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Un governo senza coesione

Paolo Pombeni - 02.10.2019
DEF 2019

Arriva il primo passo per la legge di bilancio, cioè il Documento di Economia e Finanza (DEF) che è una specie di sommario delle buone intenzioni del governo, poi si vedrà nella legge vera e propria come verrà dettagliato. Vale dunque la pena di discuterne a fondo? Per certi versi no, ma per un altro decisamente sì: siccome è un documento di prospettiva vale la pena di chiedersi se la prospettiva c’è.

Un’analisi impietosa del contesto spinge ad esprimere forti dubbi al proposito e per due ragioni. La prima è che il documento è stato scritto di fatto sotto dettatura delle attese indotte nella pubblica opinione da una lunga estate di agitazioni. Evitare che scattassero le clausole di aumento dell’Iva era il mantra agitato da tutti, ma soprattutto da coloro che hanno spinto per il varo della nuova maggioranza. Alla fine si è rimasti intrappolati da quei discorsi, impedendo che si potesse anche solo discutere seriamente di una rimodulazione delle aliquote Iva. Ci si è aggiunta un po’ di retorica sull’economia verde e roba simile.

Non c’è da meravigliarsi che sotto l’attacco delle opposizioni i partiti di maggioranza avessero difficoltà sul tema del blocco degli aumenti Iva, ma soprattutto i Cinque Stelle, che dovevano giustificare il loro abbandono della Lega, così come il nuovo partito di Renzi, che doveva assolutamente farsi vedere, si sono subito messi di traverso. Il PD, al solito, è finito in una logica ondivaga, non molto aiutato da un ministro dell’Economia che non ha dato prova di capacità di dominio della scena pubblica. Così ha dovuto lasciare di fatto molto spazio al “nuovo” Conte, che ne ha approfittato per consolidare la sua immagine di vero timoniere della nuova fase.

Il secondo dubbio deriva da una constatazione se volete banale: per fare discorsi di prospettiva, una prospettiva bisogna averla e bisogna altresì che sia condivisa dalla pubblica opinione. Giustamente ogni tanto qualche ministro e lo stesso premier ricordano che per rimettere in sesto la nostra situazione economica ci vuole una programmazione di alcuni anni. Si discute se alcune misure, per esempio il taglio del cuneo fiscale, non sia meglio rinviarle di un anno. Cose ragionevoli, non fosse che non appare certo che l’attuale governo duri.

Prendiamo il problema della lotta all’evasione fiscale. Obiettivo sacrosanto, visto che l’evasione ammonta ad oltre 100 miliardi, quella per la sola Iva a circa 33 miliardi. Lasciamo perdere le dichiarazioni di recuperare cifre ragguardevoli da subito (si dice addirittura 14 miliardi), un buon proposito che ci è stato sciorinato da un buon numero dei passati governi, senza che si sia concretizzato molto. Il fatto è che per far cambiare il rapporto di questo paese con la fiscalità generale, perché di questo si tratta, occorre non solo tempo, ma soprattutto poter presentare a chi non vuole arrendersi ai tempi nuovi (e sono tanti) la constatazione che si sta imboccando una strada da cui non si tornerà più indietro. Detto in parole povere: bisogna far vedere che il governo che vara le normative antievasione è compatto e durerà per un buon numero d’anni.

Far passare questo messaggio non ci sembra facile. Potremmo iniziare a dire che, banalmente, il buon numero di elezioni regionali che ci aspettano da qui a metà del prossimo anno fa pensare che ci sarà una lotta politica feroce e dagli esiti incerti, sicché già per questo la tenuta del governo non è così sicura e tutti cercheranno di imbonirsi settori dell’elettorato, evasori inclusi. In secondo luogo le componenti dell’attuale coalizione governativa non stanno dando prova di volersi sostenere reciprocamente, anzi i loro membri non perdono occasione per far vedere che ciascuno è interessato a smentire se non a smontare quel che stanno facendo gli altri. Come si capisce, con una coalizione a quattro teste la faccenda è piuttosto seria.

Un osservatore cinico potrebbe commentare che son tutte sceneggiate: nessuna delle quattro forze che compongono la maggioranza può permettersi di far cadere il Conte bis andando alle elezioni anticipate. Non lo può certo fare un M5S abbastanza scosso da tensioni interne, che dalle urne non può credere di uscire bene. Men che meno lo può fare il PD indebolito dalla scissione dei renziani e ancora ostaggio di lotte correntizie. Figurarsi Renzi che dopo aver eventualmente fatto cadere l’attuale governo, non saprebbe letteralmente cosa proporre, né potrebbe sperare in un exploit elettorale tale da metterlo al centro della scena. LeU è insignificante.

Tuttavia questo non basta a dare forza al governo di fronte all’opinione pubblica, che continuerà a percepirlo, ovviamente aizzata a farlo da una agguerrita opposizione demagogica, come un calderone di forze che si sono messe insieme senza peraltro essere decise a condividere fino in fondo un progetto politico. Del resto basta vedere cosa sta succedendo della riforma della giustizia, di quella del sistema elettorale, del cosiddetto “ius culturae” e via dicendo.

Conte può trarre profitto dalla situazione per rafforzare la sua posizione di figura che si pone fuori, se non proprio al di sopra, della mischia fra i partiti che lo sostengo e potrà magari esibire un qualche sostegno europeo ottenuto perché lo si considera il meglio che l’Italia di oggi può offrire. Non ci sentiremmo però di sostenere che questo sia sufficiente per far fare il necessario giro di boa alla politica italiana. Può darsi che possa dare una qualche spinta perché gli spiriti più rissosi della sua coalizione si acquetino e magari maturi una presa di coscienza che siamo davanti all’ultima scelta utile prima di un collasso del sistema, ma per crederci ci vuole tanta fede e tanta speranza.