Una settimana cruciale

Quella che si apre rischia di essere una settimana cruciale per la politica italiana, a meno che tutto non si risolva, come suol dirsi, a tarallucci e vino. Ma anche in questo caso il passaggio non cesserebbe di avere un carattere dirimente.
Il tema fondamentale non sarà solo quello del destino della riforma elettorale, che pure mantiene tutta la sua importanza. Il dibattito parlamentare su questo tema si incrocerà quasi certamente con due fattori di politica europea ed internazionale che stanno per arrivare a dominare la scena. Il primo è la soluzione che si potrà trovare alla crisi greca, dove sono possibili anche esiti molto drammatici. Il secondo è il ritorno alla ribalta del problema della sistemazione della sponda sud del Mediterraneo, nel momento in cui le tragedie dell’immigrazione costringono i governi europei a misurarsi con la crisi libica e l’andamento della guerra al terrorismo marcato Isis non sembra produrre risultati rapidamente apprezzabili.
Avere in queste condizioni un governo impantanato nella diatriba sui capilista bloccati e sulle preferenze non giova certo alle mosse che Renzi dovrebbe poter fare sullo scacchiere internazionale. Anche critici non certo teneri verso il premier come Eugenio Scalfari hanno riconosciuto che questi sa giocarsi le sue carte a livello di contatti bilaterali, come ha dimostrato nella trasferta americana. Tuttavia si sa bene che ciò non basta, se un leader non può dimostrare di avere il controllo sulle dinamiche politiche del suo paese.
Anche Prodi era stato un leader che aveva riscosso rispetto e apprezzamento nei consessi internazionali (ed individualmente ne ha ancora molto), ma era finito azzoppato dalle bizze di più d’uno dei suoi compagni di strada. Ora tutti sanno che in politica l’uomo veramente solo al comando non esiste (in definitiva neppure nelle dittature), ma tutti sanno egualmente che è davvero leader chi è in grado di tenere sotto controllo le fibrillazioni che vengono a crearsi intorno a lui.
Le questioni che si sollevano sulla riforma elettorale sono tali da mostrarsi chiaramente all’esterno come strumentali rispetto semplicemente al tema di rimettere in discussione la vittoria di Renzi sul tradizionale assetto del potere all’interno di quel coacervo di componenti che è il PD. Ben pochi fra gli analisti professionali della politica (quelli che forniscono le linee interpretative ai vertici dei vari paesi) possono ritenere che davvero l’Italicum possa “mettere a rischio la democrazia” in Italia. Non certo perché sia una legge perfetta, ma perché la tenuta o meno di una democrazia si determina in altro modo e non è certamente un sistema elettorale che è da solo in grado di metterla a rischio.
La storia è piena di “al lupo, al lupo!” a fronte di riforme che ridisegnano un sistema politico vigente. Tanto per richiamare due casi classici, fu così in Gran Bretagna nel 1911 quando venne tolta la parità alla Camera dei Lord e fu così in Francia quando venne varata la Quinta Repubblica (le denunce di un “nuovo fascismo” fioccarono allora da molte parti). Oggi quei ricordi fanno sorridere e vengono letti come frutto del surriscaldamento ideologico del momento.
Nella settimana entrante però in Italia si rischia qualcosa di più, perché è in gioco il consolidamento o meno del cambiamento avvenuto negli equilibri politici con la vittoria di Matteo Renzi alle primarie per la segreteria del suo partito. Quel cambiamento è stato visto come un segnale positivo dalla maggior parte dei ceti dirigenti internazionali: non perché tutti considerassero Renzi il grande statista finalmente arrivato a dirigere le sorti dell’Italia, ma perché avevano visto in lui l’insperata verifica del “eppur si muove” rispetto ad un paese che pareva imbalsamato nelle sue contraddizioni.
La situazione però rimane molto ambigua. Se Renzi non riesce a condurre in porto la sua operazione sulla legge elettorale, che ha eletto a simbolo e strumento del “cambio di passo” della politica italiana, avrà perso il suo carisma e non sarà in condizione di guidare con autorevolezza la politica italiana sul terribile terreno dove si combatteranno le battaglie per le crisi che abbiamo già presentato. Però anche se Renzi vince la situazione non sarà semplice, perché difficilmente quella vittoria sarà definitiva, mentre è più probabile che dia solo il via ad una radicalizzazione del confronto coi suoi avversari.
Entrambi gli scenari sono per noi molto pericolosi, anche perché la battaglia per l’Italicum è solo un momento di uno scontro che avrà episodi successivi, sia nella tornata di elezioni amministrative di fine maggio (da cui possono arrivare varie sorprese) sia nello scontro sulla riforma del senato. Il tutto senza dimenticare che intanto sarebbe necessario avere uno sviluppo positivo per le riforme attese in molti campi, alcune ben avviate, altre ridotte a sequele di slogan e di vaghi propositi.
di Paolo Pombeni
di Davide Denti *
di Ugo Rossi *