Ultimo Aggiornamento:
20 aprile 2024
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Semantica della seconda repubblica

Luca Tentoni * - 20.09.2014
Seconda Repubblica

"Mariano, la svolta: cambia il team di Palazzo Chigi": un titolo così su Rumor, nella Prima Repubblica, non lo avremmo mai trovato su un quotidiano nazionale. La differenza fra la rappresentazione della politica durante gli anni Settanta (e gran parte degli Ottanta) e in quelli della Seconda Repubblica non sta, ovviamente, soltanto nel mutamento dello stile giornalistico. I principali mezzi di comunicazione di allora hanno subito trasformazioni profonde (l'impaginazione, l'impostazione, il formato dei giornali; il colore, la ricerca dell'audience nei dibattiti politici, la spettacolarizzazione dell'attualità per quanto riguarda la TV) e lasciato spazio ad altri media (Internet: in particolare i "social network") ma è cambiato anche il messaggio, oltre al quadro politico-istituzionale (sistema dei partiti; Costituzione materiale; rapporto partito-leader-elettorato; ridislocazione del potere sia nei rapporti centro-periferia, sia in quelli fra governo e Parlamento; tendenziale coincidenza fra premiership e leadership). Come hanno spiegato autorevoli esperti (il nostro è solo uno spunto per sollecitare riflessioni ben più profonde, meditate e ampie di questa) è cambiato anche il modo di "vendere" un partito, con le mutazioni del marketing elettorale sperimentate all'estero (fra tutti: da Séguéla per il futuro presidente francese Mitterrand) e giunte in Italia verso la seconda metà degli anni Ottanta, in tempo per una sperimentazione che faceva da preludio ad un'applicazione più ampia negli anni Novanta, col passaggio dal proporzionale al maggioritario uninominale e dalla "democrazia dei partiti" alla "democrazia delle leadership". Il mutamento non poteva che passare attraverso una rivisitazione del linguaggio, ma anche per una sorta di desemantizzazione. La neo-lingua della Seconda Repubblica, insomma, non è solo frutto di un'evoluzione naturale della tecnologia e del linguaggio corrente, ma appare funzionale ad agevolare il mutamento istituzionale e politico, oltre ad un nuovo rapporto fra eletti ed elettori nel quale il ruolo del partito è (in certi casi progressivamente, in altri bruscamente) occupato dalla figura del leader carismatico. Nel momento in cui non "si entra" più in politica, ma "si scende in campo", quando "Forza Italia" non è più un incitamento rivolto agli atleti delle squadre nazionali, ma un soggetto politico, il partito diventa la "squadra" e il segretario lascia il posto ad un più trascinante capitano o "leader". La Presidenza del Consiglio dei ministri, dunque, cessa almeno sul piano della rappresentazione di essere il posto del "primo fra pari" (in una "stanza senza bottoni") per divenire la plancia di comando di un "team" nel quale il ruolo del Premier (definizione ben diversa da quella dell'età della proporzionale, e non a caso mutuata da quella britannica dove il Primo ministro ha poteri e ascendente sul proprio partito ben diversi da quelli tipici della Prima repubblica italiana) si eleva ben al di sopra dei ministri e, spesso, dei gruppi della maggioranza. La stessa definizione di "Seconda Repubblica" segna l'inizio di una fase nuova, giocata prevalentemente sul terreno della comunicazione e del significato delle parole della neo-lingua politica. Il mutamento costituzionale profondo che non si attua è però subito "dato per scontato" nella sottile ambiguità che scambia un sistema dei partiti destrutturato e ristrutturato su basi diverse per un sistema istituzionale rinnovato che invece ha mantenuto la stessa base normativa pur in presenza di una rimodulazione dei poteri, da quelli del Capo dello Stato a quelli del Presidente del Consiglio. In realtà, il mutamento avviene soprattutto in ambito locale, dove però si arriva a parlare di "governatori" regionali già quando (1995) l'elezione diretta non è ancora formalmente prevista dalla Costituzione (sarà introdotta con la legge cost. 1/1999). Quella degli ultimi venti anni, dunque, è stata una "rivoluzione semantica" che ha accompagnato e in certo modo incoraggiato un meno imponente mutamento istituzionale e del sistema dei partiti. Il linguaggio sportivo è usato non solo come metafora della lotta politica, ma come rappresentazione del passaggio da un approccio "cooperativo" (o consensuale) ad uno schema competitivo (conflittuale). La necessità di schierarsi da una parte o dall'altra elide i toni intermedi e i gruppi che nella "Prima repubblica" facevano da "cuscinetto" fra i partiti maggiori. In questo paradigma gli arbitri (il Quirinale, la Corte costituzionale) sono mal sopportati dai "giocatori" (in caso di decisioni e persino dichiarazioni o atteggiamenti non graditi). La campagna elettorale, nonostante i collegi uninominali, lascia il posto ad una "battaglia" fra i due leader "in lizza" per la conquista del Potere: una competizione nella quale la televisione è di gran lunga più importante delle piazze. L'elettore-spettatore è ancor meno protagonista quando ai collegi si sostituiscono le liste bloccate dei candidati. Del resto, la "partita vera" è altrove. Così, in quella che è diventata un'arena gladiatoria, tutto cambia. Il "partito" (simbolo di stabilità e di un'ideologia) lascia spazio al "movimento", i nomi dei capi politici entrano nelle denominazioni dei gruppi o almeno nei simboli elettorali. Il sondaggio non è più considerato come uno strumento, ma come una sorta di responso elettorale continuo e assoluto. Peraltro, alcuni aggettivi (comunista, fascista) tornano in uso, dopo essersi scoloriti negli anni Ottanta, ma assumono un connotato quasi esclusivamente spregiativo nei confronti degli avversari, proprio quando ideologie e modelli stranieri di riferimento svaniscono. Anche la parola “golpe”, che negli anni Sessanta e Settanta evocava un pericolo reale, è ormai utilizzata frequentemente in luogo di “sopruso”. In questa rivoluzione - forse l'unica vera - riesce ad inserirsi felicemente almeno il recupero (da parte del Presidente Ciampi) della parola "Patria", coinvolta nella tragica esperienza del fascismo e diventata un tabù negli anni ’50-‘80. Alcune espressioni recenti ("stai sereno", che indica l'opposto) fanno pensare che la "rivoluzione del significato" sia ben lontana dall'esaurirsi, e che, invece, stia per vivere una nuova, lunga, stagione di successi.

 

 

 

* Luca Tentoni (Roma, 1966). Analista politico e studioso di sistemi elettorali. Editorialista per alcuni quotidiani (Gazzetta di Parma, Arena, Giornale di Vicenza, BresciaOggi). Cura per Giuffré il servizio di divulgazione giuridica online "Il Diritto di tutti" e si occupa per Giuffré¨-La Stampa di approfondimenti e testi per la sezione "I tuoi diritti" di http://www.lastampa.it/