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Renzi alla prova dell’Italicum

Paolo Pombeni - 09.04.2015
Matteo Renzi e l'Italicum

Non sempre in politica le drammatizzazioni sfociano poi in drammi veri e propri, ma il rischio c’è. Per questo lo scontro che si sta determinando attorno al tema della approvazione definitiva della legge elettorale battezzata “Italicum” non va preso alla leggera.

La questione in astratto può essere posta chiedendosi se il testo in approvazione sia ben fatto. La risposta è fin troppo facile, visto che della capacità di scrivere buone leggi si è da tempo persa traccia. Se però il quesito fosse formulato in maniera diversa, non sarebbe così facile prendere posizione, perché non sembra agevole immaginare come risolvere meglio le questioni in campo. Infatti tanto il premio di maggioranza alla lista o alla coalizione, quanto il problema dell’ampliamento delle scelte con le preferenze sono soluzioni ambigue, che risolvono alcuni problemi e ne creano altri.

In concreto si può ragionare forse più agevolmente riconoscendo che l’Italicum è un sistema inventato per rispondere ad alcune emergenze tipicamente nostre. La prima è creare una maggioranza che stia in piedi e che non sia sottoposta al logorio delle sue divisioni interne come è nel caso di coalizioni forzose. La seconda è blindare quella maggioranza rispetto alle tensioni parlamentari, riducendo le “opposizioni” ad un frastagliato universo di raggruppamenti senza capacità di compattarsi. Sono scelte che dipendono dalla attuale peculiarità di un paese che non riesce più ad esprimere aggregazioni su vasta scala sulla base di grandi scelte di prospettiva politica.

Non ci vuol molto a rilevare che quasi tutti hanno colto quanto questo passaggio diventerà cruciale per il superamento dell’attuale panorama di dissoluzione delle legittimazioni politiche ereditate dal crollo del sistema della cosiddetta prima repubblica. Di qui la rigidità del passaggio a cui ci troviamo di fronte.

Renzi non vuole rinunciare a portare a termine una trasformazione per cui ha bisogno di passare prima o dopo per una legittimazione elettorale. Non può permettersi di farlo con un sistema che lo ricaccerebbe nelle mani delle antiche tribù politiche, anche se opportunamente riverniciate da un ricambio generazionale che ha coinvolto anche loro. I suoi avversari interni, per ragioni speculari non gli vogliono concedere questa vittoria.

Il fatto relativamente nuovo è che forse essi fiutano che le loro preoccupazioni sono largamente condivise anche dalle opposizioni parlamentari, le quali capiscono anch’esse che in un panorama come quello che uscirebbe con l’applicazione dell’Italicum avrebbero scarsa possibilità di manovra. Certo sul medio periodo anche per le opposizioni si aprirebbe lo spazio per una riorganizzazione reale, ma, siccome non si sa a pro di chi e con che modalità, gli attuali membri di quella classe politica si guardano bene dal favorire il cambiamento.

Ciò su cui val la pena di interrogarsi è se davvero si può uscire da questo impasse senza un trauma di qualche genere. Difficile immaginarlo. Se Renzi cederà alle richieste di modifiche delle sue minoranze interne subirà un colpo di credibilità che le opposizioni non mancheranno di sfruttare e dunque far passare la legge riformata al Senato sarà piuttosto incerto. Se decide di andare avanti dritto per la sua strada si deve preparare al rischio di una rivolta parlamentare interna al suo partito.

In questo secondo caso il suo governo viene sfiduciato di fatto e non sembra possibile che si trovi una maggioranza parlamentare in grado di produrne un altro, sicché la prova delle elezioni anticipate sembra difficilmente eludibile.

Secondo alcuni è una soluzione che a Renzi non dispiacerebbe, convinto che il paese premierebbe lui e non i congiurati suoi avversari. Questo però è da vedersi con una legge di fatto molto proporzionale come è quella che dovrebbe essere applicata, risultando dalla nota sentenza della Consulta che bocciava la riforma Calderoli. La minoranza PD in quel caso difficilmente potrebbe rimanere nel partito, dove comunque a fare le liste sarebbe la maggioranza, mentre essa ha ancora un suo seguito tradizionalista nel paese, seguito di cui potrebbe profittare con un sistema di tipo proporzionale.

Si aggiunga che il proporzionalismo in questo momento confuso spingerebbe all’ingresso in campo di molte formazioni con un effetto di ripulsa da parte di un paese poco disponibile ad aperture di credito verso gli egoismi delle troppe tribù politiche. E, anche in questo caso, l’astensionismo favorirebbe la frammentazione, perché a scegliere sarebbero i gruppi più legati a prospettive “identitarie”.

Si arriverebbe dunque ad un parlamento difficilmente governabile, in mezzo al guado di riforme incompiute, con una legge di stabilità da varare a fine anno in questo clima, con l’esigenza di inventarsi un inevitabile governo di (debole) coalizione non si sa sulla base di quali intese.

Se si ragionasse da parte della classe politica, si capirebbe facilmente che è un quadro che non giova a nessuno. Con un sistema che al momento favorisce Renzi e la sua visione di partito di grande raccolta si può comunque contare in futuro di sostituirlo rubandogli la strategia e ribaltandola. Con una legislatura sotto il segno della confusione e della debole governabilità si darebbe al nostro sistema un colpo tale da richiede molto tempo per sanare i guai che produrrebbe.