Ultimo Aggiornamento:
20 aprile 2024
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PNRR: fuffa, inerzia, sprechi e burocrazia digitale

Francesco Provinciali * - 22.04.2023
PNRR

La differenza tra la teoria e la pratica è il peccato originale nella gestione politica della cosa pubblica in Italia, l’eccesso di annuncio il refrain che l’accompagna. Siamo satolli di parole e prodighi di effetti speciali nell’inventare sigle, formule, titoli e copertine: “Piano nazionale di ripresa e resilienza”, in acronimo PNRR: il Next Generation Eu è il tentativo comunitario di realizzare le premesse di un progetto condiviso, di riprendere in mano il sogno dei Padri fondatori di una patria comune che stemperi le disuguaglianze,  resta da chiedersi perché ciò che ci compete e viene chiesto svanisce nel tempo tra lungaggini e rinvii, incertezze e indecisioni. Si è parlato a lungo di un’occasione storica per il vecchio continente, avvalorata dalla necessità di fronteggiare i disegni totalitari tesi a configurare un nuovo ordine mondiale, di compattare le nostre economie, di stemperare le minacce belliche planetarie e le politiche commerciali espansive dei Paesi dell’Est.

Abbiamo un know how di civiltà, cultura e sapienza da spendere ma tutto resta intrappolato nei meccanismi arrugginiti dei nostri mali antichi: l’inerzia, lo spreco, la burocrazia oggi ammantata dalle lusinghe della transizione digitale che la rendono sempre più farraginosa e complicata.

Tra l’enfatizzata convocazione degli Stati generali a Villa Pamphili del luglio 2020 e il presente si aggira disorientato il topolino che la montagna aveva partorito. Bisognerebbe andare all’essenza delle cose, affrontare la realtà con uno sguardo lungimirante e mettersi al lavoro: questa regola ha sempre cozzato con il malvezzo della nostra inguaribile verbosità. Fiumi di parole, progettualità come maschera dell’eterno rinvio, difficoltà strutturale di focalizzare obiettivi raggiungibili, assemblearismo come degenerazione speculare della concertazione, sovrapposizione di ruoli istituzionali specie tra livello centrale ed enti locali, incapacità di coinvolgimento di uomini e apparati, strutturale conflittualità nelle tassonomie delle scelte.

La Corte dei Conti ha stigmatizzato la paralisi nella definizione degli step del PNRR, (la previsione di impegno dei fondi si è arenata al 6% di opere e progetti nella P.A.), puntando l’indice sull’inazione e la confusione che inceppano i meccanismi di funzionamento di una programmazione d’insieme che di fatto non esiste, almeno nella auspicata dimensione di una gestione coesa: sembra di rivivere le sgradevoli sensazioni che accompagnano le liturgie dei decreti milleproroghe e dei loro linguaggi criptici e confusivi.

In questa situazione le scadenze e la necessità di restituire all’U.E. un piano di fattibilità spingono verso l’errore più grave che si potrebbe commettere: spendere per spendere, comunque, a prescindere.

Nel forno del PNRR entra anche molta “fuffa” con finalità riempitiva, d’altra parte non ci si potrebbe attendere qualcosa di meglio da una P.A. carente in quanto a organici, non formata, taglieggiata dal turn-over, da una classe politica incapace di esprimere traguardi lungimiranti e – come osserva il Prof. Giavazzi - dal peso delle riforme mancate in questi anni che incidono sul PNRR più degli investimenti, un tempo alibi dell’inazione ed ora impasse nella gestione dell’innovazione. Come più volte evidenziato dal Presidente CENSIS Giuseppe De Rita i processi innovativi evocati dal Recovery Plan – a cominciare dalla transizione ecologica e dalla digitalizzazione dei servizi – necessitano di meccanismi accorti e comportano processi di metabolizzazione nel tessuto sociale. In ritardo su tutto si tirano fuori dai cassetti polverosi progetti datati e obsoleti da utilizzare per impegnare i fondi disponibili: ci si chiede forse, oltre l’immediata suggestione della “pioggia” dei 209 miliardi di euro quale sarà il ritorno produttivo, quanta parte e in quale modo dovrà essere restituita, quali saranno i meccanismi di controllo di qualità e le ricadute operative e innovative dei progetti? Dal Report diffuso dall’OICE (associazione di ingegneria e architettura di Confindustria) crollano le gare PNRR per servizi e appalti (da 1107 a 797 con un decremento da 1,2 miliardi a 381 milioni), mentre il piano di forestazione urbana si è arenato al 12% di impegno di spesa previsti.  Nella scuola la maggior parte dei fondi è destinata al finanziamento di attività formative monotematiche, centrate sulla didattica digitalizzata, infarcite di anglicismi che fanno trend e affidate agli istituti Polo, mentre il Portale nazionale “Scuola futura” funge da bacino di raccolta, il Ministero limita la presenza a funzioni computazionali e di archivio. Dov’è finita la politica scolastica nazionale che genera un sistema formativo fondato su una identità culturale caratterizzante?

Come evidenziato da Il Sole 24 ore “Nella Missione 6, dedicata alla Salute, la spesa è praticamente assente (79 milioni su 15.626, quindi lo 0,5%), nella Missione 5 su Inclusione e coesione si arriva a 239 milioni (l’1,2% dei 19,851 miliardi di budget) mentre su Istruzione e ricerca (Missione 4) si

arranca fino al 4,1% (1,273 miliardi spesi su 30,876).” I soldi ci sono ma mancano i progetti: quelli che sono presentati passano prima o poi sotto le forche caudine degli organismi comunitari europei: tuttavia in comparti strategici e a forte ricaduta sociale come sanità, trasporti, scuola, ambiente, prevenzione, inclusione non si è speso quasi nulla. Per non parlare della “digitalizzazione”, la parola più magica del PNRR, abusata in funzione di una valenza semplificativa ma declinata come arma di distruzione di massa nella quotidianità di vita della gente, burocrazia impenetrabile che implementa quella già esistente, capace solo finora di creare complicazioni e allungare (anziché snellire) le procedure amministrative e facilitarne la comprensione. Una vera caienna di password, username da resettare, codici alfanumerici, app da scaricare, identità digitali da sovrapporre, percorsi informatici che si arrestano all’anticamera del risultato atteso. Certamente un regalino del PNRR che crea garbugli e semina ansia e panico specie nell’utenza di una certa età: un feticcio venduto come conquista di cui molti – fruitori o vittime del PNRR che siano- farebbero volentieri a meno.