L’amica-nemica Scozia ancora alla ribalta della politica inglese
La «riconciliazione» nel discorso di Elisabetta
Indubbiamente per la politica britannica il 2014 è stato l’anno della Scozia: il referendum sull’indipendenza dello scorso settembre ha catalizzato per mesi il dibattito politico interno, creato tensioni fortissime e richiamato l’attenzione degli analisti di tutto il mondo. Il fatto che, in modo piuttosto inaspettato, il 55% degli scozzesi abbia optato per il mantenimento dell’unione, pur suscitando la comprensibile soddisfazione del premier Cameron e degli unionisti, non ha di certo archiviato la questione, tutt’altro che nuova, dell’indipendenza scozzese e neppure quella, ancor più complessa, di come articolare i rapporti tra il governo centrale e le sue varie «periferie»: Scozia, Galles e Irlanda del Nord. Questioni che sollevano problemi di ordine statuale e istituzionale, ma investono altresì delicati aspetti economici, militari e di geopolitica internazionale.
Non è dunque un caso che la regina Elisabetta, nel suo consueto discorso natalizio, abbia voluto lanciare un appello alla «riconciliazione» a tutti i cittadini britannici e in particolare agli scozzesi. In un messaggio di poco più di 5 minuti ha usato la parola «riconciliazione» ben 7 volte, sottolineando come, storicamente, abbia preso strade e forme diverse: dalla «tregua di Natale» del 1914 lungo le trincee della Grande Guerra ai progressi nella pacificazione dell’Irlanda del Nord, fino all’abnegazione degli operatori sanitari impegnati nella lotta contro l’ebola e nei teatri di guerra di tutto il mondo. leggi tutto
La corsa inarrestabile degli anti-europeisti di Farage
Lo UKIP conquista il secondo seggio a Westminster
La prima doccia fredda per il primo ministro inglese David Cameron era arrivata lo scorso 9 ottobre, quando il partito anti-europeista di Nigel Farage aveva conquistato il suo primo seggio al Parlamento di Londra, nella persona dell’ex conservatore Douglas Carswell, dopo le elezioni suppletive di Clacton. In meno di due mesi lo United Kingdom Independence Party ha raddoppiato: Mark Reckless – anch’egli un ex tory che ha prontamente dichiarato che diversi conservatori sarebbero pronti a passare nelle fila del partito di Farage – si è imposto con il 42% delle preferenze sulla conservatrice Kelly Tollhurst ferma al 34,8%. L’elezione suppletiva si è svolta, dopo una lunga e agguerrita campagna, lo scorso 20 novembre nella circoscrizione di Rochester-Strood, nel Kent settentrionale.
Tanto Reckless quanto soprattutto Farage hanno subito letto la vittoria alla luce delle elezioni politiche del prossimo maggio: il leader dello UKIP prefigura di poter raddoppiare i deputati che porterà alla Camera dei Comuni rispetto ai 20 ipotizzati all’indomani delle elezioni per il Parlamento europeo. In effetti la corsa dello United Kingdom Independence Party sembra inarrestabile e anche nel caso di Rochester si sono dimostrate vincenti le sue tradizionali istanze da little England: lotta all’immigrazione, difesa dell’identità britannica, promessa di uscire dall’Unione Europea. leggi tutto
Le difficoltà interne di Cameron e le nuove tensioni con l'Europa
Cameron all’inizio di una lunga campagna elettorale
È passato poco più di un mese dall’inaspettato successo ottenuto dal governo nel referendum per l’indipendenza della Scozia, ma il primo ministro David Cameron e il suo partito non navigano in buone acque. Che lo United Kingdom Independence Party dell’abile e carismatico Nigel Farage stia erodendo consensi al partito conservatore non lo dicono più solo i sondaggi: lo scorso 9 ottobre l’ex conservatore Douglas Carswell, passato nelle file dello UKIP, ha vinto con quasi il 60% delle preferenze le elezioni suppletive di Clacton, diventando così il primo esponente del partito di Farage a sedere alla Camera dei Comuni. Se si aggiunge che nelle suppletive di un collegio di Manchester, tradizionale bastione del Labour, il candidato indipendentista è arrivato secondo a soli 617 voti dal vincitore e che a fine novembre si voterà anche a Rochester, perché un altro deputato tory (Mark Reckless) è passato allo UKIP, si capisce come l’aritmetica parlamentare nel Regno Unito sia in rapida trasformazione, con segnali affatto incoraggianti per l’establishment politico tradizionale.
Le elezioni del maggio 2015 vedono dunque profilarsi un inconsueto, per gli standard d’oltremanica, quadro multipartitico: oltre ai tre partiti principali, ci saranno lo UKIP, che secondo gli analisti potrebbe essere competitivo in un numero di seggi compreso tra 13 e 35, i Verdi, dati intorno al 5-6%, e i partiti nazionalisti in Scozia e Galles. Se a confortare, almeno in parte, Cameron e il leader laburista Ed Miliband vi è il sistema elettorale maggioritario secco, che impedendo la rappresentanza proporzionale su base nazionale rende assai difficile per lo UKIP diventare forza di governo, leggi tutto
Erasmus: tra successi e difficoltà di bilancio
Una «situazione contraddittoria»
Se è vero che in epoca di crisi i tagli alle spese sono una necessità, è meno comprensibile il fatto che a rimetterci possano essere le iniziative che funzionano. Sono di pochi giorni fa due notizie, paradossalmente contrastanti, che riguardano l’Erasmus, il celebre programma europeo che consente agli studenti universitari di effettuare in un’università straniera un periodo di studio legalmente riconosciuto dalla loro sede d’appartenenza.
Da un lato, i risultati dell’Erasmus Impact Study, un’indagine condotta per conto della Commissione UE, ci dicono che il programma garantisce agli studenti migliori prospettive lavorative. Dall’altro, il commissario europeo al Bilancio ha fatto sapere che il budget 2014 è già a un livello di spesa mai raggiunto prima e che i tagli potrebbero toccare le borse Erasmus per gli studenti. L’interruzione di questo finanziamento è stato indicato dal commissario Jacek Dominik come uno dei possibili «effetti collaterali» dell’inevitabile sforbiciata. Se dovesse accadere sarebbe ben più che un paradosso: non solo, infatti, il programma Erasmus rappresenta, da oltre 25 anni, il fiore all’occhiello dell’Europa unita, ma i tagli andrebbero a colpire proprio il settore – istruzione, ricerca, innovazione – che i governi dei 28 paesi membri indicano da sempre come quello che farà ripartire crescita e occupazione. Il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini ha ammesso che si tratta di una «situazione contraddittoria» e assicurato che la presidenza italiana del Consiglio UE farà di tutto perché non siano sacrificati i finanziamenti alla ricerca e ai programmi di mobilità studentesca. leggi tutto
Il Regno Unito è salvo: il NO degli scozzesi all'indipendenza
Il Regno Unito è salvo
«Il popolo della Scozia ha scelto l’unità», ha commentato soddisfatto Alistair Darling, presidente del comitato «Better Toghether»; e in molti, non solo in Gran Bretagna, possono tirare un sospiro di sollievo. Con un’affluenza altissima, oltre l’85% degli aventi diritto, il risultato del referendum è stato netto: il 55% degli scozzesi ha optato per il mantenimento dell’unione, per non interrompere una storia iniziata oltre tre secoli fa.
Si prevedeva un duello all’ultimo voto, dopo la rimonta sorprendente degli indipendentisti dello Scottish National Party guidati da Alex Salmond, ma alla fine la vittoria del «no» si è imposta con un distacco di dieci punti percentuali. Fra le grandi città solo Glasgow, l’area metropolitana più popolosa, si è schierata a favore l’indipendenza con il 53,5% di «sì». In attesa che i dati elettorali vengano scorporati e analizzati, si può ritenere che la vittoria degli unionisti sia dipesa tanto dai timori degli scozzesi per il «salto nel buio» che avrebbe comportato l’indipendenza, quanto dall’agguerrita, a tratti minacciosa, campagna del potente schieramento anti-secessione. Quest’ultimo, sostenuto anche dalle grandi istituzioni internazionali e dai leader dei paesi europei, raccoglieva infatti i tre maggiori partiti, banche, colossi industriali, magnati della stampa; persino la regina leggi tutto
La Scozia indipendente? Storia e attualità all'origine del Referendum del 18 settembre
Il Regno Unito
In Italia se n’è parlato poco e anche le incaute similitudini tra il caso scozzese e quello della Padania sono state perlopiù limitate agli organi di stampa della Lega Nord; ma il referendum che il prossimo 18 settembre potrebbe sancire l’indipendenza della Scozia riveste un’importanza cruciale per la Gran Bretagna e per l’Europa intera. La vittoria degli indipendentisti metterebbe fine a tre secoli di storia dell’Unione e anche al Regno Unito come l’abbiamo conosciuto finora.
Regno Unito che tuttavia dal punto di vista religioso, linguistico e geografico è sempre stato tutt’altro che omogeneo. Composto originariamente di quattro realtà nazionali unite ma non totalmente fuse, Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda, nel corso dell’800 e dei primi decenni del ’900 conobbe enormi tensioni a causa delle aspirazioni autonomistiche degli irlandesi, in maggioranza di religione cattolica. Se la nascita nel 1921 dello Stato libero d’Irlanda risolse parzialmente l’annosa questione irlandese (lasciando tuttavia lacerazioni profonde nell’Irlanda del Nord), crebbero però costantemente, a partire dal periodo fra le due guerre, le rivendicazioni identitarie in Scozia e Galles. Di natura più culturale quello gallese, leggi tutto
La fine del modello Westminster?
In attesa che anche la politica britannica riprenda il suo pieno corso dopo la pausa estiva – e allora tutti gli occhi saranno puntati sul referendum scozzese per l’indipendenza di metà settembre – si possono fare alcune considerazioni sul fatto che da qualche anno il sistema politico inglese (non diversamente da quello italiano) sembra vivere un’importante evoluzione. Un’evoluzione che potrebbe mettere fine al cosiddetto «modello Westminster» fondato sul bipartitismo e sul meccanismo dell’alternanza alla guida del governo.
Nella sua versione più semplificata, infatti, il «modello Westminster» indica la presenza di un assetto bipolare, un sistema elettorale maggioritario e l’accentramento del potere esecutivo in governi monopartitici. Sviluppatasi nel Regno Unito ma presente anche in altri paesi appartenenti al Commonwealth, questa forma di democrazia maggioritaria identifica un sistema governato da due soli partiti che tendenzialmente si alternano alla guida dell’esecutivo. Inevitabile che sin dall’800 una tale articolazione politico-istituzionale abbia suscitato ammirazione in schiere di politici e intellettuali italiani, alimentando così la contrapposizione, talvolta stereotipata, tra l’instabilità politica italiana e la Gran Bretagna patria dell’«ordine» e della «regolarità». leggi tutto
Le difficoltà di Cameron in Europa e in patria
Le difficoltà di Cameron
Non ci sono riusciti, David Cameron e il suo ex ministro degli Esteri William Hague, a bloccare la nomina di Jean-Claude Juncker a presidente della Commissione europea e per il primo ministro conservatore, dopo la secca sconfitta alle elezioni per il Parlamento europeo di maggio, la strada è tutta in salita. Anche se gli ultimi sondaggi dicono che si sarebbe ridotto il vantaggio dei laburisti, il premier è comunque costretto a rincorrere, in vista delle elezioni politiche del prossimo anno, l’euroscetticismo della maggioranza degli inglesi e dinanzi all’elezione del leader lussemburghese non ha potuto fare altro che buon viso a cattivo gioco.
Se all’indomani della scelta di Juncker, Cameron aveva usato parole durissime verso i colleghi europei che lo avevano proposto, dopo la nomina ha dovuto ammorbidire i toni dicendosi disposto a collaborare col nuovo presidente senza però smettere di battersi per gli interessi britannici e una riforma dell’Unione Europea. I suoi obiettivi restano insomma gli stessi: rinegoziare gli accordi di adesione con la UE e, in caso di vittoria dei conservatori nel 2015, indire un referendum sulla permanenza leggi tutto
Le scuse di Cameron
Qualche giorno fa il premier britannico David Cameron ha rivolto pubblicamente le sue scuse al paese per aver assunto nel suo staff Andy Coulson, già direttore di News of the World, riconosciuto dalla magistratura colpevole di aver ordinato intercettazioni illegali sui telefoni di personaggi famosi, tra cui anche membri della famiglia reale. Fin dall’epoca dello scandalo, nel 2011, che aveva provocato la chiusura del tabloid e un gran putiferio nel mondo dei media inglesi, il primo ministro si era impegnato ad assumersi la piena responsabilità per aver nominato Coulson suo spin doctor per la comunicazione, qualora le accuse nei suoi confronti fossero state confermate dalle indagini. Così ha fatto, in una dichiarazione trasmessa in TV, lo scorso martedì, presentando agli inglesi le scuse «più sincere» e ammettendo che l’assunzione di Coulson era stata «una decisione sbagliata». leggi tutto
Grillo-Farage: un matrimonio di interesse ma non solo
Probabilmente le polemiche non si placheranno nemmeno ora che la consultazione in rete (quasi 30mila partecipanti) ha stabilito a larghissima maggioranza che al Parlamento europeo il Movimento 5 Stelle si dovrà alleare con lo United Kingdom Indipendence Party di Nigel Farage e aderire al gruppo Europa della Libertà e della Democrazia (presieduto dallo stesso Farage). In molti hanno contestato l’esclusione dei Verdi dal referendum online, ma soprattutto, nelle scorse settimane, avevano respinto la proposta di Beppe Grillo di un’alleanza con lo UKIP: partito dal chiaro profilo antieuropeo, collocato politicamente all’estrema destra, che non fa mistero di voler difendere l’identità britannica tanto dall’establishment di Bruxelles quanto dagli immigrati. Tanto basta a molti esponenti del M5S, che si percepiscono come un gruppo dalla «naturale» collocazione a sinistra (il movimento delle battaglie ambientaliste, per la tutela dei beni comuni, per la difesa dei consumatori, contro la «precarizzazione» del lavoro), per stigmatizzare l’accordo con Farage e le ragioni di realpolitik che sottendono la scelta di Grillo. leggi tutto