Riforme a costo zero?

Di qui a fine anno ci sono 42 riforme da fare se vogliamo avere i soldi del Recovery europeo. E magari anche qualcun'altra che non è obbligatoria, ma che sarebbe bene realizzare per tenere il quadro in equilibrio. E si dovrà varare anche la nota di aggiornamento del prossimo bilancio dello Stato in vista della legge finanziaria che va approvata entro fine anno se non vogliamo finire nell’esercizio provvisorio, incompatibile con la gestione dei fondi del PNRR.
Il governo lo sa e ci sta pensando. I partiti lo sanno anche loro, ma non vogliono pensarci perché devono fare le loro battaglie elettorali. E qui casca l’asino. Non è soltanto questione di dilatare e ritardare tutto di almeno trenta, se non quaranta giorni, per attendere che siano espletati i ballottaggi e che i partiti abbiano “digerito” i risultati elettorali: già non sarebbe poco, visto che è un terzo del tempo che ci è concesso per varare le riforme. Si tratta, quel che è peggio, di superare la logica a cui i partiti (ma non solo loro), una parte spudoratamente, una parte con qualche ritrosia, si stanno piegando: che si possano fare le riforme a costo zero.
Non ci vuol molto a notare che in questo momento abbondano quelli che propongono spese senza indicare entrate (sarebbe contro la Costituzione, ma non sembrano accorgersene). I tamponi li deve pagare lo Stato, dice Landini. Quota 100 non si tocca, dicono Salvini e Meloni. Bisogna che il governo intervenga per contenere significativamente l’aumento previsto delle bollette energetiche, dicono un po’ tutti. Di riformare il catasto non si deve parlare perché aumenterebbero le tasse sulla casa (che poi magari si elimino privilegi di paga poco per case storiche di pregio a spese di chi paga molto per nuovi edifici non interessa). La riforma fiscale si deve fare per abbassare significativamente tutte le tasse. Nella concorrenza è vietato toccare i diritti acquisiti (cioè i privilegi) di chi ha già avuto. Sul reddito di cittadinanza poi non si può tornare indietro. E via elencando.
Naturalmente quando si fa presente che è illusorio pensare che lo Stato possa fare la Befana che riempie le calze di tutti (e quella almeno mette carbone ai cattivi, qui è vietato), ci si sente dire che i soldi del Recovery europeo sistemeranno tutto. Falso, perché un po’ di quelle cose non si possono fare e un'altra parte se viene fatta ci mette alla mercé della reazione dei “frugali” della UE.
C’è però una ragione più profonda e seria su cui sarebbe bene invitare i cittadini a riflettere. Poiché la mano pubblica ha ormai bisogno del gettito fiscale per tenere in piedi una massa ingente di servizi e di enti destinati ad erogarli (e certo non si può pensare di questi tempi a creare nuova disoccupazione facendoli dimagrire), la soluzione inevitabile sarà probabilmente la solita: rastrellare fondi con la tassazione indiretta. Chi ha studiato queste cose sa che è la forma di tassazione più iniqua che ci sia, perché ricade indifferentemente su tutta la platea dei cittadini, creando pesi che alcuni possono sopportare, ma che tirano a fondo altri meno abbienti.
Del resto sappiamo già bene perché il nostro disastrato sistema di riscossione dei contributi fiscali ha generato squilibri nel paese. La rincorsa a esenzioni, benefit, agevolazioni e quant’altro da un lato, mentre dall’altro si aggiungevano aliquote su aliquote su tanti beni di consumo (la formazione del costo della benzina è da tempo un caso di studio), ha generato guasti che hanno impedito finanziamenti adeguati in molti settori. Se oggi ci lamentiamo, tanto per dire, delle “classi pollaio” è perché l’edilizia scolastica non è stata adeguatamente finanziata in molte parti d’Italia. Se i nostri ricercatori cercano impiego all’estero è perché da noi la ricerca è mal sostenuta e spesso mal gestita.
Bisogna usare un linguaggio di verità verso i cittadini e avvertire che non si possono fare riforme di struttura a costo zero. Non sempre i costi sono puramente di carattere finanziario. Spesso sono di rinuncia a privilegi, di obbligo di adeguarsi a nuove modalità che rompono la pigrizia di routine sedimentate (e non è che questo genere di costi sia accettato più facilmente di quelli finanziari).
Si dice e si scrive spesso che tanto Draghi “tira dritto” e non si preoccupa di quelli che vogliono fare le barricate su questo e su quello. Per ora va così, ma quanto può durare? Perché è inutile nascondersi che tanto per le riforme necessarie dovrà passare per le forche caudine del parlamento e lì dovrà fare i conti con la demagogia che i partiti hanno sparso a piene mani.
Immaginarsi che ci siano forze politiche irresponsabili a cui si potranno contrapporre decisamente altre forze responsabili è raccontarsi un sogno. Ogni partito ha i suoi clientes, le sue lobby da tutelare, e quando uno riesce a portare un vantaggio alle sue, gli altri vogliono poter fare altrettanto. Basta guardare a come sono state fatte le coalizioni che si contendono l’elezione del sindaco nei vari comuni, grandi e medi (i piccoli fanno storia a sé): sono coacervi di interessi variamente costruiti e talora variamente camuffati da interessi generali. Eppure in ogni comune ci sarebbe una opportunità di procurare alle proprie popolazioni un qualche sviluppo se si fosse in grado di gestire i soldi che arriveranno dal Recovery, ma che non potranno essere usati per foraggiare vantaggi e prebende a questo o a quel settore. Richiederebbero personal all’altezza, è ovvio, e qui sta un problema che non riguarda solo i candidati sindaci, ma anche quelli per i posti di assessore o in consiglio comunale.
Le riforme hanno dei costi: umani, politici ed economici, bisognerebbe saperlo e tenerne conto. Non è questione di destra o di sinistra, è questione di qualità degli amministratori e di disponibilità delle popolazioni a sostenerli. Vale a tutti i livelli, dal nazionale al locale.