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Un altro passo della BCE e il corridoio stretto delle politiche per il rilancio

Gianpaolo Rossini - 06.09.2014
Sede BCE

Un altro piccolo passo si è aggiunto il 4 settembre nel cammino della BCE verso una politica monetaria espansiva. C’è un ritocco dei tassi verso il basso che costringe le banche ad evitare di ritornare la liquidità alla stessa BCE che l’ha creata. C’è infatti un tasso negativo sui depositi presso la BCE che ora si è fatto più cospicuo (-0.20% dal livello precedente di -0.10%) e che dovrebbe spingere le banche a prestare di più a imprese e (forse) a governi. Poi c’è l’impegno ad acquistare titoli derivati ABS con la speranza che il conseguente abbassamento del tasso su questi si trasferisca anche a titoli obbligazionari privati e pubblici. Per quanto riguarda le manovre di espansione della offerta di moneta (quantitative easing) più volte promesse sembrano divenute meno probabili o sostituite da misure indirette ma certamente meno efficaci. Insomma un pacchetto di politiche che vanno nella giusta direzione ma con tempestività che appare in affanno e di dimensione sempre insufficiente. Ormai abbiamo compreso che in eurolandia tutte le politiche economiche sono costrette in corridoi molto stretti e che gran parte dei governi devono spingere al massimo sulla comunicazione perché nella sostanza possono fare sempre meno. La politica monetaria, quella che alla nascita dell’euro ci si aspettava potesse essere condotta in autonomia e con una certa flessibilità soprattutto in condizioni di forte disagio per le economie, è in realtà costretta a recitare un ruolo ridotto perché le è negata tempestività e soprattutto viene escluso l’utilizzo massiccio dell’artiglieria monetaria. Questo paradossalmente deriva dai governi che fanno finta di predicare l’indipendenza della banca centrale. E invece la tengono sotto tutela imponendo politiche più restrittive di quelle che la BCE adotterebbe se fosse realmente indipendente dai governi (forti) d’Europa. La politica fiscale è a sua volta obbligata in un corridoio ancora più stretto dai criteri di Maastricht e dalla spada di Damocle del Fiscal Compact, una formula che il 99% dei cittadini europei ignora nel suo significato e che misura il distacco anche linguistico delle istituzioni europee dai cittadini. Il Fiscal Compact impone un processo piuttosto veloce di raggiungimento del pareggio di bilancio pubblico che per molti paesi è insostenibile finanziariamente oltre che politicamente  perché li consegnerebbe nelle braccia di partiti anti Europa ed eversivi. L’Italia non ha molto spazio di manovra anche dopo le misure della BCE. Serve a poco ricordare che Il peggioramento del debito pubblico sul Pil è dovuto alle politiche errate di compressione dell’attività economica a fronte di una grave crisi finanziaria internazionale nata nel 2008 per cui dal 103%,  debito pubblico su Pil, del 2007 siamo passati al 132% del 2014.  Dobbiamo dunque cercare strade meno strette. Ma c’è un dato positivo che ce le suggerisce e su cui riflettere: nel primo trimestre del 2014 l’Italia è il 4to paese al mondo per il surplus della bilancia commerciale con l’estero (dopo Germania, Cina e Corea del Sud). I nostri conti con l’estero sono perciò in ottima salute. Il che ci dice che l’Italia ha capacità competitive di primo ordine a dispetto dell’euro il cui tasso di cambio ahimè sopravvalutato sta creando più problemi a Francia e ad altri partners che all’Italia, alla faccia delle continue litanie sulla scarsa capacità competitiva del bel paese. In più questo dato positivo ci dice che l’Italia nel suo complesso produce più di quanto compera. Ovvero viviamo al di sotto dei nostri mezzi. Ma chi spende troppo poco in Italia? Il settore pubblico spende già in eccesso e la disciplina cui dobbiamo sottometterci non lascia scampo e dunque il pubblico non può permettersi di accrescere la spesa. Resta quindi il solo settore privato. Qui invece si può fare molto. Eccome. E allora  rilanciamo la spesa privata soprattutto per quei settori che più stanno soffrendo la perdurante crisi e che non possono godere della valvola di sfogo dei mercati esteri. Alcuni di questi oggi soffrono una violenta contrazione come il settore delle costruzioni. Qui si possono fare operazioni a costo zero, come ridurre l’Iva sulla prima casa e su seconde case che devono essere vincolate alla non rivendita per almeno 7 anni. Stessa cosa si può fare per le imposte di registro. In più si possono dare incentivi fiscali a chi demolisce edifici esistenti e costruisce volumi uguali o ridotti rispetto all’esistente, diversamente da quanto fatto dalla legge sulla casa dell’ultimo governo Berlusconi che ha inflazionato i volumi e l’offerta. Poi occorre semplificare il sistema dei pagamenti con limiti meno severi all’uso di contante e rendere più liquidi i titoli di debito pubblico introducendo tagli piccoli (500 euro) al portatore e acquistabili in contanti presso posta e banche. Infine si ripete che dobbiamo imparare dalla Germania. In quel paese attività di intrattenimento sessuale sono legali e tassate oltre che controllate dalle forze dell’ordine. Regolarizzare e tassare attività che oggi sono illegali e danno luogo ad un enorme circuito di evasione e di riciclo di denaro sporco è una piccola grande riforma con notevoli benefici per l’erario e per l’ordine pubblico. Insomma nello stretto corridoio che ci lascia la BCE qualcosa si può fare con un po’ di coraggio, coscienti che la competitività del paese non è assolutamente sotto i tacchi.