Ultimo Aggiornamento:
18 gennaio 2025
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Meloni fra Usa e UE

Paolo Pombeni - 08.01.2025
Trump e Meloni

Era inevitabile che si speculasse sul significato del viaggio lampo di Giorgia Meloni a Mar-a-Lago ospite di Trump. Vi contribuiscono la natura semi-segreta dell’iniziativa almeno nella sua prima parte, perché poi le si è data ampia pubblicità, ma altrettanto i molti aspetti impliciti nella costruzione di un rapporto particolare fra il nuovo presidente americano e la premier italiana.

Essendo tutto molto aggrovigliato, è comprensibile che ci sia ampia possibilità di scelta sugli aspetti che ciascuno può privilegiare nella propria lettura dell’evento. Uno che ha colpito molto, ma che a nostro avviso è interpretato superficialmente, è il carattere personale-solitario dell’incontro che almeno sul versante italiano non ha coinvolto le articolazioni istituzionali del governo, in primis il ministro degli Esteri. Al di là delle scontate riflessioni sul carattere sempre più leaderistico dei vertici politici, cosa che peraltro non è una novità (De Gasperi nel ’47 non andò negli USA col ministro degli Esteri; De Gaulle, Brandt, Kohl e tanti altri si sono mossi in maniera simile), c’è un dato formale da tenere presente: la legge americana e le consuetudini non consentono ad un presidente eletto, ma non ancora in carica, di avere interlocuzioni istituzionalizzate con i vertici di altri stati. Per questo era necessario salvare la finzione formale per cui ad incontrarsi fossero solo due “amici” e non i vertici di due stati (fra il resto non si dimentichi che Biden, ancora presidente in carica, arriva ora a Roma).

Se questo spiega tutto il carattere particolare di questo incontro, a partire da un tempo incredibilmente contratto per la trasferta di Meloni, c’è da aggiungere che sul piano più generale ci sono due convergenti interessi a gestire il rafforzamento di un’intesa fra la premier italiana e Trump. L’inquilina di palazzo Chigi ha ben presente che buona parte del suo successo è legata alla capacità di garantirsi uno spazio nelle relazioni internazionali, spazio che, va riconosciuto, si è conquistata ed ha mantenuto contro ogni aspettativa. In quest’ottica il rapporto di Meloni con l’amministrazione americana è di grande importanza, ma non è affatto una via semplice da percorrere.

Trump infatti ha una sua visione piuttosto peculiare della politica estera. Si insiste molto sulla sua intenzione di disarticolare la UE privilegiando i rapporti bilaterali con gli stati che la compongono. Però al momento si tratta in parte di propaganda elettorale (e sappiamo per esperienza che quanto si proclama allora non è detto si mantenga), in parte di una tattica per alleggerire il costo sostenuto dagli USA nella sua tradizionale politica europea e per costringere gli stati del nostro continente a privilegiare gli scambi con i costosi prodotti americani anziché acquistare merce più a buon mercato da altri fornitori (a partire dalla Cina).

Per perseguire una politica del genere, pur moderata opportunamente nella prassi, a Trump non conviene indebolire la UE più di tanto: perché bene o male quello è il bastione che deve “contenere” il neoimperialismo sovietico, e se lo indebolisce sarà la Russia, anche come agente della nuova prospettiva euroasiatica che non è estranea alla visione del governo cinese, a disarticolare a suo vantaggio il continente europeo, cosa che certo non può risultare vantaggiosa per Washington.

Basta avere un occhio a quel che sta accadendo ad Est e non solo. Fra i paesi ex satelliti sovietici sono attivi l’Ungheria di Orban e la Slovacchia di Fico e adesso in Austria va al potere una estrema destra che è apertamente filo russa. È vero che è presente anche la Polonia, ora presidente di turno della UE, decisamente filo occidentale e anti russa per tradizione e che ci sono anche i Baltici, ma lo è altrettanto che correnti filo putiniane crescono anche nella parte occidentale (l’AfD in Germania, il partito di Le Pen in Francia, l’ambiguo Salvini in Italia). La diplomazia americana non è cieca né fatta di neofiti e si farà sentire.

In questo contesto Meloni è un partner prezioso per Trump. È atlantista, è ben inserita nei nuovi equilibri di Bruxelles con il secondo mandato di von der Leyen, e soprattutto guida un governo stabile, ma indubitabilmente espressione di un sistema politico democratico, il che significa non essere sottoposti all’accusa di alleanze con governi frutto di manipolazioni e compressioni delle libertà (solo i fanatici possono sostenere che l’Italia sia simile all’Ungheria di Orban).

Per questo il nuovo presidente americano ha tutte le ragioni per consolidare un buon rapporto con Meloni, che ha cose da dare in cambio, lasciando perdere nei fatti rapporti veri con i suoi fan europei tipo Salvini. Che poi giochi anche la simpatia per una figura che “si è fatta da sé” più o meno a dispetto di tutti è naturale in un personaggio che si rappresenta alla stessa maniera.

Per la nostra premier la partita è più complicata. Infatti lei deve tenere insieme un rapporto proficuo con il vertice della potenza americana e uno altrettanto importante all’interno della UE. Solo infatti se riesce ad essere una presenza molto significativa nel contesto di Bruxelles, capace di orientarne le politiche, rimane veramente interessante per Washington, altrimenti se diviene solo la rappresentante di una potenza di secondo rango com’è l’Italia finisce nella schiera degli alleati minori che contano molto poco. Ma per avere un peso a livello UE la nostra premier deve mostrare la capacità di non essere il banale terminale degli interessi americani, perché in quel caso i partner maggiori, cioè Francia, Germania, Polonia, Spagna, ecc., faranno di tutto per disarcionarla dal suo attuale piedestallo. E non si può certo immaginare che alcune crisi politiche come quella francese e quella tedesca continueranno per lungo tempo.

Giorgia Meloni avrà dunque bisogno di molta abilità per navigare il mare tempestoso delle relazioni internazionali e dovrà, se possiamo permetterci un gioco di parole, stabilizzare la stabilità attuale del suo governo. Non potrà farlo senza mettere in riga qualche “amico”, e senza trovare un rapporto più maturo e dialogante con gli avversari.