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16 marzo 2024
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Un sistema in panne

Paolo Pombeni - 05.05.2021
Albertini e Sala

Più passa il tempo, più diventa chiaro che il sistema politico è in panne. Il tentativo di sbloccarlo facendo appello ad una fase di tregua della lotta politica motivata dalla necessità di poter trarre profitto da un enorme finanziamento europeo al momento sta riuscendo per metà. Infatti su un versante abbiamo un governo che sotto la guida di Draghi sta realizzando alcuni obiettivi preliminari (per quelli finali si deve aspettare), sul versante opposto abbiamo dei partiti che si stanno inabissando nelle polemiche reciproche. Non è un sistema in equilibrio.

Volendo fare un po’ di storia, ci permettiamo di ricordare che il buon Max Weber ai tempi suoi (cioè nel primo quindicennio del XX secolo) ascriveva l’incapacità del sistema della Germania imperiale di produrre leadership politica alla peculiarità di una costituzione che al governo aveva dei burocrati e lasciava ai partiti solo lo spazio dell’agitazione per cui quelli si fissavano sempre più sulle loro propagande e non riuscivano a produrre un personale di governo, come invece stava accadendo in Gran Bretagna. Poi venne la Prima Guerra Mondiale e Weber dovette constatare che il paese non aveva veri leader, ma al più dilettanti nel ruolo, sicché la guerra non era governata e fatalmente finiva in una catastrofe nazionale.

Non vogliamo farci prendere dai parallelismi storici, che in genere portano fuori strada, ma qualche lezione per l’oggi possiamo anche coglierla. Il governo di unità nazionale che ha preso il via per impulso di Mattarella dopo il fallimento della capacità progettuale dei partiti, ha un nucleo forte di “non politici di professione” (chiamarli tecnici è riduttivo) ed una compagine di politici che li affiancano, nessuno dei quali è leader di un partito. Quelli che bene o male rivestono questo ruolo (Salvini, Meloni, Letta, Conte, Renzi, Bersani) stanno fuori del governo ed a loro rimane solo il campo della “agitazione”. Qualcuno di essi riesce a farlo anche dai banchi parlamentari, altri neppure quello perché del parlamento non fanno parte, ma per tutti c’è la vasta prateria dei social e di talk show.

È questo che genera una situazione abbastanza curiosa: poiché nessun leader può veramente avere un ruolo nella operazione governativa che prova a rilanciare il paese, si trova costretto a rendersi visibile accentuando le sue capacità demagogiche. Ovviamente ciascuno lo fa a modo suo, ci sono stili e linguaggi diversi, ma la sostanza è quella. Del resto che spazio avrebbero in un disegno di “ripresa e resilienza” che è tutto frutto delle capacità tecniche di un gruppo di personalità senza coinvolgimenti nelle lotte di partito? Non avendo ruolo in quel contesto se ne devono inventare uno spingendo sull’agitazione: chi per fare la parte del difensore di questa o quella corporazione, chi per cercare di rimettere insieme le antiche bandiere della lotta dei buoni contro i malvagi (poi ci si può sbizzarrire con tutte le variazioni e mescolare a piacere i vari aspetti).

Possiamo agevolmente spiegare cosa spinge in queste direzioni e ripetere cose già dette. Ci sono le elezioni in autunno, il paese vorrebbe vedere se davvero la geografia del consenso è cambiata così come ci dicono i sondaggi, i partiti non sanno come gestire la prova. Trattandosi di confronti sui sindaci, in un caso su un governatore di regione (la Calabria), in due di suppletive in collegi uninominali, le forze politiche avrebbero una meravigliosa via d’uscita dalle loro meschinità demagogiche. Si vota per cariche monocratiche e dunque ciascuno potrebbe esibire la capacità di mettere in campo personalità di rilievo, trasformando la competizione in un confronto fra profili che ciascuno possa davvero presentare come all’altezza della sfida di questa fase complicata. Anzi queste figure potrebbero diventare modelli del modo di essere classe dirigente.

Vedete in giro personalità simili? Il meglio è la ricandidatura di Sala a Milano a cui forse si contrapporrà Albertini: è già un buon livello. Per il resto, a parte qualche outsider (in sostanza solo Calenda), siamo ben che vada al medio profilo (talora anche sotto). In molti casi non sappiamo neppure chi saranno i candidati (per esempio per le suppletive, ma non solo). Se non è questa una prova della crisi in cui versano i partiti …

Non ci tranquillizza certo sapere che però quelli stanno attivamente lavorando per la successione a Mattarella, perché anche qui, per quel che ne sappiamo, di creatività ne vediamo poca. Non può essere considerata tale l’ipotesi di congelare tutto chiedendo all’attuale inquilino del Colle di restare al suo posto ancora un pochino: diventerebbe l’ennesimo caso di una vita politica in lunga sospensione, non si sa in attesa di cosa. Fuori di questo c’è la solita voglia dei vari “campi” (mischiati e trasversali come sempre in questi casi) di imporre il proprio presidente con l’idea che quando ci sarà il nuovo quadro politico-elettorale possa fare da sponda, oppure da diga a seconda dei casi e delle aspettative di vincitori e perdenti.

Esattamente quello che non serve in un paese che sarà interessato da una ciclopica scommessa sul suo futuro, che voglia accettare o meno di affrontarla cambierà poco. Ci vorrebbe una figura che fosse al tempo stesso una guida per le istituzioni e un moderatore del confronto politico che andrebbe tenuto su binari accettabili. Dobbiamo accettare che una figura del genere non si trovi, e che, come si diceva una volta dalle nostre parti, bisognerebbe farselo fare di legno dagli artigiani della Val Gardena?

Ci rifiutiamo di crederlo, perché vorrebbe dire che siamo finiti come paese. Si inizi a lasciar perdere la demagogia ed a produrre le condizioni per una stabilizzazione del nostro quadro politico. È possibile, se i cittadini esigeranno questo cambio di passo.