Ultimo Aggiornamento:
17 aprile 2024
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Riflessioni sulla riforma elettorale

Luca Tentoni - 30.09.2017

La nuova proposta di riforma elettorale per Camera e Senato torna ad assegnare una certa quota di seggi (circa il 37%, contro il 75% del Mattarellum) in collegi uninominali col plurality system, in ciascuno dei quali il candidato che arriva al primo posto è eletto. Non si tratta di un ritorno al maggioritario, perchè il meccanismo è di impianto proporzionale: il fatto che non ci sia scorporo dei voti utilizzati dai vincitori nei collegi uninominali è l'indizio che il fine dell'introduzione di questa quota di posti assegnata col "sistema inglese" è solo quello di dare un piccolo premio ai partiti che riescono a coalizzarsi e ad imporsi in un certo numero di realtà locali. Il nuovo Rosatellum non è il sistema tedesco, dunque (puramente proporzionale per chi supera lo sbarramento del 5%) e neppure il Mattarellum (il difetto del quale, a nostro modesto parere, era proprio la quota proporzionale, che "annacquava" l'effetto della competizione maggioritaria uninominale). È, più semplicemente, un modo per introdurre l'apparentamento di partiti (per vincere nei collegi) e nel contempo consentire la competizione fra le liste (per il 63% dei seggi). Un compromesso per superare il blocco delle posizioni dei partiti circa l'attribuzione di un premio di maggioranza: il Pd voleva continuare ad assegnarlo al primo partito, leggi tutto

I risvolti elettorali della "fine del dibattito pubblico"

Luca Tentoni - 23.09.2017

L'uso non sempre ragionevole e accorto dei nuovi mezzi di comunicazione di massa, il mutamento del linguaggio politico e il clima di campagna elettorale permanente rischiano di produrre effetti sullo stato delle democrazie? Se lo chiede Mark Thompson, nel suo "La fine del dibattito pubblico" (Feltrinelli, 2017). L'autore, che è stato direttore generale della Bbc (ora è al "New York Times") si pone un problema che riguarda le democrazie in generale, ma che in Italia appare particolarmente grave. Le nostre elezioni politiche si avvicinano, ma viviamo ormai da anni (se non dall'inizio della cosiddetta "Seconda Repubblica") in un clima di campagna elettorale senza soluzione di continuità. La mobilitazione generale finisce per ridurre al minimo gli spazi del confronto civile e persino della convivenza fra i sostenitori dei soggetti politici in competizione: "quando l'ideologia è al picco" - ricorda Thompson - "e per tanti partiti e per gli attivisti di tutti i partiti questo significa sempre, incontrare l'avversario a metà strada equivale a un tradimento". Citando il saggio "The Spirit of Compromise" di Amy Gutmann e Dennis Thompson (Princeton University Press, 2012), lo studioso stigmatizza il fatto che le campagne elettorali sono diventate interminabili, invece di essere limitate a periodi precisi prima delle elezioni. In primo luogo, dunque, leggi tutto

Sistemi elettorali, i risvolti politici del “disallineamento”

Luca Tentoni - 16.09.2017

Non è detto che avere due sistemi elettorali diversi sia un problema per tutti. Per alcuni potrebbe essere addirittura una risorsa. La possibilità di apparentamenti per il Senato e non per la Camera permette di creare coalizioni regionali per Palazzo Madama e, nel contempo, di sviluppare una competizione serrata fra alleati/avversari per Montecitorio. Da una parte amici, dall'altra concorrenti; da un lato (Senato) il “piano A” - la coalizione fra simili – e dall'altro il “piano B” - dove ognuno corre per conto proprio e, all'apertura delle urne, può allearsi con chi vuole. Durante la Seconda Repubblica, invece, le cose sono andate diversamente: di solito, le coalizioni (per scelta politica, non per obbligo giuridico, s'intende) erano omogenee in entrambi i rami del Parlamento. Persino nel 1994, quando Berlusconi creò la doppia coalizione Forza Italia-Lega al Nord (con AN fuori) e Forza Italia-AN nel Centrosud, non ci furono differenze fra Camera e Senato. Stavolta, invece, per esempio, un elettore del Lazio potrebbe trovarsi sulla scheda per la Camera FI, Lega e FdI in concorrenza fra loro, mentre su quella per il Senato potrebbe vederli coalizzati. Da un punto di vista politico, ogni leader sarebbe autorizzato a dare la propria interpretazione dell'impegno preso con gli elettori. leggi tutto

Limiti e risorse della "Grande coalizione" all'italiana

Luca Tentoni - 09.09.2017

Mentre in Germania si attende il voto del 24 settembre per sapere se sarà confermata al governo del Paese la "Grosse Koalition" fra i democristiani della Merkel e i socialdemocratici di Schulz, in Italia i due possibili alleati di una maggioranza consimile provano a mantenersi distanti: un po' per l'approssimarsi delle elezioni siciliane (che vedranno contrapporsi il candidato del Pd a quello del centrodestra unito), un po' perchè nessuno può dare per scontata oggi un'intesa "necessitata" che si concretizzerebbe eventualmente dopo le elezioni generali di marzo (con più che probabili durissime reazioni della Lega: Salvini, se escluso dall'accordo Berlusconi-Renzi, denuncerebbe il "tradimento" del Cavaliere). Inoltre, soltanto accennare all'eventualità di un'alleanza Pd-Ap-FI farebbe "fuggire" una parte dell'elettorato "di frontiera": da una parte, verso Mdp e sinistra; dall'altra, verso Lega e FdI. Secondo i sondaggi più recenti, oggi i tre partiti avrebbero complessivamente circa il 44% dei voti, contro il 47,2% ottenuto nel 2013 da Pd e Pdl. Con una buona campagna elettorale, Berlusconi, Renzi e Alfano potrebbero riuscire a raggiungere quota 47, ma la conquista della maggioranza assoluta dei seggi in entrambe le Camere non sarà né scontata, né facile. I possibili protagonisti italiani della "Grande coalizione" si presentano alle elezioni politiche con alcuni problemi "strutturali" leggi tutto

Alla ricerca di un “vincitore”

Luca Tentoni - 02.09.2017

Alle prossime elezioni regionali siciliane e alle "politiche" del 2018 assisteremo alla consueta disputa sull'interpretazione del voto. Ne avremo tre: quella degli esperti, tendenzialmente avalutativa e basata su molteplici criteri; quella della stampa, mirante a semplificare e a proclamare vincitori e sconfitti; quella dei partiti, che cercheranno a far propria l'interpretazione - fra tutte quelle proposte - per loro più lusinghiera, dunque vantaggiosa. Il problema della valutazione dei dati fa parte ormai del gioco politico: si può dire che è la fase supplementare della campagna elettorale, perchè - a livello di comunicazione - non basta (si può dire: talvolta non è neppure necessario) vincere ma bisogna trasmettere - inverare mediaticamente - l'immagine della propria affermazione. Ecco perchè occorre tenere distinta, nella lettura dei risultati da parte dell'opinione pubblica e della stampa, l'analisi scientifica operata dagli esperti da quella politica, veicolata dai partiti. Poichè talvolta i dati possono essere confrontati e analizzati prendendo come riferimento precedenti diversi (in ordine di tempo o di tipo della competizione) o campi particolari (territorio, condizione socio-culturale, PIL, classi di età) o privilegiando alcuni risultati (il numero dei seggi o dei voti in percentuale, per esempio) rispetto ad altri (i voti assoluti, l'incremento o il decremento in voti anzichè in percentuale) può capitare che si ingeneri leggi tutto

La complessa ricomposizione del centrodestra

Luca Tentoni - 05.08.2017

Secondo tutti i sondaggi, i partiti di destra si apprestano a superare - dopo più di venti anni - il centrodestra di Berlusconi. La Lega (Salvini) e Fratelli d'Italia (Meloni) sono accreditati di una percentuale complessiva oscillante fra il 17 e il 20% dei consensi popolari, mentre Forza Italia non arriva mai, nelle diverse rilevazioni, oltre quota 14%. Questo cambiamento di rapporti di forza ci riporta alle prime due elezioni politiche della Seconda Repubblica: nel 1994, infatti, Lega (8,4%) e AN (13,5%) superarono, sia pur di poco (21,9 a 21) il partito di Berlusconi; nel 1996 (Lega 10,1%, AN 15,7% contro il 20,6% di FI, senza contare il 5,8% del CCD-CDU che riportò l'ago della bilancia in equilibrio) si arrivò ad un sostanziale pareggio reso simbolicamente inutile - oltre che dalla sconfitta elettorale contro l'Ulivo di Prodi - da altri due fattori (l'uscita del Carroccio di Bossi dall'alleanza di centrodestra e il progressivo avvicinamento al centro del partito di Fini). La caratterizzazione sempre più marcatamente di centrodestra di AN, inoltre (fino alla confluenza nel PDL) ha molto attenuato la natura di "destra" del partito di Fini, così come la stessa Lega di Bossi, dopo l'accentuazione secessionista e di protesta radicale del 1994-1996, si è ritrovata ad essere forza più di governo che di lotta per tutto il decennio iniziale del XXI secolo. leggi tutto

Riflessioni sul "mercato elettorale"

Luca Tentoni - 29.07.2017

Anche i più recenti sondaggi certificano l'esistenza di tre grandi "aree" politiche, ciascuna con una consistenza variabile fra poco più d'un quarto e poco meno d'un terzo dell'elettorato italiano (Pd e soggetti alla sua sinistra; FI, Lega, FdI; M5S). O meglio, del 75% (nel 2013, ma se si votasse oggi quella percentuale potrebbe essere inferiore alle scorse politiche, sia pure non di molto) che va alle urne. In sintesi, nel 2013 avemmo (sul territorio nazionale, escludendo dunque la circoscrizione estero) 47 milioni di elettori: 11,717 non votarono (a costoro andrebbero aggiunti coloro i quali - 1,269 milioni - decisero di lasciare bianca la scheda o di annullarla); 8,7 milioni scelsero il M5S, 9,9 il centrodestra (Pdl, Lega, FdI, Destra), 10 il centrosinistra (Pd, Sel, Svp), 3,6 il centro (Scelta civica, Udc, Fli). Con un'affluenza al 70-72%, poniamo, oggi avremmo più o meno questa situazione: 13 milioni di astenuti e 33 milioni di voti validi ripartiti all'incirca in porzioni di 9-10 milioni per ciascuno dei blocchi principali (che, nel caso di centrosinistra e centrodestra, sono poco più che virtuali, perchè caratterizzati da una notevole eterogeneità). In altre parole, sia pure attraverso un notevole "rimescolamento delle carte" (soprattutto, da un lato, per quanto riguarda i voti centristi e, dall'altro, all'interno dei due poli più "antichi") potremmo avere risultati leggi tutto

2018, l'Italia "balneare"

Luca Tentoni - 22.07.2017

Si parla molto, in queste settimane, della necessità del governo Gentiloni di muoversi fra numerosi scogli di natura politica, programmatica e numerica (soprattutto in Senato). Qualcuno è giunto a definire l'Esecutivo in carica una sorta di "governo balneare". Se fosse vero, sarebbe uno dei governi di transizione potenzialmente più duraturi della storia repubblicana. Quelli presieduti da Giovanni Leone nel 1963 e nel 1968 sono rimasti in carica per poco più di cinque mesi, per esempio, mentre i due guidati da Amintore Fanfani negli anni Ottanta durarono rispettivamente per otto (1982-'83) e tre mesi (1987). In quanto ai "governi amici", quello di Giovanni Goria restò in carica per otto mesi e mezzo fra il 1987 e il 1988, mentre quello di Giuseppe Pella (1953-'54) per cinque mesi. Ci furono poi altri Esecutivi di breve durata, come ad esempio quelli presieduti da Cossiga (due) e Forlani (uno) fra l'agosto del 1979 e il giugno 1981 (durata media: sette mesi circa); infine, fra il 2000 e il 2001 avemmo il secondo governo Amato, in carica per poco meno di 14 mesi. Paolo Gentiloni è a Palazzo Chigi dal 12 dicembre, dunque da poco più di sette mesi; se il suo mandato terminasse a febbraio, raggiungerebbe l'"Amato bis". In fondo, anche nel 2000-2001 si era alla fine di una legislatura leggi tutto

L'Italia delle "capitali regionali"

Luca Tentoni - 15.07.2017

Fra pochi mesi, quando avremo i primi dati relativi alle elezioni politiche generali, vedremo che il dibattito si focalizzerà sulle linee di tendenza complessive, cioè sulle differenze di voti rispetto al 2013. Solo in un secondo momento si cercherà di comprendere se le tradizionali "roccaforti" delle famiglie politiche avranno resistito o meno; infine, si cercherà di individuare i flussi elettorali in alcune città significative, per provare a capire come si saranno realmente spostati i voti. Di solito, però, anche se tutti gli aspetti che abbiamo citato sono importanti, se ne trascura uno altrettanto rilevante: il voto nei capoluoghi di regione (19 più Trento e Bolzano) ma soprattutto nelle "metropoli", vale a dire nelle poche città italiane con più di cinquecentomila abitanti (Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo). Eppure, nelle metropoli vive l'11% della popolazione italiana e nel complesso dei capoluoghi di regione si arriva circa ad un quinto degli abitanti e degli elettori. Il comportamento elettorale nelle città differisce da sempre da quello della "periferia", creando un ulteriore cleavage rispetto a quello costituito dalle tradizionali differenze di voto fra le diverse aree del Paese. Mentre il "voto di classe" si è attenuato, la differenza fra "capitali regionali" e "periferia" non sembra così sfumata. Come scrive leggi tutto

Il "non voto"

Luca Tentoni - 08.07.2017

C'è un raggruppamento (molto eterogeneo, senza leader e senza attivisti) che, al primo turno delle recenti elezioni comunali, ha guadagnato in un sol colpo, nei capoluoghi di provincia, un numero di voti uguale a quello della lista più votata. È l'arcipelago astensionista, che l'11 giugno ha conquistato 206,8 mila nuovi "consensi" (il Pd ne ha avuti 207 mila in tutto), passando da 1,057 milioni delle precedenti comunali a 1,264 milioni. I non votanti, insomma, sono più numerosi di tutti gli elettori che hanno scelto le liste di centrodestra (476,7 mila), di sinistra e centrosinistra (540 mila) e il M5S (142,8 mila). Se aggiungiamo i 65,4 mila elettori che sono andati ai seggi per restituire la scheda annullata o bianca, abbiamo - nei 25 capoluoghi - un totale di 1,33 milioni di unità, contro un milione e 524 mila voti espressi (compresi quelli ai soli sindaci, che sono 107,7 mila). È vero che negli ultimi anni, nelle città capoluogo di provincia, l'affluenza si è mantenuta più bassa (3-5%) che a livello nazionale, ma la tendenza è confermata da più riscontri: quel +7,5% di astenuti rispetto alle precedenti comunali è lo stesso aumento percentuale che si registra in tutti i centri oltre i 30mila abitanti. È una regolarità affermata anche a livello territoriale: +8% al Nord, +4,4% al Centro, +6,9% al Sud e nelle Isole. Già nel 2016, leggi tutto