Ceta, nuove ragioni per ratificare
Sui media si riportano in queste settimane stralci del bilancio della Commissione Europea sul primo anno di applicazione del Ceta, accordo di libero scambio tra UE e Canada entrato in vigore il 21 settembre 2017. Il Ceta si basa su 7 punti principali 1. abolizione del 98% dei dazi doganali tra Canada e UE con riconoscimento e protezione di 143 denominazioni geografiche d’origine europee in campo alimentare (di cui 41 italiane) 2. apertura dei rispettivi mercati allo scambio di servizi di trasporto, finanziari, bancari, comunicazioni, professionali come quelli ingegneristici, quelli legali e altri 3. Accesso agli appalti pubblici di tutte le imprese delle due aree 4. snellimento delle norme su investimenti diretti 5. miglioramento della protezione della proprietà intellettuale (copyright e brevetti) 6. standard comuni per ambiente e rispetto dei diritti dei lavoratori 7. più facile entrata nei mercati di Canada e UE per le piccole imprese, soprattutto grazie a procedure doganali ridotte e requisiti tecnici semplificati.
Il bilancio del primo anno è stato positivo per gran parte dei settori economici, come afferma la commissaria UE al commercio internazionale la svedese Malmstrom. Uno dei prodotti italiani che ha visto incrementare di più le sue vendite è il prosciutto di San Daniele Dop, uno dei fiori all’occhiello del made in Italy alimentare, che in un anno leggi tutto
I dazi di Trump: un secondo fine?
Il 24 settembre scattano dazi del 10% su un volume di circa 200 miliardi di importazioni Usa dalla Cina. Alla fine del 2018 l’aliquota salirà al 25%. Dopo poche ore dall’annuncio di Washington la Cina risponde con analoghe misure protettive limitate però a circa 60 miliardi di importazioni dagli Usa: tempi e aliquote sono esattamente gli stessi: 24 settembre e 31 dicembre.
Quali sono gli obiettivi di misure di protezione su cui l’amministrazione Trump insite da mesi? Alcuni sono chiari. Altri sono meno decifrabili.
Tra i primi c’è il desiderio di ridimensionare il WTO. Un obiettivo che vien da lontano, dal 1999 quando la prima manifestazione violenta antiglobal ha luogo a Seattle per protesta contro una seduta del WTO nato appena 5 anni prima. Organizzata soprattutto dai sindacati e neonati movimenti no-global è guardata con una certa simpatia dal partito democratico dell’allora presidente Clinton. Qual è il problema del WTO? Semplicemente è l’organizzazione internazionale più democratica del globo dove ciascun paese ha un voto e quello di San Marino conta come quello della Cina. Anche se questo sistema di voto non impedisce a grandi paesi di contare di più è certo un handicap che vanifica in parte il multilateralismo di cui il WTO è l’espressione più completa. Introdurre dazi doganali in maniera spregiudicata giustificandoli formalmente leggi tutto
Dazi: spezzare la catena di errori
Da dichiarazioni di questi giorni esponenti del governo italiano sembrano essere favorevoli all’adozione di dazi doganali sulle importazioni dell’Italia. Forse non guasta ricordare che non si possono introdurre limitazioni in entrata in Italia per beni e servizi di partners UE. Anche gli appalti pubblici (public procurement) devono essere aperti a tutti gli operatori continentali. Sono i fondamenti del Trattato di Roma del 1957 e del mercato unico europeo del 1993, caro agli inglesi che, conoscendone i benefici ed essendone stati i paladini, cercano di tenerselo stretto. In secondo luogo le norme doganali verso paesi terzi, fuori UE, sono federalizzate e non rientrano nella potestà dei governi nazionali. L’Italia da sola non può stabilire dazi sulle magliette della Cina. Lo può proporre solo la Commissione con l’approvazione del Consiglio in modo uniforme per l’intera UE. Insomma per le politiche protezionistiche de noantri che copiano Trump non c’è spazio. Semmai ci dobbiamo chiedere come deve comportarsi la UE di fronte alle gabelle decise oltre atlantico e perché Washington abbia adottato politiche protezionistiche. Il cruccio della amministrazione Usa è il persistente deficit commerciale con Europa e Cina. Dopo anni di disattenzione, soprattutto in una Europa un po’ miope, Trump riporta alla ribalta della scena internazionale i leggi tutto
Ceta: meglio ratificare *
Libero scambio ed Europa non sembrano più di moda e ne soffre il Ceta, l’accordo di libero scambio stipulato tra Ue e Canada. Nel 1957 col Trattato di Roma che dà vita alla Unione Europea (allora Comunità Europea) i paesi membri delegano le politiche commerciali verso paesi terzi alla Commissione. Quando gli accordi riguardano materie finanziarie o la proprietà intellettuale, non limitandosi agli scambi mercantili occorre la ratifica di ciascun membro della Ue. Il Ceta, nel 2016 trova l’opposizione della Vallonia, contraria ad aspetti che riguardano le istituzioni chiamate a regolare i contenziosi commerciali tra produttori Canadesi ed Europei. Il Trattato subisce alcune migliorie venendo incontro alle critiche della regione belga ed è ratificato da alcuni paesi Ue. Che succede nel Bel Paese? Diverse voci del governo giallo-verde si stanno esprimendo per un rifiuto in toto del trattato. Sono spalleggiate dalla Coldiretti, associazione degli agricoltori proprietari di aziende agricole che tuonano contro il trattato che non riconoscerebbe abbastanza prodotti italiani del territorio, e quindi non ne impedirebbe l’imitazione in Canada. A prima vista sembrerebbe l’ennesimo caso di Italia Cenerentola in Europa. Ma è proprio così? Il trattato Ceta è un lungo documento al quale la commissione europea, ha lavorato con i canadesi per più anni. leggi tutto
I dazi di Trump: una ragione in più per tenerci l’euro
Tra poco scattano i dazi di Washington su acciaio e alluminio europei. L’amministrazione Usa non si ferma e, anche se negozia con tutti, non recede dalle politiche restrittive annunciate da Trump. I dazi sospesi qualche settimana fa per Ue e partner Nafta, (Messico e Canada) che insieme coprono quasi il 50% del consumo americano dei due metalli, ora sono realtà. La giustificazione è la sicurezza nazionale. Il ministro del commercio Ross dichiara che solo un’economia forte è sicura. Quindi ogni politica protezionista che sostenga le imprese americane può essere adottata con questa stringa un po’ farlocca ma che serve ad evitare l’intrusione del WTO. Il vecchio continente contava sul suo ruolo di alleato strategico nella Nato tirando in lungo i negoziati. Ma questo non è servito. Sul versante delle relazioni con la Cina sembrava essere stato raggiunto un accordo con un impegno del dragone a tagliare il surplus di conto corrente della bilancia dei pagamenti con gli Usa, che dura dal 1985, di quasi la metà, da 400 a 200 miliardi di dollari annui. Washington ritiene queste promesse generiche e prepara dazi contro le importazioni cinesi. Per l’Europa non è finita e all’orizzonte ci sono dazi sulle auto e altri manufatti con la medesima giustificazione.
Quali sono gli obiettivi della leggi tutto
Euro falso problema
E’ un peccato che lo stato dei conti con l’estero sia sconosciuto ai più e non solo in Italia. Perché questo falsa la discussione pubblica sull’euro e la percezione dei cittadini. Il fastidio che Washington dimostra nei confronti di paesi con rilevante e persistente avanzo commerciale dovrebbe però stimolare ad una attenta analisi della bilancia dei pagamenti con l’estero di parecchi paesi fuori e dentro Europa, Italia compresa. Da luglio 2012 il Bel Paese ha un surplus crescente del conto corrente della bilancia dei pagamenti. Ormai siamo vicini al 3% del Pil, che vuol anche dire che il 3% del Pil italiano viene da questo avanzo. Nei confronti degli Usa il surplus commerciale dell’Italia persiste da circa due decenni. Nel 2017 ha toccato i 31 miliardi di dollari (per la Germania è stato di 64 miliardi, per la Cina 375). I numeri italiani mostrano che siamo competitivi sui mercati internazionali, Usa in primis, e che questo, insieme al nostro sovrabbondante risparmio, genera rilevanti surplus commerciali (merci) e di conto corrente (merci e servizi). Si tratta di un dato positivo che però pone l’Italia nel club delle nazioni nel mirino di Washington intenzionata a ridurre gli squilibri più ampi, ahimè con misure mirate paese per paese. La nostra condizione leggi tutto
Le tante lezioni dalla sentenza di Lipsia sui Diesel
Il tribunale amministrativo federale di Lipsia ha riconosciuto ai comuni tedeschi la potestà di tenere fuori dai loro perimetri le auto a gasolio. Il ricorso era venuto dai Land Baden Württemberg e Nord Reno Westfalia che ritenevano la materia di esclusiva competenza federale. La sentenza di Lipsia è un importante punto a favore di chi, come chi scrive, si batte da tempo contro i diesel e segna quasi certamente la parola fine per questo tipo di propulsione, almeno per le auto. E’ infatti una decisione di peso istituzionaleche arriva dopo una lunga storia di illusioni, errori, corruzione, miopia da parte di imprese ed autorità nazionali ed europee. E tante sono le lezioni da trarre, alcune delle quali hannoimplicazioni per il nostro sistema democratico.
La prima lezione riguarda una certa arroganza europea per avere insistito in una tecnologia, quella del diesel, che il resto del mondo ha rifiutato o visto con scarsa simpatia da decenni complice il carico di inquinanti prodotto dai motori diesel a dispetto del buon rendimento energetico. Germania, Francia e Italia hanno testardamente insistito ad investire negli ultimi 25 anni nei motori diesel usati come una scorciatoia a buon mercato per ridurre la eccessiva CO2 dell’impronta umana, presunta causa del cambiamento climatico. leggi tutto
Se avesse ragione Trump sugli investimenti pubblici?
Trump spinge sugli investimenti destinandovi 200 miliardi federali. Sul NYT del 12 febbraio il premio Nobel Krugman banalizza in quanto sarebbe solo una compensazione a tagli ai ministeri di Trasporti ed Energia. Nella seconda parte dell’articolo Krugman è però meno pessimista. La spesa federale potrebbe trascinare quella pubblica locale e quella privata. Con effetti moltiplicativi da 1000 a 1500 miliardi di investimenti totali pubblici e privati. La necessità di nuove infrastrutture di trasporto, distribuzione e produzione di energia è avvertita da larga parte degli americani e spinge il consenso al presidente. In questa manovra molti economisti intravvedono però una espansione del deficit pubblico Usa, già sotto stress per la riforma fiscale che taglia l’imposta sugli utili d’impresa. Se usiamo l’odiosa bilancia di Maastricht il quadro è ancora più fosco. Il vero debito pubblico Usa è quello federale più quello delle amministrazioni locali. Mentre il riferimento è sempre a quello federale. Il reale debito pubblico supera in percentuale quello del bel Paese attestandosi a circa il 134% sul Pil. Ma al funambolico Donald non sembra fregare molto dei conti pubblici facendo infuriare oppositori ed economisti, al solito con musi lunghi. La reazione delle imprese, vicine a Trump, è positiva. La mossa di Donald dà una ulteriore spinta all’economia Usa e piace nelle leggi tutto
Italo: come impoverire l’Italia e come rimediarvi
Npv, alias Italo, è stato venduto al fondo americano GIP (Global Infrastructure Partners) nato nel 2006 e attivo nei settori delle infrastrutture portuali, aeroporti ed energia. Npv è azienda privata ed è il secondo operatore nei servizi ferroviari di alta velocità in Italia dopo Trenitalia. Nato nel 2006, come il fondo GIP, dopo un avvio un po’ stentato e una ricapitalizzazione nel 2014 ora fattura circa 450 milioni con un margine netto di 34 milioni, lordo di 150 milioni. Il ritmo di crescita di Italo è ora sostenuto e ha raggiunto le due cifre,avviato a salire. Il fondo GIP ha sborsato poco meno di 3 miliardi di dollari per il 100% di Italo. Il ministro dello sviluppo Calenda aveva fatto qualche pressione perché Italo si quotasse e allargasse quindi la base della borsa italiana. Una matricola per la quale è previsto un buon sviluppo è sempre un sostegno per una Borsa un po’ anemica come quella di Milano. Il consiglio di amministrazione di Italo ha deciso altrimenti cedendo interamente l’azienda per un incasso immediato. I quasi tre miliardi di dollari andranno ad accrescere il patrimonio dei già ricchi azionisti, Montezemolo, Banca Intesa, Generali, gruppo Della Valle, gruppo Seragnoli e altri.
Il fatto sembrerebbe costituire una bella notizia leggi tutto
Quanti scandali diesel dovremo sopportare ancora?
La serie degli scandali diesel si allunga assumendo contorni sempre più inquietanti. L’ultimo fa tornare alla mente pratiche che si credevano scomparse. Le case tedesche produttrici di auto hanno usato cavie umane per valutare gli effetti delle emissioni delle loro auto diesel. Il fatto è grave per diverse ragioni. In primo luogo, la maggiore delle produttrici di auto è una impresa di stato in quanto una regione (Land) tedesca ne possiede una quota di controllo. Questo chiama responsabilità politiche in quanto i cittadini da un’impresa di stato si aspettano comportanti più che corretti. In secondo luogo, è discutibile la sperimentazione su umani di nuovi farmaci nonostante lo scopo sia di fare passi avanti in campo medico per salvare vite umane. E’invece insopportabile e crudele che imprese automobilistiche usino cavie umane per testare il livello del danno certo (già peraltro dimostrato in una vasta decennale letteratura medica, come ricorda il dr. Harari sul Corriere del 30 gennaio a p. 9) che le emissioni diesel provocano sull’apparato respiratorio e altri organi. In terzo luogo gli effetti delle emissioni dei motori diesel sulla salute sono di breve e di lungo periodo. Questi ultimi ben più pesanti sono relativi a patologie oncologiche gravi, come la letteratura medica mostra. leggi tutto