Patria senza conflitti? Ideologia e realtà di una narrazione politica
Al di là delle effettive caratteristiche ideologiche dell’attuale governo, non si è mai parlato così tanto di fascismo con riferimento all’attualità, come in questi mesi. Per la classe politica che ruota attorno a “Fratelli d’Italia” questo continuo richiamo al fascismo non è altro che uno strumento di lotta politica maneggiato da una sinistra che non ha la forza politica per contrastare il successo elettorale della nuova destra a trazione meloniana. L’ambiguità del problema però non sembra potersi dissolvere così facilmente. Non c’è dubbio che gli esponenti del governo siano disposti, in molti casi anche convintamente, a condannare il fascismo-regime, vale a dire il sistema di potere dittatoriale crollato 80 anni fa verso cui, si sostiene, non c’è alcuna nostalgia. Più problematica, anche alla luce della miriade di recenti esternazioni pubbliche e private, risulta essere la questione del riferimento ideologico che sorregge l’azione politica degli esponenti di Fratelli d’Italia. Il motore effettivo di quell’area politica non è certamente il conservatorismo e neppure l’anticomunismo, obiettivo che dagli anni ’80 non ha più alcuna forza emotivamente aggregante. Il vero riferimento ideale che caratterizza l’attuale compagine di governo è l’anti-antifascismo. Ecco, dunque, perché l’eterno nodo della permanenza del fascismo in Italia continuerà a rimanere ben saldo: se il fascismo non rappresenta più un regime politico riproducibile, l’antifascismo non è mai diventato il minimo comun denominatore della Repubblica italiana, il che ha reso, e renderà sempre di più, molto ambiguo il confronto sulle fondamenta valoriali della nazione. Allora è opportuno chiedersi: in cosa credono o, quanto meno, su cosa fanno affidamento per mantenere il consenso gli a-fascisti che praticano l’anti-antifascismo oggi al governo? La domanda non è peregrina dato che non si rifletterà mai abbastanza sul fatto che la cultura e le idee professate dal fascismo nella sua fase nascente continuano a essere presenti e possono diventare programma di governo a prescindere dalla imposizione violenta e dittatoriale. La principale leva argomentativa, cioè quella che tra il 1920 e il 1924, prima della nascita del regime, è riuscita a far breccia nell’opinione pubblica italiana, non solo con lo squadrismo e l’acquiescenza delle istituzioni, è il tema della difesa della nazione in declino, della tutela di una Patria resa esangue dal sistema liberale. Il fascismo, in primo luogo, è stato e sempre sarà reazione alla complessità originatasi dalla Rivoluzione francese e dunque si caratterizza come risposta al pluralismo conflittuale della democrazia liberale. Quale migliore argomento del primato nazionale, in circolazione dalla fine del XIX secolo in tutta Europa e che la Prima guerra mondiale aveva definitivamente tirato a lucido, per contrastare il cosmopolitismo liberale e l’internazionalismo socialista? Lo squadrismo, il ripudio del pluralismo, l’autoritarismo, prima e dopo la marcia su Roma, furono presentati come indispensabili strumenti per arrestare il fenomeno della disordinata “incontentabilità” operaia e contadina in nome di un interesse collettivo più alto, quello della Patria. Un obiettivo che in realtà mirava a ripristinare le pericolanti gerarchie sociali e culturali e a cui il fascismo diede, a differenza di quanto aveva fatto il nazionalismo, le sembianze di una rivoluzione anti-sistema ricorrendo a immaginari di mobilitazione generazionale e di rifondazione, anti-democratica, del rapporto costituzionale tra la sfera pubblica del comando e quella dell’obbedienza. La Patria si rivela dunque il pass partout ideologico fondamentale di tale processo, al punto che la troviamo posta a fondamento retorico dell’avvio del regime dittatoriale nel 1925 con misure a cui – dichiara Mussolini alla Camera – “non avrei fatto ricorso se non fossero stati in gioco gli interessi della Nazione”. Quello che sta per abbattersi sull’Italia dunque “non è capriccio di persona, non è libidine di governo, non è passione ignobile, ma è soltanto amore sconfinato e possente per la Patria”.
Tutto può essere sacrificato per il bene dello Stato-nazione. Come scrive Giovanni Gentile: “per il fascismo lo Stato è un assoluto, davanti al quale individui e gruppi sono il relativo. Individui e gruppi sono ‘pensabili’ in quanto siano nello Stato (…). Lo Stato fascista (..) ha limitato le libertà inutili o nocive e ha conservato quelle essenziali. Chi giudica su questo terreno non può essere l’individuo, ma soltanto lo Stato”. Nonostante le incertezze e le capriole ideologiche che caratterizzarono il percorso politico di Mussolini, dobbiamo riconoscere che il fondatore del fascismo ha trovato tra gli italiani un largo consenso o quantomeno una diffusa tolleranza nei confronti dei progetti, prima, e delle pratiche, poi, di demolizione delle istituzioni liberali e di instaurazione di un regime la cui solidità, rappresenta inevitabilmente una prova del disinteresse degli italiani per il tema delle libertà e del valore del pluralismo politico.
Oggi l’idea di patria-nazione è radicalmente diversa da quella inculcata dal fascismo, ma è inutile negare che non essendo un concetto inerte, consegnato alla storia, dipende, come tutti i concetti polemici, dal contesto storico in cui si trova a veleggiare. Attualmente, in una fase planetaria convulsa e attraversata da tensioni e trasformazioni epocali (dalle pandemie ai cambiamenti climatici, dai massicci fenomeni migratori al ritorno dell’incubo dei conflitti nucleari sino all’ambigua pervasività dell’intelligenza artificiale), l’idea della nazione democratica e inclusiva dell’antifascismo è sempre più sfidata dal ritorno di un immaginario di patria chiusa e autoritaria.
Nella realtà, dunque, la distinzione, che pure esiste, tra una patria “buona”, di mazziniana memoria, e una “cattiva”, dedita alla sopraffazione di altre comunità, ci appare un argine fragile, sempre sul punto di cedere di fronte all’inasprirsi del quadro economico e delle tensioni internazionali. Se accettiamo l’idea che essere italiani sia un valore in sé, da preservare, dobbiamo anche interrogarci su quali siano i limiti della difesa di tale valore e quali gli strumenti legittimi per salvaguardarlo. Per gli italiani, ad oggi, la risposta appare nitida: il limite e gli strumenti li indica la nostra Costituzione, radicalmente antifascista, che ci impedisce di disgiungere i valori della patria da quelli della democrazia rappresentativa e dei diritti. Tuttavia, abbiamo già sperimentato negli ultimi anni come sia possibile far passare un’efficace narrazione di crisi dei valori costituzionali esistenti. Nulla di riprovevole: la storia costituzionale, vale a dire la storia dell’ordine politico in età contemporanea, non è altro che storia del comportamento politico dei cittadini e delle cittadine sulla base delle regole che si sono dati e che però tendenzialmente (e inevitabilmente) ciascuno cerca di superare, in una direzione o nell’altra. Per questo non c’è Costituzione al mondo, per quanto bella, che - a fronte di un’opinione pubblica indifferente ai valori scelti ottant’anni fa a fondamento della nostra comunità - possa difendersi dal dilagare della narrazione della crisi del vecchio ordine e dalla domanda di un nuovo, “salvifico”, ripensamento costituente. Costruire un argine a tale narrazione non sarà però un’impresa semplice se teniamo presente che la storia d’Italia è in primo luogo la storia di una comunità nazionale poco sensibile al principio della cittadinanza collettiva, all’idea di un’identità nazionale da costruirsi sul conflitto politico, fattore indispensabile per cementare la consapevolezza del ruolo dei diritti e delle libertà collettive. La democrazia, non dimentichiamolo, non si fonda sul patriottismo, tema su cui avremo modo di tornare, anzi quest’ultimo potrebbe facilmente trasformarsi in uno strumento per conculcarla. La democrazia si nutre di pluralismo conflittuale regolamentato da norme condivise e dunque non sembra di buon auspicio la dedica della Presidente del Consiglio, in occasione del 25 aprile, a tutti “gli italiani che antepongono l’amore per la propria Patria ad ogni contrapposizione ideologica”.
* Ordinario di Storia Contemporanea – Università di Bologna
di Fulvio Cammarano *