Ultimo Aggiornamento:
27 marzo 2024
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Il primo turno delle elezioni amministrative (2° parte)

Luca Tentoni - 24.06.2017

A conclusione della nostra analisi del primo turno delle elezioni amministrative del 2017, occupiamoci del rendimento di liste e "famiglie politiche" (centrodestra, centrosinistra, centro, M5S, civiche-altri) iniziando dai 25 comuni capoluogo di provincia dove si è votato l'11 giugno. Un primo raffronto fra i dati delle comunali 2017 (capoluoghi) e quelli delle precedenti (2012-’14) evidenzia un rafforzamento del centrodestra "modello CDL 2008" (+4,7%) e un indebolimento del centrosinistra "Unione 2006" (-2,5%), mentre il M5S guadagna il 2,5%. Allargando il confronto a 64 comuni (includendo i 39 non capoluoghi con più di 30mila abitanti) alcuni divari fra le due elezioni diventano molto più contenuti: il centrodestra guadagna lo 0,8%, il centrosinistra cresce dello 0,5%, il M5S passa dal 7% al 10,1%. Si tratta, ovviamente, di elezioni svolte in ambiti temporali e condizioni politiche, sociali ed economiche molto differenti e distanti fra loro. Sul piano dell'offerta politica, il sistema è diventato tripolare nel 2013, cioè l'anno seguente alle amministrative che raffrontiamo con le attuali. Alcune tendenze, però, emergono nettamente: nel centrodestra, FdI e Noi con Salvini-Lega Nord (più la lista di Bitonci a Padova) raggiungono l'11,4% dei voti contro il 7,9% di Forza Italia e il 14,4% delle liste civiche eterogenee di centrodestra. Nel complesso dei 64 comuni oggetto nel nostro studio i due partiti "sovranisti" hanno insieme il 9,6% contro il 7,5% degli "azzurri" e il 13,2% delle altre liste. leggi tutto

Il primo turno delle elezioni amministrative (1° parte)

Luca Tentoni - 17.06.2017

L'analisi dei risultati del primo turno delle elezioni amministrative del giugno 2017 non può che iniziare dal ruolo svolto dall'astensionismo. Il “non voto” non sembra essere aumentato il modo uniforme: questa scelta è stata più condivisa dagli elettori del M5S, per esempio, seguiti da quelli di centrosinistra. Il centrodestra, nel suo complesso, è riuscito invece, nei 64 comuni (25 capoluoghi e 39 non capoluoghi) oggetto del nostro studio, a mantenere un numero di voti quasi in linea con le precedenti consultazioni (673mila nel 2017, 617mila alle regionali, 517mila alle europee, 796mila alle politiche, 712mila alle comunali 2012-'14): nello specifico, però, si registra il calo di Forza Italia. In quanto ai Cinquestelle, il dato del 2017 è superiore a quello delle precedenti comunali (223mila contro 169mila): allora, però, non erano presenti in tutti i centri. Nei capoluoghi "bianchi" del Nord, inoltre, il M5S scende dai 43mila voti delle scorse comunali a 36mila. Altri raffronti (nei 64 comuni) sono molto più indicativi della forte differenza di consenso ai Cinquestelle rispetto alle scorse consultazioni: -121mila voti sulle regionali, -270mila sulle europee, -565mila sulle politiche. Anche il centrosinistra allargato, modello "Unione" (dal Pd fino alla sinistra radicale compresa), ha un saldo negativo con le politiche 2013 (-18mila voti), con le europee (-129mila) e con le scorse amministrative leggi tutto

Verso le comunali dell'11 giugno - 8) I dati di 64 comuni, per una prima valutazione

Luca Tentoni - 07.06.2017

Nelle scorse puntate di questo studio abbiamo descritto l'evoluzione storica e geografica delle elezioni nei venticinque comuni capoluogo chiamati al voto l'11 giugno; inoltre, abbiamo individuato trentanove comuni non capoluogo - quelli con almeno 30mila abitanti - che presentano caratteristiche tali da poter costituire una base per un raffronto con i risultati del 2017; infine, abbiamo unito i dati di tutti i 64 comuni (capoluoghi e non) per ricavarne un quadro d'insieme che somiglia molto a quello globale del Paese. Ciò ci permette di valutare il peso dei partiti e degli schieramenti e di provare a stimare quello che potrebbe essere lo scarto probabile rispetto ad un voto politico nazionale. In altre parole, da un lato ci limitiamo alla valutazione dei dati relativi a capoluoghi e non capoluoghi e ci prepariamo a raffrontarli con quelli del voto del 2017, mentre dall'altro - in modo un po’ meno scientifico, dunque con le dovute cautele - proviamo ad ipotizzare quanto il dato di quest'anno possa differire, partito per partito, da quello globale. Dividiamo i soggetti politici in tre gruppi: quelli che nei 64 comuni ottengono in media (nel periodo 2008-2014) una percentuale che si discosta di non più dello 0,29% dalla media nazionale; quelli che se ne discostano fra lo 0,3% e lo 0,59% medio; leggi tutto

Verso le comunali dell'11 giugno - 7) I comuni non capoluogo

Luca Tentoni - 03.06.2017

Il voto amministrativo del 2017 riguarda, oltre ai venticinque capoluoghi di provincia, altri 138 comuni non capoluoghi con popolazione superiore a 15mila abitanti e 858 centri minori. Nel nostro studio abbiamo voluto prendere in considerazione anche i 39 comuni non capoluogo che hanno almeno 30mila abitanti, cioè una dimensione media fra quella "cittadina" e "metropolitana" e quella "periferica" (rappresentata, quest'ultima, dai piccoli centri). Come si è visto in Francia alle presidenziali e in Gran Bretagna con la Brexit, il voto dei comuni più grandi è spesso molto diverso rispetto a quelli piccoli. In Italia la differenza è stata sempre molto marcata, in particolare durante la Prima Repubblica, quando la Dc otteneva i suoi migliori risultati nei centri minori e i laici nelle grandi-medie città. Nel 1987, secondo una nostra elaborazione (“L’Italia del 5 aprile”, ed. Acropoli, 1993), la Dc ebbe il 28,2% dei voti nei centri oltre i 300mila abitanti contro il 34,3% della media nazionale e il 39,2% dei comuni fino a 10mila abitanti; i partiti laici non socialisti (Pri, Pli, Pr, Verdi) conseguirono complessivamente, nel 1987, il 15,8% nei centri oltre 300mila abitanti, l'11,1% in media nazionale, ma solo il 7,8% nei comuni fino a 10mila abitanti. C'è poi da considerare il confronto fra capoluoghi e non capoluoghi: le maggiori differenze di voto, nel 1992, leggi tutto

Verso le comunali dell'11 giugno - 6) La continuità territorale dei poli (1948-2013)

Luca Tentoni - 27.05.2017

Nelle precedenti tappe del nostro percorso verso il voto dell'11 giugno abbiamo comparato i dati relativi ai venticinque capoluoghi di provincia chiamati alle urne, confrontando i risultati ottenuti dai partiti e dalle coalizioni per area geo-politica, nel complesso e in rapporto col voto dell'intero Paese. Qui vogliamo invece chiederci fino a che punto sia dimostrabile una continuità fra le tendenze politiche della Prima e della Seconda Repubblica e se le mutazioni elettorali degli ultimi cinque anni abbiano interrotto tale continuità. Gli indici di correlazione fra voto a FI nel 2014 e al Pd nel 2013 e nel 2008, per esempio, ci spiegano che la distribuzione territoriale del voto al partito di Berlusconi è rimasta pressochè uguale, nonostante la notevole perdita di voti in valore assoluto e percentuale. L'indice è 0,87 nel Nord bianco, 0,91 nella Zona rossa e 0,71 nel Mezzogiorno allargato (dove la tenuta "azzurra" è stata meno costante e più messa alla prova dall'ascesa del M5S). La Lega Nord, invece, mantiene le sue aree di insediamento tradizionale, così come il Pd nella Zona rossa (0,86) e nel Mezzogiorno allargato (0,78) ma un po' meno nel Nord bianco (2013-2014: 0,66). In quanto al M5S, conferma la sua distribuzione territoriale dei consensi fra il 2013 e il 2014 nel Nord bianco (0,86) e nella Zona rossa (0,90), leggi tutto

Verso le comunali dell'11 giugno - 5) I 25 capoluoghi fra il 2012 e il 2014

Luca Tentoni - 20.05.2017

Fra il 2008 e il 2013 il panorama politico italiano cambia profondamente. I diversi rapporti di forza fra i partiti, le variazioni territoriali e complessive nelle percentuali dei "poli" (soprattutto di quello di centrodestra), l'ingresso di nuovi soggetti politici nell'arena elettorale contribuiscono - sotto la spinta di una devastante crisi economica e sociale - a mettere fine alla stagione della Seconda Repubblica, per entrare in una fase di transizione la quale, a tutt'oggi, non è conclusa. Nei venticinque capoluoghi oggetto del nostro studio - quelli dove si voterà l'11 giugno prossimo per eleggere sindaci e rinnovare i consigli comunali - il mutamento si avverte profondamente. In questi centri (e, come vedremo in una successiva occasione, in altri 39 comuni non capoluoghi con popolazione superiore a 30mila abitanti) si assiste a fenomeni elettorali "migratori" diversi a seconda delle zone del Paese e della loro pregressa "attitudine politica". Fra le elezioni del 2008 e quelle del 2013 cambia partito circa il 40% degli italiani (39,1% nazionale, 40,85% in questi capoluoghi). I partiti di centrodestra (Pdl, Lega Nord, Destra-FDI-Altri minori) passano dal 46,3% (-1,8% su MNaz) al 26,1% (-3% su MNaz), mentre tutti i soggetti politici di sinistra (Pd, socialisti, Sel e altri) scendono dal 43,8% (+1,6% su MNaz) al 33,2% (+1,6% su Mnaz). Oltre al progresso dei centristi (10,8%, +0,2% su Mnaz, +3,2% su 2008), dovuto principalmente leggi tutto

Verso le comunali dell'11 giugno - 3) I 25 capoluoghi fra il 1972 e il 1992

Luca Tentoni - 06.05.2017

Il periodo fra il 1968 e il 1972 segna un punto di svolta nella storia politica e sociale italiana. Anche nei venticinque capoluoghi oggetto del nostro studio, nei quali si voterà l'11 ed eventualmente il 25 giugno prossimi, qualcosa cambia. I partiti di sinistra iniziano a compiere una progressione – inizialmente cauta, poi molto marcata nel 1975-'76 - che li poterà a sfiorare la maggioranza assoluta dei voti, anche nel Paese (pur considerando che, per mille ragioni ben note, una coalizione di governo dal Psdi alla sinistra estrema non avrebbe mai potuto costituirsi). Come nel periodo 1948-'68, nella famiglia politica del Centro la Dc è costantemente sottorappresentata rispetto alla media nazionale: ha il 36,3% nel 1972 (naz. 38,7%: -2,4%), sale al 38% nel '76 (-0,7% risp. MNaz), torna al 36,7% nel '79 (-1,6% MNaz) ma poi declina (30,3% 1983: -2,4% MNaz; 31,5% 1987: -2,9% MNaz; 25,9% 1992: -3,8% MNaz). La paura del sorpasso comunista, che nel resto del Paese non aumenta la percentuale democristiana (che resta nel '76 al 38,7%, come nel '72), porta alla Dc, nei capoluoghi oggetto del nostro studio, un progresso dell'1,7% che però è perduto quasi interamente già nel '79. I partiti liberaldemocratici, invece, hanno sempre risultati migliori rispetto alla media nazionale. Il Pri, in particolare, diventa il partito capace di catturare meglio il voto d'opinione del Nord (in questa fase, con Ugo La Malfa prima, poi con Giovanni Spadolini, ottiene risultati migliori rispetto al Pli). leggi tutto

Verso le comunali dell'11 giugno - 2) I 25 capoluoghi fra il 1948 e il 1968

Luca Tentoni - 29.04.2017

Il nostro viaggio nei comuni dove si voterà l'11 e il 25 giugno prossimi inizia dai capoluoghi. Siamo andati molto indietro nel tempo, fino alle elezioni per la prima legislatura repubblicana. In questo articolo ci occuperemo del comportamento elettorale negli anni che vanno dal 1948 al 1968. Non si tratta di un esercizio di scuola, ma di un tentativo di individuare tendenze (se ce ne sono) capaci di resistere al tempo e di arrivare (più o meno intatte) fino ai giorni nostri. Anche se è evidente che del milione e 655 mila elettori che ha votato nei 25 capoluoghi il 18 aprile 1948 solo una piccola parte è ancora in vita (i più giovani sono del 1927, essendo allora la maggiore età fissata a 21 anni) ci sono però comportamenti elettorali "ereditati". La distribuzione dei consensi ai partiti ci aiuterà, inoltre, a dividere i venticinque capoluoghi in tre aree - alle quali abbiamo già fatto accenno nell'articolo precedente - che denominiamo "Nord bianco", "Zona rossa" e "Mezzogiorno allargato". Per costruirle abbiamo preso in considerazione il comportamento elettorale nelle tre zone durante il primo ventennio repubblicano. I capoluoghi italiani (non solo quelli in esame, ma nel complesso), è bene dirlo in via preliminare, hanno sempre avuto un voto meno orientato verso la Dc e più favorevole a laici e Msi leggi tutto

Verso le comunali dell'11 giugno - 1) Il quadro d'insieme

Luca Tentoni - 22.04.2017

Il voto amministrativo del 2017 riguarderà circa un quinto della popolazione e del corpo elettorale, un quarto dei comuni capoluoghi di provincia, un ottavo circa dei comuni. L'11 giugno (con eventuale ballottaggio, ove previsto, il 25 giugno) si voterà infatti in 1021 centri, 858 dei quali con popolazione inferiore a 15mila abitanti. I comuni superiori sono dunque 163. Oltre ai 25 capoluoghi di provincia ne abbiamo altri 138, così ripartiti: 52 fra 15 e 20 mila abitanti, 47 fra 20 e 30mila, 20 fra 30 e 40mila, 12 fra 40 e 50mila, 4 fra 50 e 75mila (Legnano, Carrara, Portici, Molfetta) e 3 oltre 75mila (Sesto San Giovanni, Guidonia Montecelio e Pozzuoli). Fra i comuni con una popolazione compresa fra 20 e 30mila abitanti, venti sono al Nord, cinque al Centro, tredici al Sud, nove nelle Isole. Fra gli altri 39 non capoluoghi (da 30mila abitanti in su) ce ne sono tredici del Nord, dieci del Centro, tredici del Sud e tre delle Isole. In questa fascia di comuni, dunque, il test sembra particolarmente importante, perchè le elezioni amministrative coprono abbastanza bene le diverse realtà del Paese. I comuni capoluogo che vanno alle urne, invece, sono stavolta prevalentemente settentrionali: quattordici su venticinque (al Centro sono quattro, al Sud quattro, nelle Isole tre). Ciò nonostante, come vedremo nelle prossime puntate di questo lungo viaggio nelle amministrative del 2017, leggi tutto

Il “doppio turno” francese

Luca Tentoni - 15.04.2017

Il 23 aprile i francesi voteranno per il primo turno delle elezioni presidenziali. L'articolo 7 della loro Costituzione specifica che il Capo dello Stato "è eletto a maggioranza assoluta dei voti espressi. Se tale maggioranza non viene conseguita al primo scrutinio, si procede ad una nuova votazione, nel quattordicesimo giorno seguente. Possono presentarsi solo i due candidati che, a parte un eventuale ritiro, hanno ottenuto più voti al primo turno". Nella storia della Francia, da quando, nel 1962, la riforma costituzionale voluta da Charles De Gaulle ha reintrodotto (e non introdotto ex novo: il 10 e l'11 dicembre 1848, infatti, Carlo Luigi Napoleone Bonaparte era stato eletto col 74,31% dei voti espressi, pari a 5.587.759 su 7.542.936 votanti) l'elezione diretta del Presidente della Repubblica, nessun presidente è stato mai eletto al primo turno: nel 1965 (5-19 dicembre) De Gaulle ebbe il 44,65% dei voti (andò al ballottaggio - vincendolo col 55,2% dei suffragi popolari - con François Mitterrand, giunto secondo col 31,72%); nel 1969 (1-15 giugno) Georges Pompidou ottenne il 44,47% (Alain Poher 23,31%), vincendo poi col 58,21%; nel 1974 (5-19 maggio) fu Mitterrand a classificarsi inizialmente primo, col 43,24%, ma Valéry Giscard d'Estaing (32,6% al primo turno) vinse al ballottaggio col 50,81%; nel 1981 (26 aprile-10 maggio) fu invece Mitterrand (25,85% al primo turno, 51,76% al secondo) a battere Giscard d'Estaing (28,31% al primo turno, 48,24% al secondo); Mitterrand vinse inoltre nel 1988 (24 aprile-8 maggio) leggi tutto