La BCE senza una strategia e noi?
La Bce estrae il suo bazooka ma le polveri sono bagnate. La grande operazione sbandierata da mesi è arrivata ma è un mezzo flop. Le banche cui è destinata la liquidità offerta dalla BCE chiedono solo 82 dei 100 (o forse 200) miliardi che erano stati previsti. Insomma molto rumore per nulla, ma soprattutto la dimostrazione che quando si arriva tardi dopo annunci per mesi senza seguito il mercato non riesce più neppure a digerire la magra medicina offerta. Non è un bel segnale. E’ però la dimostrazione che la Bce non può continuare a vivere di annunci e che questi scivolano via come l’acqua sul marciapiede. Le banche non sono più disponibili, o lo sono solo in parte, a sporcarsi le mani. Faticano a finanziare le imprese perché le imprese non si espongono in quanto non vedono segnali positivi per investire. La BCE ha lasciato crescere le posizioni debitorie dei settori pubblici di molti paesi – Italia compresa – senza intervenire energicamente per eliminare gli spread e questo ha imposto ai paesi più deboli manovre fiscali su manovre e tagli alla spesa pubblica riducendo la domanda interna in maniera eccessiva soprattutto per pagare interessi divenuti esorbitanti a causa della inanità della BCE e dei veti tedeschi sugli eurobonds. Ora anche la politica monetaria può poco perché arriva tardi. Siamo in una trappola della liquidità in cui si continua ad accumulare liquidità in attesa di tempi migliori e intanto i prezzi scendono facendoci entrare in un processo deflativo che non sarà facile fermare, visto anche la ormai quasi impotenza cui si è autocondannata la Bce, brava nel chiedere riforme ai paesi ma un po’ meno nel fare il suo mestiere. leggi tutto
NTV errori e lezioni
Il quasi fallimento della NTV, concorrente nell’alta velocità di Trenitalia, è il risultato di una lunga serie di errori dai quali potremmo trarre però qualche lezione per il futuro qualora avessimo la disponibilità a riconoscere onestamente dove si è sbagliato.
Il primo errore è che si è voluto in maniera ideologica e pretenziosa introdurre la concorrenza in un settore che per molti versi è una sorta di monopolio naturale. Nel quale le economie che derivano dall’avere una sola impresa sono di gran lunga superiori ai vantaggi di avere concorrenza, che in certi settori costa troppo e i consumatori non sono disposti a pagarla. Insomma le ferrovie sono un monopolio naturale dove avere più di un operatore ha costi esorbitanti e dunque non c’è spazio per la concorrenza. Si obietta che il trasporto ferroviario è monopolio naturale solo per la rete ferroviaria e non per gli operatori che mettono i treni sui binari. E quindi si può scorporare la rete dagli operatori e le stazioni dalla rete come si è fatto in Italia. Ma queste politiche non portano a risultati positivi perché sono talmente tante le sinergie tra rete, operatori dei treni e stazioni che il loro scorporo e separazione (unbundling) non porta a guadagni di efficienza ma solo a costi aggiuntivi per i consumatori in termini di prezzi e soprattutto di servizio che diventa più scadente, meno accessibile alla fasce basse dei consumatori e alle zone remote, se non viene pesantemente sussidiato. leggi tutto
Un altro passo della BCE e il corridoio stretto delle politiche per il rilancio
Un altro piccolo passo si è aggiunto il 4 settembre nel cammino della BCE verso una politica monetaria espansiva. C’è un ritocco dei tassi verso il basso che costringe le banche ad evitare di ritornare la liquidità alla stessa BCE che l’ha creata. C’è infatti un tasso negativo sui depositi presso la BCE che ora si è fatto più cospicuo (-0.20% dal livello precedente di -0.10%) e che dovrebbe spingere le banche a prestare di più a imprese e (forse) a governi. Poi c’è l’impegno ad acquistare titoli derivati ABS con la speranza che il conseguente abbassamento del tasso su questi si trasferisca anche a titoli obbligazionari privati e pubblici. Per quanto riguarda le manovre di espansione della offerta di moneta (quantitative easing) più volte promesse sembrano divenute meno probabili o sostituite da misure indirette ma certamente meno efficaci. Insomma un pacchetto di politiche che vanno nella giusta direzione ma con tempestività che appare in affanno e di dimensione sempre insufficiente. Ormai abbiamo compreso che in eurolandia tutte le politiche economiche sono costrette in corridoi molto stretti e che gran parte dei governi devono spingere al massimo sulla comunicazione perché nella sostanza possono fare sempre meno. leggi tutto
Deflazione: quantò si’ bruttà
I timori espressi su queste colonne sul pericolo deflazione si sono materializzati con le notizie sui prezzi in calo (inflazione negativa = deflazione) e sullo stop della Germania il cui Pil nel secondo semestre è sceso dello 0.2%, come l’anemica Italia.
Intendiamoci, sarebbe positiva per l’Italia una dinamica dei prezzi più contenuta che in Germania per recuperare la competitività erosa nei primi due decenni di vita dell’euro con l’inflazione italiana superiore a quella teutonica. Dovremmo però evitare di gettarci in una scivolosa spirale deflazionistica. Avremmo perciò bisogno di un po’ di inflazione in Germania, attorno al 2-3% annuo, e stabilità dei prezzi in Italia. La Germania non sembra però disposta ad un’inflazione al 2-3% annuo. Eppoi un’inflazione zero è rischiosa. Perché implica prezzi che scendono un po’ in alcuni comparti e che salgono in altri. Ma non è facile trattenere i settori dove i prezzi crescono dal farli scendere per rincorrere i consumatori. leggi tutto
La ripresa che non c’è e la BCE bella addormentata
Un dato congiunturale insoddisfacente che vede il Pil italiano scendere dello 0.2% nel secondo trimestre del 2014 è bastato per rimettere un punto interrogativo sulle capacità dell’Italia di rimettersi dalla lunga crisi che ormai dura da 4 anni. Lo spread dei tassi a 10 anni rispetto ai corrispondenti tedeschi si è alzato improvvisamente volando verso 180, vanificando in poche ore gli sforzi di tagli della spesa pubblica e di imposte che non si possono ridurre. Il dato congiunturale non è certo incoraggiante ma occorre essere prudenti perché la ripresa lenta sta forse facendosi strada soprattutto in alcuni settori. Tra questi vi sono produzioni tradizionali come alimentari, abbigliamento, legno e metallurgia e alcuni avanzati tra cui elettronica, farmaceutici, mezzi di trasporto, gomma e materie plastiche. Tra i tradizionali, il settore alimentare e quello dell’abbigliamento sono in realtà posizionati per lo più nelle fasce alte della qualità e quindi sono meno colpiti dalla concorrenza internazionale di prezzo. Tra gli avanzati, elettronica e farmaceutica segnalano una forte capacità nell’innovazione e nella ricerca a dispetto di tante litanie recitate giornalmente nei media sulla scarsa capacità di aprire nuovi orizzonti produttivi. Tra le industrie che invece sembrano arrancare di più e che mostrano segni negativi troviamo le apparecchiature elettriche e il settore petrolifero. Il secondo è dovuto ad un minore consumo e ad una ridotta raffinazione a vantaggio di paesi emergenti produttori di petrolio e non, due trend difficili da contrastare. Il primo caso invece preoccupa non poco perché evidenzia un lento e inarrestabile declino del nostro paese in questo ambito. leggi tutto
La Germania: locomotiva di latta
I dati parlano chiaro: dopo una crescita nel 2010 (+4%) e nel 2011 (+3.3%) la Germania si è seduta nel 2012 (+0.7%) e nel 2013 (+0.4%). E ora si è addirittura fermata con il Pil piatto dalla primavera del 2014. Il dato del 2010 e quello del 2011 erano in verità il frutto di un rimbalzo dopo la forte caduta del 2009 (-5.1% contro -5.5% dell’Italia). Ma dopo la risalita è arrivata calma piatta. E non solo per la Germania che appare sempre di più una locomotiva di latta con le batterie scariche. Anche paesi ricchi e affezionati al carro teutonico non se la passano bene. La Finlandia ad esempio, Nokia dipendente, soffre parecchio nonostante i suoi lindi conti pubblici. I dati dicono -1.4% nel 2012 e -1.0% nel 2013 e le prospettive non sono rosee viste le riduzioni di personale (a stipendi medio alti) previste nel colosso Nokia che sta appesantendo i conti del gigante Microsoft che ne è divenuto proprietario da un paio di anni e che non esita ad usare il bisturi. La Germania ha fatto “riforme”. Quelle tanto sbandierate per essere più “competitiva”. Ovvero lavoro, pensioni ed altre. Ma come avviene ovunque mutamenti che riducono la stabilità del posto di lavoro, incidono pesantemente sul welfare previdenziale e, in parte, anche su quello sanitario: riducono i salari e spingono gli individui a spendere meno. In alcuni casi si possono vedere effetti depressivi perfino sul tasso di natalità. Ora la domanda che dobbiamo porci è la seguente: la Germania con conti pubblici in ordine e un avanzo della bilancia dei pagamenti correnti superiore a quello della tanto criticata Cina aveva veramente bisogno di fare queste benedette riforme? La risposta è un deciso no. leggi tutto
Pos, Bot, contante: come ridurre il peso del debito pubblico
L’idea di rendere obbligatoria la disponibilità del POS presso tutti gli esercizi commerciali per pagamenti sopra i 30 euro può essere forse utile per ridurre un po’ l’evasione, ma finisce per indebolire l’attività economica in misura determinante in un momento molto critico per la nostra economia. Quello che si recupera dall’evasione potrebbe inoltre rivelarsi molto inferiore del gettito fiscale derivante da una attività economica più sostenuta senza i POS. Probabilmente rivedremo di nuovo quello che è successo per tante misure a capocchia del governo tecnico di Monti, che hanno messo in ginocchio in serie piccola cantieristica, porti turistici, produzione di auto di lusso e tante altre attività economiche. La regola dei POS è poi, nella lunga scia montiana, un indubbio beneficio al sistema bancario che conquista una ulteriore fetta nel sistema dei pagamenti. leggi tutto
A passo lento l’Europa si muove
Il vertice europeo dei capi di stato del 25 e 26 giugno segna una significativa presenza italiana e presenta nel lento cammino dell’integrazione continentale aspetti nuovi: alcuni sconcertanti e altri, per fortuna, più rassicuranti. In primis il vertice sancisce un forte isolamento della Gran Bretagna. In secondo luogo,vi è la nomina del presidente della commissione sulla base della maggioranza che si è stabilita nel parlamento europeo in seguito alle elezioni del 25 maggio 2014. In terzo luogo si accorda una pur lieve flessibilizzazione ai paesi con conti pubblici gravati da alte posizioni debitorie.
La crescente distanza della Gran Bretagna dall’Europa ha origini lontane e vicine. leggi tutto