riforme interne (istituzionali ed economico-sociali) e su una rinnovata credibilità in politica internazionale, qualcosa che assomigli al rilancio del sistema Paese, inserito nel contesto delle storiche partecipazioni alle varie organizzazioni sovranazionali? Al netto della retorica, pare di no.
In questo secondo decennio del XXI secolo le illusioni da “fine della storia” del post-bipolarismo non solo paiono chimere, ma si stanno tramutando in incubi che rischiano di turbare il sonno di molte generazioni. E il nostro Paese si trova al centro di un pericoloso crocevia “nord-sud” nel quale sfida dell’Isis, immigrazione e crisi libica si aggiungono alle tensioni interne all’Ue tra un nord “virtuoso” e un sud “lassista” e tra Ue e Russia sul confine orientale. Insomma l’Italia è passata in un ventennio dalla “rendita di posizione” che la sua collocazione geopolitica le ha garantito nel corso della Guerra fredda, all’impellente necessità di ricostruirsi un ruolo, tramutando le sfide in opportunità e sfruttando una tradizione di politica estera che, proprio nelle odierne principali aree di crisi, in passato è riuscita ad imporsi ben al di là delle nostre potenzialità.
Come spiegare l’assenza italiana nei vari negoziati che hanno condotto ai fragili, ma ad oggi unici, accordi tra Russia ed Ucraina del febbraio scorso? Un’Italia storicamente in prima linea nel dialogare prima con l’Urss (con il contributo anche della ostpolitik vaticana) e poi soprattutto con la nuova Russia, basti pensare alla storica firma dell’accordo tra Nato e Russia a Pratica di Mare nel 2002. leggi tutto
Parigi, Berlino e la crisi greca
Leggendo i principali commenti alla chiusura del negoziato che ha dato il via libera al terzo piano di aiuti economici alla Grecia, su due punti i principali opinionisti sembravano convenire. Da un lato si è sottolineato l’attivismo del presidente francese Hollande e si è addirittura parlato di una sua vittoria. Dall’altro lato molti osservatori hanno posto l’accento sull’importanza di un operato congiunto di Berlino e Parigi e di conseguenza insistito, ancora una volta, sulla centralità dell’asse franco-tedesco nell’evoluzione del processo di integrazione europea.
Secondo chi scrive il successo di Hollande e il primato dell’asse franco-tedesco possono anche costituire due letture plausibili, a patto che ci si chiarisca sul significato di queste affermazioni.
Partendo da Hollande si deve innanzitutto ricordare quanto proprio l’Eliseo si sia speso per il salvataggio della Grecia, addirittura inviando funzionari di fiducia del presidente ad affiancare i colleghi greci nella stesura del piano da proporre a Bruxelles. Non si deve però dimenticare che Hollande si è mosso in questo modo prima di tutto per ragioni di politica interna. Evitare la Grexit era per lui una conditio sine qua non per il complicato tentativo di non perdere l’ala sinistra del suo partito e in generale tentare di mantenere il controllo della gauche in vista del 2017 e allo stesso modo per contrastare il populismo antieuropeo di Marine Le Pen. In secondo luogo l’inquilino dell’Eliseo si è tramutato nel più strenuo paladino del salvataggio di Atene con un occhio alla possibile evoluzione dell’Ue in caso di Grexit e Brexit. leggi tutto
Europa 2015: “tragedia greca” e “peccato originale”
Quella che si sta consumando in questi giorni è l’ennesima puntata dell’oramai troppo lunga vicenda che dall’autunno 2009 ad oggi viene indicata con l’espressione di “crisi greca”. Al netto delle questioni tecniche e senza sbilanciarsi in previsioni - anche se l’impressione è che si vada verso l’ennesimo “mezzo compromesso” con relativo rinvio e ci si debbano attendere nuove puntate della “fiction infinita” – si può forse introdurre qualche riflessione generale, nel tentativo di individuare la fonte originaria dell'attuale impasse.
Punto primo. Le convulse riunioni di questi giorni hanno mostrato che la cosiddetta “Grexit” potrebbe essere gestita da un punto di vista tecnico (cioè economico-finanziario) grazie, in particolare, all’operato della BCE di Mario Draghi. La stessa ipotesi è però impensabile da un punto di vista “storico-politico” (significherebbe rinnegare il ruolo svolto dalla costruzione europea in termini di soft power democratico tra fine anni Settanta e inizio anni Ottanta dello scorso secolo) e da quello geopolitico (basti pensare agli incontri Tsipras-Putin e al concretizzarsi di un nuovo passo falso lungo l’importante fianco sud-orientale dell’Ue dopo il fallimentare negoziato per l’adesione di Ankara all’Ue).
Punto secondo. Accanto all’emergenziale problema greco si sta sviluppando sottotraccia, ma in maniera sempre più evidente, quello del futuro dell’eurozona. Un altro modo per guardare al caos ellenico è infatti quello di fermarsi a riflettere su cosa vorrà essere l’eurozona da grande. leggi tutto
Les Républicains e le nuove sfide di Sarkozy
Con il lungo intervento al congresso del 30 maggio scorso, Nicolas Sarkozy ha ufficialmente chiuso l’esperienza dell’UMP e avviato quella de Les Républicains. Pressato da ragioni interne al partito (scandali economico-finanziari e crisi di leadership) e dai sempre più pericolosi competitors già in campo (Alain Juppé e Marine Le Pen), Sarkozy ha optato per la strategia di attacco, che in realtà assomiglia ad una ripartenza. Proprio chiudendo il congresso rifondativo è infatti, per certi aspetti, ripartito dalle origini dell’UMP.
Da un lato è tornato al progetto del 2002, quando la coppia Chirac e Juppé aveva accettato la scommessa del bipartitismo e aveva cercato di unificare in uno stesso soggetto partitico tutte le culture politiche della destra e del centro transalpino. Progetto che poi lo stesso Sarkozy, a partire dal 2004, ma soprattutto nella campagna poi fallita del 2012, ha in parte trascurato, occupandosi più di rincorrere il FN che di consolidare l’immagine del partito unico del centro-destra. Oggi Sarkozy dichiara di voler federare le tradizioni gollista, liberale, radicale e democristiana. Nei prossimi mesi bisognerà valutare se allo slogan seguirà un concreto operato in questa direzione.
Dall’altro lato sembra essere tornato il Sarkozy “offensivo” nei confronti della gauche della prima campagna presidenziale, quella conclusasi con la vittoria del 2007. Egli ha esplicitamente legato la scelta del nuovo nome, Les Républicains, proprio alla necessità di sopperire alle gravi mancanze della sinistra, al suo aver smesso da tempo di difendere e incarnare lo spirito repubblicano. Anche in questo caso è difficile non riscontrare un misto di continuità e di novità, rispetto all’epoca della rupture. leggi tutto
Nicolas Sarkozy e “Les Républicains”: tra provocazione e strategia
Nel corso della campagna elettorale per le presidenziali del 2007 Sarkozy aveva, in numerosi dei suoi interventi, “saccheggiato” il Pantheon della sinistra. Si ricordano i suoi riferimenti a Jean Jaurès e a Georges Clemenceau, così come quelli all’eredità della Resistenza e a figure altamente evocative come Georges Mandel e Jean Moulin. Sta accadendo qualcosa di simile con la sua decisione di ribattezzare l’Union pour un mouvement populaire, nel più diretto e semplice, ma anche piuttosto “provocatorio”, “Les Républicains”?
Quando ci si accosta alla figura di Sarkozy si rischia troppo spesso di semplificare un personaggio politico al contrario sfaccettato e complesso più di quanto il suo stile diretto e provocatorio possa far sembrare. Per analizzare la scelta dell’ex presidente della Repubblica bisogna prima di tutto ricordare che il suo ritorno sulla scena politica non è avvenuto né nei tempi, né secondo le modalità che egli aveva immaginato. I suoi guai giudiziari da un lato e quelli interni all’UMP dall’altro, con lo scontro Copé-Fillon e le inchieste legate all’affaire Bygmalion, hanno imposto un calendario più accelerato. Soprattutto hanno obbligato Sarkozy a ripartire dal partito, imponendogli così una lunga “traversata del deserto” come leader dell’opposizione e di conseguenza eliminando l’ipotesi del rientro nell’agone a pochi mesi dal voto del 2017, come risorsa di ultima istanza per un Paese bloccato e sfinito da cinque anni di inconsistente presidenza Hollande. Da non trascurare infine i timori per la crescita esponenziale del “nuovo FN” di Marine Le Pen e quelli altrettanto reali, per lo spazio politico progressivamente occupato a destra da Alain Juppé. leggi tutto