Le incognite della riforma elettorale
In queste settimane le forze politiche e il Parlamento sono chiamati a riscrivere le leggi elettorali, dopo la sentenza 35/2017 della Corte Costituzionale. Un accordo appare improbabile, anche perché non è chiaro cosa si vuole dal sistema "che trasforma voti in seggi". Alla base della scelta di un modello esistente o dell'elaborazione di un nuovo meccanismo c'è sempre uno scopo: nel 1948, quello di rappresentare i partiti e la società così com'erano (in un sistema proporzionale, inoltre, la centralità della Dc aumentava le possibilità che una coalizione di governo non potesse non ricomprendere i democristiani); nel 1953, la cosiddetta "legge truffa" (o "legge Scelba") tendeva a premiare l'unica possibile coalizione di partiti che potesse raggiungere il 50% più uno dei voti (quella formata da Dc e alleati minori centristi) isolando le estreme di destra e di sinistra per sottorappresentarle e, soprattutto, recuperare alla Dc - in forma di "voto utile" - il consenso andato "in libera uscita" a destra nel Mezzogiorno in occasione delle amministrative del '52; nel 1994, invece, uno scopo politico non c'era: in presenza del pronunciamento popolare sulla legge elettorale del Senato e in pieno sgretolamento del sistema dei partiti, si adottò un meccanismo simile al "ritaglio referendario" (in quella occasione ci fu chi si illuse, leggi tutto
Il circuito del consenso
Nelle democrazie contemporanee, il ruolo dell'opinione pubblica appare predominante: i sondaggi ci restituiscono quotidianamente indicazioni sulle tendenze politiche e sociali che si vanno affermando, tanto che la classe politica e gli operatori dei mezzi di comunicazione di massa finiscono per attribuire a questi strumenti di misurazione un valore ben maggiore rispetto a quello che oggettivamente hanno. Sembra quasi che le "democrazie avanzate" non sappiano e non possano fare a meno di quello che Patrick Champagne, nel suo "Faire l'opinion - Le nouveau jeu politique" (edito nel 1990, ma giunto con più nuove edizioni fino ai giorni nostri) definisce come una situazione di "elezioni permanenti": "anche se i deputati restano legalmente eletti per cinque anni, la loro legittimità dipende ormai in modo crescente dai risultati dei sondaggi elettorali e dal livello di popolarità". In altre parole, secondo lo studioso francese, gli uomini politici, che sono eletti per decidere, finiscono per essere sottomessi ad una "volontà popolare" espressa nei sondaggi e che sembra rendere possibile il prevalere "di una sorta di democrazia diretta" che dipende, giorno dopo giorno, dal giudizio degli interpellati sui vari temi. Secondo Champagne, la pratica è alla base di un "pensare per sondaggi" che va affermandosi, cioè la tendenza" a convocare in permanenza gli intervistatori per decidere in nome d'una opinione che è stimata come maggioritaria". leggi tutto
La Repubblica bloccata
Dopo la sentenza della Corte costituzionale che ha abolito il ballottaggio per la Camera, "ritagliando" l'Italicum, l'Italia si avvia - in mancanza di novità - a tornare alla proporzionale. La Seconda Repubblica, nata con una legge elettorale ricalcata in buona misura su quella del Senato (essendo una versione rimodellata di quanto scaturito dal referendum del 1993), arrivata al giro di boa con il "Porcellum" del 2005 (in parte dichiarato incostituzionale), ha visto "nascere" una terza legge da una sentenza della Consulta (1/2014: il Consultellum) e poi una quarta (l'Italicum) anch'essa non uscita indenne dal vaglio della Corte costituzionale. In altre parole, il Parlamento non è riuscito a concepire qualcosa di nettamente diverso rispetto ad un'indicazione "esogena" (il referendum del 1993, le sentenze della Consulta) e nemmeno ad approvare leggi che fossero in grado di superare senza problemi il vaglio di costituzionalità: si tratta di vicende diverse negli anni, ma che forse ritraggono sufficientemente bene una lunga stagione nel corso della quale la progettualità politica ha spesso lasciato il posto all'approssimazione, alla quantità e all’immagine (delle riforme e delle promesse mancate) piuttosto che alla qualità. Dunque, se non avremo sorprese, il sistema dei partiti dovrà ristrutturarsi su basi molto diverse da quelle che si prevedeva dovessero caratterizzare la "Terza Repubblica", leggi tutto
Un nuovo bipolarismo (imperfetto)
L'ipotesi che, dopo le prossime elezioni politiche, la destra lepenista di Salvini e Meloni si allei col M5S per formare un governo appare improbabile. Alcune convergenze in materia di politica estera, immigrazione e soprattutto sull'euro spingono alcuni a ritenere che ci sia spazio per una collaborazione. Forse, però, la situazione è diversa. Mentre nel 2013 avevamo visto il bipolarismo della Seconda Repubblica lasciare il posto al tripolarismo (centrodestra, centrosinistra, M5S), oggi appare chiaro che la distinzione principale - almeno quella percepita da parte non irrilevante dell'elettorato - è pro o contro l'euro e l'Unione europea: una sorta di nuovo bipolarismo, molto imperfetto. La contrapposizione destra-sinistra perde forza se abbiamo da un lato un partito che "si chiama fuori" da questa distinzione (il M5S) e dall'altro due blocchi che dovrebbero essere compatti e contrapposti, ma che in realtà non lo sono (nell'ex centrosinistra lo strappo fra il Pd e le forze di sinistra radicale è ben lungi dall'essere ricucito; nel centrodestra le distanze fra Forza Italia e Lega-FdI, a maggior ragione dopo l'elezione di Tajani alla guida dell'Europarlamento e la vittoria di Trump negli USA, si accentuano anzichè ridursi). Oggi il partito di Berlusconi è più vicino al PPE, alla Merkel e persino al Pd di Renzi di quanto lo sia rispetto agli alleati lepenisti italiani. leggi tutto
La democrazia "migliore"
Spesso, nel dibattito politico quotidiano, si tende a marcare la differenza e la contrapposizione con gli avversari affermando la supremazia del proprio partito e dei propri elettori: i "migliori" contro gli altri (intesi come incapaci, corrotti, diffusori di notizie false e di ideologie fuorvianti e via dicendo). Si tratta di un modo per tenere uniti i sostenitori e per segnalare alla parte dell'elettorato del partito un po' meno fedele e affezionata che un'altra scelta non solo non è possibile, ma che è suicida. Il concetto di “migliore” è stato analizzato con cura da Antonio Campati in un suo recente volume ("I migliori al potere - La qualità nella rappresentanza politica" - ed. Rubbettino). Secondo Campati, "l'idea-concetto di qualità si incontra e, in un certo qual modo, si scontra con l'ideale democratico; in altri termini, quello che possiamo definire come il principio qualitativo della classe politica - la necessità di qualificare le élite di comando - non solo è (ancora) parte centrale della teoria democratica, ma si interseca con non pochi interrogativi problematici che da essa vengono sviluppati". In altre parole, al di là dell'uso propagandistico che si può fare del concetto, c'è una delle più grandi questioni irrisolte del dibattito sulla democrazia: in un sistema che tende a rappresentare, leggi tutto
Leggi elettorali e "second best"
In un recente saggio ("Le nouvel ordre électoral" - ed. Seuil) Hervé Le Bras ci spiega che il tripartitismo francese si è ormai affermato, ma aggiunge che le dinamiche elettorali tendono a premiare maggiormente, laddove si arriva a ballottaggi a due, la destra rispetto alla sinistra e a scapito (pressochè sempre) del FN di Marine Le Pen. Anche se il demografo francese si spinge ad ipotizzare un esito più agevole per l'eventuale sfidante della leader di estrema destra (con una vittoria più ampia se il "competitor" fosse di destra, rispetto ad uno sfidante di sinistra), lo studio mette in chiaro come, in un sistema dove ci sono tre blocchi disposti su un asse ben delineato (in questo caso: sinistra-destra) il soggetto politico che è idealmente in mezzo agli altri due (quindi centrale sul continuum, non necessariamente centrista) è favorito, perchè raccoglie i voti di chi - a sinistra e nel FN - lo considera come il male minore. Esaminando le elezioni del 2012, 2014 e le due tornate amministrative del 2015, Le Bras afferma che "grazie alla sua posizione centrale, la destra ottiene un numero di seggi ben superiore a quello che potrebbe ottenere in rapporto ai voti del primo turno" e aggiunge che "un Fronte Nazionale al 25 o 30% sembra annunciare un lungo periodo di dominio della destra", leggi tutto
Il sano realismo del Quirinale
Fra il primo messaggio di fine anno del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e quello dello scorso 31 dicembre c'è più di un punto di continuità, anche se il 2016 della politica italiana è stato un anno di svolta e - per certi versi - di cambiamento. La bussola del Quirinale, tuttavia, resta la stessa: la Costituzione. Se nel 2015 il discorso di Mattarella era stato una sorta di rassegna dedicata alla Carta repubblicana, nel 2016 il Capo dello Stato ha concentrato la sua attenzione su pochi punti essenziali, per primo il lavoro, "il problema numero uno del Paese", che impedisce a "troppe persone a cui manca da tempo" di "sentirsi pienamente cittadini". In altre parole, quell'articolo 1 della Costituzione, che molti reputano un artificio retorico ("la Repubblica fondata sul lavoro") è invece alla base della nostra convivenza: "non ci devono essere" - come ha detto Mattarella - "cittadini di serie B". Non è solo una questione di dignità personale, ma di rispetto del principio di uguaglianza e di piena appartenenza a quella comunità nazionale alla quale il Capo dello Stato ha più volte fatto riferimento: una comunità che "va costruita giorno per giorno, nella realtà", condividendo valori e doveri, rafforzando la coscienza civica, chiamando tutti - soprattutto chi ha maggiori responsabilità - a dare l'esempio e ad ascoltare leggi tutto
L'anno che verrà
La fine della campagna referendaria e l'insediamento del governo Gentiloni non hanno portato al Paese la serenità che sarebbe opportuna per superare mesi di aspre contrapposizioni. Nonostante l'azione del Capo dello Stato e l'indole moderatrice del nuovo Premier, l'anno che ci attende sarà contraddistinto dal proseguimento dell'ormai eterna battaglia elettorale. La prima metà del 2017, infatti, sarà caratterizzata dal congresso del Pd e da due appuntamenti elettorali: uno con le amministrative (si voterà in un migliaio di comuni), l'altro con i referendum abrogativi (sui licenziamenti - in pratica sull'articolo 18 - sui voucher nel lavoro accessorio, sulla responsabilità solidale in materia di appalti) ai quali molto probabilmente la Consulta darà il via libera entro il 20 gennaio. Sempre la Corte Costituzionale sarà protagonista di un altro passaggio-chiave della legislatura: la pronuncia sull'Italicum. Le forze politiche attendono con ansia la sentenza - che però non arriverà prima del 24 gennaio - e che potrebbe portare a tre esiti possibili: 1) le obiezioni di costituzionalità potrebbero essere dichiarate inammissibili (in fondo la legge non è ancora stata applicata ed è difficile valutare se leda dei diritti); 2) la questione di legittimità costituzionale potrebbe essere respinta, lasciando la legge inalterata; 3) potrebbero, infine, essere accolte una o più censure, tra le quali quella sul ballottaggio (non è chiaro con quali conseguenze: dipenderebbe dalle argomentazioni della Corte). leggi tutto
Geografia referendaria
L'esito del referendum costituzionale ci restituisce una geografia elettorale non troppo diversa nelle tendenze rispetto alle politiche del 2013 e soprattutto alle europee del 2014, ma evidenzia alcune novità (fra tutte, l'affluenza al 68,5%) che a nostro avviso spiegano molto di ciò che è accaduto nel Paese il 4 dicembre. Il primo dato è sorprendente - a dimostrazione del fatto che le coincidenze, talvolta, hanno un valore maggiore di quello che gli attribuiamo - e riguarda il potenziale di voto dello schieramento del “sì” alle europee 2014 (Pd più centristi), raffrontato a quello del “sì” abrogativo della legge sul divorzio (base di partenza di Dc e Msi il risultato delle politiche 1972). Fanfani partiva, nel '74, dal 47,33% e giunse al 40,74% (-6,6%); Renzi, 42 anni dopo, è partito dal 47,31% delle europee ed è giunto al 40,89% (-6,4%). Lo stesso Craxi, che nel 1985 vinse il referendum sulla scala mobile partendo dal 58,62% delle precedenti politiche, ebbe una percentuale dei "no" pari al 54,32% (-4,3%). In altre parole, in tutti questi casi i leader hanno pagato un dazio. Ma con una differenza: la coalizione di Craxi godeva di un consenso largamente maggioritario nel Paese e nelle urne oltre che in Parlamento, mentre quelle di Fanfani e Renzi partivano sotto quota 50% ed erano costrette a rimontare. In un articolo precedente per Mentepolitica ("Geografia pre-referendaria": http://www.mentepolitica.it/articolo/geografia-pre-referendaria/1019) leggi tutto
Primarie a destra: l'Italia non è la Francia
Per la prima volta, i partiti del centrodestra francese stanno facendo scegliere agli elettori il proprio candidato all'Eliseo. Il primo turno di votazione si è svolto domenica 20 novembre. Accedono al ballottaggio François Fillon e Alain Juppé; l'ex Capo dello Stato Nicolas Sarkozy, invece, è giunto al terzo posto, quindi è rimasto escluso dal secondo turno (rimandiamo, per un approfondimento, all’articolo di Michele Marchi per Mentepolitica del 23 novembre scorso: "Primarie francesi 2016: un ciclone Fillon" (http://www.mentepolitica.it/articolo/primarie-francesi-2016-un-ciclone-fillon/1034). La partecipazione al voto è stata elevata (circa 4 milioni di elettori) anche considerando che si trattava della prima esperienza di elezioni primarie per questa area politica (i socialisti, invece, hanno adottato da anni questo metodo di selezione). Da tempo, in Italia ci si chiede se quel che resta della CDL sia in grado di organizzarsi non solo per costituire una coalizione o (cosa più difficile, se non impossibile) un "listone unico" da presentare alle elezioni, ma anche se sia possibile dar vita a "primarie" aperte agli elettori di area. Le difficoltà non sono di carattere organizzativo (o lo sono solo marginalmente) perchè il nodo è politico. In primo luogo, bisognerebbe stabilire se tutti i candidati sarebbero disposti ad accettare (come in Francia è avvenuto) di riconoscere il risultato sia pure in presenza di quel 23% di votanti leggi tutto