Una politica in apnea pre-elettorale
Chi commenta la politica si trova in un certo imbarazzo. A meno di buttarsi sui vari spettacolini che essa continua ad offrire (polemichette su San Remo, duelli verbali Meloni-Schlein, astruserie sul fascino della monarchia nonostante la noia dei funerali di Vittorio Emanuele a Torino), non c’è molto su cui val la pena di soffermarsi.
Anche la protesta del mondo dell’agricoltura, che pure pone un problema serio, si consuma fra lo show e la concessione di qualche bonus a caccia del voto. Eppure la questione di difendere il nostro sistema agricolo a fronte di una globalizzazione del commercio dei beni dell’agro-alimentare è una cosa seria. Da un lato c’è il tema della difficile praticabilità del porre barriere alla circolazione delle merci. Per dire la cosa più banale: come si farà a controllare che i prodotti importati rispettino gli standard di sicurezza che giustamente noi imponiamo? Facile a dirsi, ma difficile a farsi, perché sarà difficile dopo un primo momento semplicemente “presumere” che altrove quegli standard siano sconosciuti: troveranno modo di sostenere che ci sono, anche se nessuno li farà rispettare e per noi sarà impossibile verificare sul luogo.
In più non possiamo dimenticarci che anche i produttori italiani sono esportatori di prodotti agro-alimentari, per lo più di qualità, e che sono soggetti a boicottaggi di vario genere (per esempio scarsa o nessuna tutela dei nostri marchi storici). Le ritorsioni in questi campi sono all’ordine del giorno.
Veniamo così all’altro lato della questione. Il comparto è ancora strutturato con una preponderanza di aziende medio-piccole, le quali difficilmente possono essere in grado di tutelarsi dalla concorrenza del sottocosto che viene da fuori, soprattutto perché devono fare i conti con una filiera di distribuzione/vendita dei prodotti che a sua volta ha interesse al prezzo e al proprio guadagno e non a mantenere ad un livello almeno decente i ricavi del lavoro agricolo. Puntare a sostenere questa situazione della nostra agricoltura semplicemente con sussidi e bonus di varia natura come si è fatto in passato appare problematico. Sarebbe necessario ampliare il volume dei sussidi, ma non si sa con che fondi, vista una situazione economica che è problematica anche per altri settori, i quali cominceranno a pretendere gli stessi livelli di aiuti.
Guardando freddamente le cose, dovrebbe essere una bella occasione per avviare un piano agricolo ragionato e largamente condiviso, realistico senza cadere nelle stupidaggini del “si potrebbe fare di più” in materia di sussidi vari. Ma di questo non si trova traccia, perché si deve fare campagna elettorale e per cercare voti bisogna distribuire subito regalini, mentre i piani coraggiosi che richiedono tempo per diventare realtà non trovano consenso (anche perché purtroppo siamo abituati, non senza buone ragioni, a considerare questo genere di piani come parole al vento).
Il contesto ha imposto una campagna elettorale defatigante e lunghissima non solo per le competizioni fra due blocchi contrapposti, il destra-centro e una sinistra dove cosa sia il centro non si sa, ma ancor più per le lotte intestine in ognuno dei blocchi. Nel primo la competizione fra Meloni e Salvini è sempre più accentuata, anche se per ragioni varie da entrambe le parti si finge si tratti solo di propaganda, magari un po’ sfacciata, ma nulla più. Nella opposizione all’attuale governo, che non si sa quanto sia appropriato aggregarla sotto il nome “sinistra”, la concorrenza è chiaramente fra Schlein e Conte, con il curioso fenomeno per cui una parte almeno dell’establishment della comunicazione ha cominciato a parteggiare per la prima, probabilmente nel timore che un suo indebolimento possa destabilizzare ulteriormente quel campo spingendolo ancor più verso un radicalismo parolaio senza prospettive.
Sta di fatto che la politica appare in apnea quanto a capacità di programmazione. Proporre quelli che una volta si definivano “piani” diventa praticamente impossibile, non solo perché si ritiene che affrontare i nodi dei problemi in campo faccia solo perdere voti, dato che non è possibile farlo senza toccare una selva di privilegi grandi e piccoli per i più diversi settori, ma anche perché mancano ormai le sedi in cui questo genere di proposte possono trovare spazio. Sulle cose serie in questo paese ormai non si discute perché non fanno audience, ma se non si riesce a far discutere sulle proposte che prendono di petto un tema diviene impossibile costruire attorno ad esse il necessario consenso in modo da costringere la politica a prenderle in carico. Chiamatela “comma 22”, “gatto che si morde la coda” o come preferite, ma questa situazione sta deprimendo ulteriormente la nostra scena politica.
Chi pensa che tutto si risolverà con l’esito delle elezioni europee di giugno si illude. Innanzitutto perché, se i sondaggi non sbagliano clamorosamente, il quadro della distribuzione del potere nella UE rimarrà problematico e ci vorranno mesi perché si trovi una qualche stabilizzazione, la quale avrà solo allora i suoi riflessi sulla situazione italiana (per essere espliciti: si vedrà allora se Meloni riesce ad essere presente con qualche peso nel futuro gruppo dirigente di Bruxelles; oppure, se e dove finiranno in quella partita PD e M5S). In secondo luogo perché in contemporanea con le urne europee e in qualche caso dopo di esse avremo confronti sul piano delle elezioni comunali e regionali ed anche in quel caso ci saranno evoluzioni nei rapporti interni ed esterni ai partiti e alle coalizioni.
Insomma c’è il forte rischio che questa apnea della politica continui a lungo, il che non promette bene per i nostri equilibri di sistema. E dire che più di un osservatore, a cominciare dal governatore della Banca d’Italia, invita a non perdere le occasioni che vengono da una situazione economica che presenta, accanto a varie difficoltà, anche non poche opportunità di sviluppo.
di Paolo Pombeni