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24 aprile 2024
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L'Italia del governo Renzi e le priorità della politica internazionale

Massimo Bucarelli * - 17.01.2015
Bashar al-Assad

"La politica estera si conferma grande assente nel dibattito pubblico in Italia. Eppure la pace nel Mediterraneo non ce la regalerà nessuno". Così Gad Lerner, in un tweet del 9 gennaio, descrive in maniera esauriente e precisa l'approccio dell'opinione pubblica e della politica italiana di fronte alle crisi internazionali che circondano il paese. Occuparsi di politica estera forse non è un'opzione ritenuta utile per la creazione di posti di lavoro e, soprattutto, non è argomento che fa presa sull'elettorato. Salvo poi ritrovarsi costretti a fare i conti con le tragiche conseguenze delle crisi internazionali, in grado – queste sì – di spostare consensi e complicare l'attività dei governi.

Fin da quando l'attuale segretario del PD e presidente del Consiglio ha ritenuto il partito e l'Italia "scalabili", si è avvertita chiaramente l'assenza di riflessioni utili ad affrontare le questioni internazionali di diretto interesse del paese, dal Nord-Africa, al Medio Oriente, per arrivare all'Est Europeo. L'orizzonte internazionale di Renzi sembra fermarsi a Bruxelles e a Berlino, tutto concentrato sulla partita economico-monetaria che si sta giocando in Europa. Le poche volte che ha varcato i limiti di questo ristretto ambito d'azione è stato per promuovere il made in Italy, cercando spazi e partner per le imprese nostrane. Tutto importante, necessario e funzionale all'azione riformatrice del premier e al rilancio dell'economia, tuttavia non sufficiente a tutelare al meglio gli interessi nazionali. L'anarchia in cui sono precipitati paesi arabi importanti, quali Libia, Siria e Iraq, devastati da guerre civili, proietta insicurezza e instabilità anche nel resto del Mediterraneo, al cui centro si trova l'Italia, con le sue coste ben esposte a ogni tipo di infiltrazione.

Per poter riportare un po' di pace nell'area mediterranea, è necessario tentare di capire cosa sta accadendo alle porte di casa. Contrariamente a quanto sostengono alcuni politici e intellettuali italiani ed europei, non si è in presenza di uno scontro di civiltà tra l'Occidente cristiano e giudaico e l'Islam fondamentalista. Si tratta, invece, di una feroce lotta di potere tra vari schieramenti del mondo arabo e musulmano, per lo più sunnita, tutti impegnati a riempire l'enorme vuoto di potere che si è creato con la scomparsa dei regimi di Gheddafi e Saddam Hussein, e con il tentativo di abbattere anche quello di Assad.

Gli interventi occidentali, ponendo fine a dittature spietate, al cui interno il ruolo dell'Islam era compresso, hanno in realtà permesso agli ambienti islamisti di tornare in gioco nella gestione del potere locale, dopo decenni di marginalizzazione. La fine dei regimi autoritari ha aperto la strada a gruppi politici di forte e radicale ispirazione religiosa, determinati a trasformare le istituzioni in senso teocratico e a creare degli Stati islamici. In tutto ciò, l'Arabia Saudita, liberatasi dalla minaccia di Saddam Hussein, che aveva tentato di imporre la propria leadership in Medio Oriente, con l'invasione del Kuwait, è più che mai determinata a stabilire equilibri a lei favorevoli. Da qui il tentativo sunnita di al Qaeda, prima, e dell'Isis, poi, di stravolgere gli assetti regionali e di conquistare il potere in Iraq e Siria, con le armi e anche con il sostegno finanziario di alcuni circoli sauditi.

Anche in Nord-Africa è in atto uno scontro tra fazioni del mondo arabo. In Egitto, è in corso una lotta tra gli ambienti militari laici e quelli islamisti dei Fratelli Musulmani, con i primi che hanno ribaltato con la forza i risultati elettorali che avevano dato la vittoria a leader politici vicini all'Islam radicale. In Libia, sono attive diverse milizie, appoggiate alcune dai militari egiziani, altre dai Fratelli musulmani, altre ancora da gruppi vicini ai sauditi.

Ciò che accumuna tutti, dai sauditi wahabiti, ai Fratelli Musulmani, dall'Isis ad al Qaeda, è l'esclusione dell'Occidente dal potere politico ed economico del Nord-Africa e del Medio Oriente: è forse l'ultimo atto della lunga decolonizzazione iniziata nel secondo dopoguerra.

Questa lotta, di tutti contro tutti, minaccia la sicurezza dei paesi europei. L'instabilità dell'area provoca flussi migratori difficilmente governabili; crea difficoltà nell'approvvigionamento energetico; ma, soprattutto, espone le nostre città ad attentati terroristici, il cui scopo non è solo quello di tenere gli europei lontani dai paesi arabi, ma anche di propagandare progetti politici per reclutare nuovi combattenti tra i giovani immigrati o figli di immigrati, che vivono nelle società europee, spesso in situazioni di emarginazione.

Di fronte a tutto ciò, è bene che il governo Renzi, sollecitando il nuovo responsabile della Farnesina, Paolo Gentiloni, e approfittando della presenza di Federica Mogherini nella Commissione europea nel ruolo di responsabile della politica estera e di sicurezza, si attivi per rilanciare un'iniziativa europea. Non è più rinviabile, ormai, un chiarimento complessivo con il partner storico dell'Occidente in Medio Oriente, l'Arabia Saudita, sempre più determinata a recitare un ruolo cruciale nella regione, utilizzando lo strumento religioso, l’Islam sunnita wahabita, quello più tradizionale e conservatore. È necessario rilanciare il dialogo con quei paesi musulmani, ma non arabi, come Iran e Turchia, che sono altrettanto preoccupati per quanto sta accadendo nel mondo arabo sunnita ai loro confini; un dialogo tra pari, però, senza fare in continuazione l’esame di democraticità al governo di Erdogan o a quello degli ayatollah. È urgente effettuare delle scelte in Siria, per decidere se il dittatore Bashar al-Assad può essere utile nella lotta contro l’Isis. È forse inevitabile iniziare a pensare di dover prendere atto dell’esistenza di uno Stato islamico sunnita, così come è stato accettato lo Stato islamico sciita in Iran; in caso contrario, bisognerà assumersi responsabilità politiche e militari, per "estirpare" la minaccia dell'Isis con le armi, come affermato da Gentiloni in un'intervista a Repubblica dell'11 gennaio; tertium non datur, però: compromesso o guerra totale con i rischi che ne conseguono. È fondamentale elaborare una soluzione per il caos politico in Libia, in considerazione soprattutto delle responsabilità occidentali per l'anarchia seguita alla fine di Gheddafi.

Si tratta di opzioni al ribasso, figlie di scelte contraddittorie compiute nel recente passato in Medio Oriente dall’Occidente. Si tratta, infine, di azioni, che richiedono la costruzione di pozioni europee comuni, perché il procedere in ordine sparso non è più possibile, né conveniente.

 

 

 

 

* Docente di Storia delle Relazioni Internazionali presso l'Università del Salento