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Verso le comunali dell'11 giugno - 1) Il quadro d'insieme

Luca Tentoni - 22.04.2017
Elezioni amministrative 2017

Il voto amministrativo del 2017 riguarderà circa un quinto della popolazione e del corpo elettorale, un quarto dei comuni capoluoghi di provincia, un ottavo circa dei comuni. L'11 giugno (con eventuale ballottaggio, ove previsto, il 25 giugno) si voterà infatti in 1021 centri, 858 dei quali con popolazione inferiore a 15mila abitanti. I comuni superiori sono dunque 163. Oltre ai 25 capoluoghi di provincia ne abbiamo altri 138, così ripartiti: 52 fra 15 e 20 mila abitanti, 47 fra 20 e 30mila, 20 fra 30 e 40mila, 12 fra 40 e 50mila, 4 fra 50 e 75mila (Legnano, Carrara, Portici, Molfetta) e 3 oltre 75mila (Sesto San Giovanni, Guidonia Montecelio e Pozzuoli). Fra i comuni con una popolazione compresa fra 20 e 30mila abitanti, venti sono al Nord, cinque al Centro, tredici al Sud, nove nelle Isole. Fra gli altri 39 non capoluoghi (da 30mila abitanti in su) ce ne sono tredici del Nord, dieci del Centro, tredici del Sud e tre delle Isole. In questa fascia di comuni, dunque, il test sembra particolarmente importante, perchè le elezioni amministrative coprono abbastanza bene le diverse realtà del Paese. I comuni capoluogo che vanno alle urne, invece, sono stavolta prevalentemente settentrionali: quattordici su venticinque (al Centro sono quattro, al Sud quattro, nelle Isole tre). Ciò nonostante, come vedremo nelle prossime puntate di questo lungo viaggio nelle amministrative del 2017, lo studio dei risultati elettorali fra il 1948 e il 2014 nei capoluoghi e di quelli fra il 2008 e il 2014 nei comuni non capoluogo al di sopra dei 30mila abitanti ci daranno utili indicazioni per cercare di valutare a livello nazionale i risultati dell'11 giugno. Ci sarà di grande utilità, inoltre, la distinzione fra capoluoghi che possiamo definire del Nord "bianco" (nove più Lucca), quelli "rossi" (sei capoluoghi fra Piemonte, Liguria, Emilia-Romagna e Toscana) e quelli del Centrosud e delle Isole (nove, fra i quali solo Taranto ha una storia elettorale diversa dagli altri e molto particolare). Il peso delle tre aree, in termini di aventi diritto al voto, è abbastanza in equilibrio: il vecchio "Nord bianco" conta oggi circa 800mila elettori; la "zona rossa" circa 900mila; il Mezzogiorno "allargato" alle Isole un milione e centomila. In termini di voti validamente espressi l'equilibrio fra le aree è ancora maggiore: alle scorse comunali del 2012-'13 sono stati 460mila nel "Nord bianco" (596mila alle politiche 2013, 481mila alle europee 2014, 407mila alle regionali 2012-'15) contro i 447mila della "zona rossa" (659mila nel 2013, 519mila nel 2014, 355mila alle regionali) e i 630mila del "Mezzogiorno allargato" (670mila nel 2013, 441mila nel 2014, 462mila alle regionali). Esamineremo i dati sia nell'insieme, sia distinguendo le dinamiche locali di medio-lungo periodo. Una notazione preliminare che a nostro avviso è significativa riguarda l'insediamento territoriale dei maggiori partiti. L'indice di correlazione fra i voti ottenuti nel 2014, 2013 e 2008 ci mostra che il Pdl-Forza Italia ha, fra il 2014 e il 2013, una distribuzione dei consensi costante sul territorio (in altre parole, resta forte dove era più forte e più debole dove aveva meno voti) nel Nord bianco (0,87) e nelle zone rosse (0,91), ma molto meno nel Mezzogiorno allargato (0,71). La Lega Nord, per contro, è perfettamente in linea (0,95 e 0,93) anche nei raffronti 2014-2008 (0,90 zone bianche, 0,98 zone rosse) e 2013-2008 (0,88 e 0,95). Diverso il discorso per il Pd, che si conferma nella zona rossa (0,87 2014-2013, 0,86 2013-2008) ma "cambia pelle" nel Nord bianco (rispettivamente 0,66 e 0,53) e, se nel passaggio 2013-2008 mantiene una qualche continuità di insediamento nel Mezzogiorno allargato (0,78), fra il 2013 e il 2014 la perde (0,19). Interessante notare, inoltre, la diversa performance del M5S fra le politiche del 2013 e le europee del 2014 nei venticinque capoluoghi: se nel Nord bianco (0,86) e nella zona rossa (0,90) le zone di insediamento si confermano, ciò vale un po' meno per il Mezzogiorno (0,75). Del resto, nel 2014 la maggior concorrenza elettorale è fra Pd e M5S (il coefficiente di correlazione fra le differenze percentuali di voto fra i due partiti è altissimo: -0,71). Nel passaggio fra il 2013 (politiche) e il 2008 (politiche) la dinamica era stata diversa: i Cinquestelle avevano avuto un risultato migliore nel Nord bianco in quei comuni dove il Pd (correlazione -0,90) perdeva voti, ma pochissimo col Pdl (-0,29); nelle zone rosse, invece, il M5S ha probabilmente attinto allo stesso modo da Pdl (-0,65), Pd (-0,71), Idv (-0,80) e astenuti (-0,69). Nel Mezzogiorno, infine, era stato il Pdl (-0,71) il maggior concorrente del M5S, non il Pd. In altre parole, la crescita del Movimento di Grillo fra il 2008 e il 2013, nei venticinque capoluoghi esaminati, aveva colpito il Pdl un po' dovunque, ma soprattutto nella zona di maggiore insediamento (il Sud); i Cinquestelle erano invece in competizione col Pd nel Nord e nella zona rossa. Prima di iniziare il nostro viaggio nel voto dell'11 giugno, sottolineiamo un dato che riguarda l'affluenza alle urne. Nei venticinque capoluoghi si era mantenuta al di sotto o pari alla media nazionale dal 1948 al 2001, cioè fino a quando nella maggior parte delle elezioni la sinistra e il centrosinistra venivano sottorappresentati in questi comuni: dal 2006, invece, il centrosinistra ottiene prima il 3,4% in più della media nazionale (2006), poi l'1,7% (2008), l'1,6% (2013), infine il 3% (2014). L'affluenza in questi centri è, nel periodo 1948-1992, superiore dello 0,5% rispetto alla media nazionale, ma scende al +0,3% fra il 1994 e il 2001, per poi essere sensibilmente minore in confronto al resto del Paese: -2,4% nel 2006, - 3% nel 2008, -3% nel 2013, -5,4% nel 2014. La storia elettorale dei comuni al voto il prossimo 11 giugno ci fornirà altre interessanti indicazioni, che non sono semplici coincidenze: tra tutte, anticipiamo che alcune delle cinque città capoluogo col voto più elevato al Msi negli anni Cinquanta sono fra le prime per il consenso al Pdl 2008-2013. L'indice di correlazione fra le percentuali di suffragi ottenuti dal Pdl nel 2008 e dai partiti presenti alle politiche del 1958, per esempio, è molto alta col Msi (0,61) e i monarchici (0,59), mentre per ciò che riguarda la Lega è rilevante il raffronto con Dc (0,52), Pli (0,50) e Psdi (0,62). Il quadro non muta se si prende in considerazione il 2013: il Pdl è correlato positivamente a Msi (0,55) e monarchici (0,68) del 1958, mentre la Lega lo è con Dc (0,47), Pli (0,47) e Psdi (0,58), segno che l'eredita "bianca" del Nord è andata abbastanza, nel corso della Seconda Repubblica, più verso il Carroccio, mentre nel resto d'Italia, in particolare nel Mezzogiorno, le antiche grandi riserve di suffragi della destra si sono ritrovate nel voto al Pdl. Somiglianze di un certo rilievo si notano solo per i gruppi a sinistra del Pd, che - in misura non altissima, per la verità, ma significativa - si associano col voto al Psi e ad altri di sinistra negli anni Cinquanta.