Un post-elezioni che dovrà fare i conti con la realtà
Che dopo la tornata elettorale del prossimo 26 maggio si dovranno fare i conti con la realtà lo dicono tutti, ma in genere si allude al problema economico che si presenterà con la stesura della legge di bilancio. Ci sono dai 23 ai 30 miliardi da trovare per evitare che il deficit superi la linea di guardia fissata dall’Europa (che peraltro in questo caso è ragionevole) e non viene detto dove si potranno trovare se non aumentando le tasse, vuoi quelle indirette come l’IVA, vuoi avventurandosi in quelle dirette come sarebbe la famosa “patrimoniale”.
Tutto vero indubbiamente, ma, ci si perdoni il gioco di parole, non è tutto. L’incognita maggiore riguarda l’equilibrio del sistema politico italiano, che è, lo si voglia o no, la pre-condizione perché da un lato si possa “fare politica” e dall’altro ci sia abbastanza fiducia perché si mantengano e possibilmente crescano gli investimenti economici. Purtroppo al momento non sembra che questa incognita verrà sciolta con i risultati delle prossime urne.
A meno di impennate dell’ultima ora non sembra essere alle viste un esito elettorale che incoroni un vincitore. Diciamo subito che già di loro le elezioni europee sono poco adatte alla bisogna: tutti ricordano l’irrilevanza finale del 40% raccolto da Renzi la volta precedente. Anche a prescindere da questo fatto, al momento sembra improbabile che ci sia un vero vincitore, quanto piuttosto che i vincitori siano una folla. Se la Lega avrà un probabile risultato intorno al 30% potrà dire di avere quasi raddoppiato i voti rispetto alle politiche, di rappresentare un terzo del paese (per la verità: di quello che vota, la cui percentuale rispetto al totale degli aventi diritto resta da vedere), di essere il primo partito. Non sarà però abbastanza per diventare il perno decidente di una nuova coalizione di governo: in quella attuale contano i voti e le conseguenti proporzioni stabilite dalle urne del marzo 2018. Dunque un vincitore azzoppato.
I Cinque Stelle se riescono a tenere la riduzione del consenso al di là della soglia del 20%, potranno anch’essi cantare vittoria, perché avranno scongiurato il rischio di divenire poco rilevanti e dunque di non fare più paura nel caso di un ricorso ad elezioni politiche anticipate. In più potranno con maggior convinzione far giocare nell’attuale situazione parlamentare il loro peso di partito di maggioranza relativa: vuoi continuando con l’attuale esecutivo, vuoi per ragionare su un altro possibile. Anche qui vincitori, ma si fa per dire.
Quanto al PD il discorso non muta di tanto. Se riesce a conquistare un 20% o magari a superarlo un po’ può dire di avere fermato la deriva che lo vedeva perdente, ma avrà il problema di decidere a chi va il merito dell’impresa. Lo rivendicheranno sia quelli che propongono un partito più “di governo” (Calenda) sia quelli che continuano a dire che la rimonta sia merito dell’essere “tornati a sinistra”. Essendoci poi in ognuno dei due pollai più di un gallo, c’è da aspettarsi un bel po’ di fuochi d’artificio.
A complicare il quadro verranno poi i voti raccolti dalle altre forze politiche, sia quelle che comunque supereranno la soglia di sbarramento, sia alcune di quelle che resteranno sotto. Forza Italia avrà anch’essa da rivendicare un piccolo successo se riesce a tenersi intorno al 10%, cosi come farà la Meloni se supera di un po’ la soglia del 4%. Ma per giudicare il risultato dei minori, per esempio dell’arcipelago di sinistra, bisognerà tenere conto anche di come andranno le amministrative, le regionali in Piemonte e le suppletive per la Camera in Trentino.
Questo fra il resto vale per tutti. Ad esempio se la Lega sfonderà o meno in una serie di comuni storicamente appannaggio della sinistra, se FI sarà o meno determinante per questo suo risultato, se il PD terrà o meno a prescindere da un apporto determinante dei cespuglietti alla sua sinistra, sono tutte variabili che peseranno eccome.
Cosa significa tutto questo? Se abbiamo visto giusto che ci sarà una fase in cui tutte le principali forze politiche avranno il problema di consolidare le loro mezze vittorie e tutti i cespuglietti quello di offrirsi a loro sostenendo di essere in grado di consolidarle. Chi ha una qualche memoria di come avvengono i negoziati per la scrittura della legge di bilancio non può che inorridire al pensiero di quel che accadrà: una lotta selvaggia da parte di tutti per portare a casa sostegni e incentivi per le varie corporazioni di riferimento e un gioco scatenato di ricerca di alleanze trasversali (più o meno alla luce del sole) per far passare le varie richieste.
È uno scenario davvero preoccupante, che si verificherà mentre nella UE si discute della distribuzione dei diversi pesi da assegnare agli stati membri e della politica economica complessiva da attuare per il prossimo mandato del parlamento di Strasburgo. Solo un elettorato maturo che valutati questi rischi decidesse, tanto nelle elezioni europee quanto in quelle amministrative, di mandare un segnale chiaro alla classe politica, anche con un uso oculato delle preferenze che sono pur sempre un modo per condizionare i giochi di vertice, potrebbe far argine contro questa deriva e fra il resto fornire al Presidente Mattarella un mandato implicito per poter agire in maniera più incisiva nel governo della delicata transizione in cui è incamminato il nostro sistema politico.
di Paolo Pombeni
di Francesco Provinciali *
di Stefano Zan *