Vittima della pace: a sessant’anni dalla morte di Alan Turing, colpevole di omosessualità
La scelta di fissare sul calendario una ricorrenza attorno a cui catturare le menti e cuori di un’intera nazione non è mai un mero esercizio di memoria. La monumentalizzazione di un anniversario non è legata soltanto all’esigenza di “ricordare”, di preservare il passato dalla progressiva scomparsa dei testimoni e dai mutamenti del quadro storico e culturale. Una decisione simile, soprattutto se presa da autorità politiche, è animata dall’intenzione di proporre gli eventi in chiave morale e didattica. Certamente le celebrazioni per i settant’anni dallo sbarco in Normandia hanno corrisposto ai canoni del genere: capi di stato da mezzo mondo, persino da paesi allora sconfitti e da altri oggi in guerra tra di loro hanno ricordato “il giorno più lungo” in cui un’operazione militare imponente e terribilmente rischiosa segnò leggi tutto
“Quanto costa il crollo di un impero?”. Dall’89 all’Ucraina
Una buona domanda vale più di tante cattive risposte. Dunque è utile recuperare un interrogativo che Umberto Eco poneva ai contemporanei all’epoca del crollo del muro di Berlino. Facendo leva sul “senno di poi” di cui dispone chiunque volga lo sguardo al passato, la domanda posta da Eco era “quanto costa il crollo di un impero?”. Lo sguardo si volgeva ai tanti precedenti in cui un’entità politica autoproclamatasi o da altri definitiva “impero” era esplosa; in cui, per dirla con Eco, il “coperchio” di un’autorità centrale aveva ceduto alla pressione interna e esterna, lasciando fluire un magma incandescente di ripercussioni destinate a giungere ben lontano dalla sede originaria. Pur senza cadere in ricostruzioni semplicistiche, Eco ricordava come i riverberi più virulenti della fine dell’Impero Romano fossero riscontrabili almeno per sei secoli a venire; per arrivare fino alle tante, drammatiche macerie lasciate in eredità al “Secolo Breve” dal crollo di quattro imperi durante la Prima Guerra mondiale e dall’agonia di quelli coloniali nei decenni successivi. leggi tutto
Geithner, Berlusconi e la sindrome del complotto
Verrebbe quasi voglia di ringraziarlo, mister Timothy Geithner. Dopo mesi di scie chimiche, microchip sottopelle e altre diavolerie pentastellate, un complotto vecchio stile rischia persino di provocare un bagno di realismo. Tutti i canoni del genere compaiono in dodici righe del voluminoso tomo a cui l’ex Segretario del Tesoro statunitense ha affidato la propria versione della crisi finanziaria del 2008 e l’apologia del suo (contestato) operato per contenerla. Gli ingredienti del thriller: nel 2011 non meglio precisati “funzionari europei”, inquieti per lo stato delle finanze italiane, avrebbero cercato di persuadere Geithner e il suo governo a condizionare la concessione di un prestito del Fondo Monetario Internazionale all’Italia alle dimissioni del Primo Ministro Berlusconi. Con pathos degno di una fiction, l’amministrazione Obama avrebbe infine concluso di non potersi macchiare “del sangue” (sic) di Berlusconi. Un quadro a tinte forti ma poco chiare, se poco sopra Geithner attribuisce ad altrettanto vaghi “leader europei” contraddittorie richieste di aiuto nel moderare l’“avara” Angela Merkel. Oltre la teatralità del racconto, emerge la tradizionale difficoltà delle amministrazioni statunitensi a dialogare con un’Europa in cui non è mai chiaro chi parli a nome di chi: da decenni ogni sano confronto transatlantico è pregiudicato dalla dualità costante e competitiva tra governi nazionali e autorità di Bruxelles, ovviamente a spese del Vecchio Continente. leggi tutto
Lo stato dei segreti nell’Italia di Renzi
Persino nell’epoca in cui è prassi che i titoli facciano notizia (e non il contrario), l’uso accorto della formula “segreti di stato” garantisce ancora una vasta eco in Italia. Ritenere che il Primo Ministro non ne fosse cosciente significherebbe fare torto alla sua riconosciuta abilità mediatica. A dire il vero, Renzi si è ben guardato dall’impiegare l’espressione; l’equivoco si deve piuttosto ai suoi più entusiastici supporter che hanno annunciato come, con un tratto di penna, il Presidente del Consiglio avrebbe “abolito il segreto di stato”. Molto si potrebbe riflettere sui danni del sensazionalismo giornalistico e, perché no, sul ridicolo a cui sotto ogni regime non cessano di esporsi i “più realisti del re”. Almeno per questo volta, però, proviamo a procedere dai fatti ai giudizi: è doveroso innanzitutto verso quei cittadini e familiari di vittime “delle macchie oscure nella nostra memoria comune” a cui lo stesso Presidente ha giustamente rivolto un pensiero. leggi tutto
Il Soft Power, le catacombe e l’Azerbaigian a Roma
C’erano una volta gli anni ’90 con le loro mode e subculture, oggi già avviate sulla strada della redenzione vintage. C’era allora il trionfalismo post-Guerra Fredda, le “magnifiche sorti e progressive” di un mondo conquistato dal progresso della democrazia, unificato dalla “globalizzazione”, rimpicciolito dai nuovi mezzi di comunicazione e dai viaggi low cost. Ci fu anche qualcuno furbo abbastanza da arricchirsi (quale miglior tributo a quell’epoca!) proclamando in milioni di copie la “fine della storia” e la prossima “morte per noia” di un’umanità ormai priva di ambizioni. leggi tutto