Ultimo Aggiornamento:
27 marzo 2024
Iscriviti al nostro Feed RSS

Les Républicains e le nuove sfide di Sarkozy

Michele Marchi - 06.06.2015
Les Républicains

Con il lungo intervento al congresso del 30 maggio scorso, Nicolas Sarkozy ha ufficialmente chiuso l’esperienza dell’UMP e avviato quella de Les Républicains. Pressato da ragioni interne al partito (scandali economico-finanziari e crisi di leadership) e dai sempre più pericolosi competitors già in campo (Alain Juppé e Marine Le Pen), Sarkozy ha optato per la strategia di attacco, che in realtà assomiglia ad una ripartenza. Proprio chiudendo il congresso rifondativo è infatti, per certi aspetti, ripartito dalle origini dell’UMP.

Da un lato è tornato al progetto del 2002, quando la coppia Chirac e Juppé aveva accettato la scommessa del bipartitismo e aveva cercato di unificare in uno stesso soggetto partitico tutte le culture politiche della destra e del centro transalpino. Progetto che poi lo stesso Sarkozy, a partire dal 2004, ma soprattutto nella campagna poi fallita del 2012, ha in parte trascurato, occupandosi più di rincorrere il FN che di consolidare l’immagine del partito unico del centro-destra. Oggi Sarkozy dichiara di voler federare le tradizioni gollista, liberale, radicale e democristiana. Nei prossimi mesi bisognerà valutare se allo slogan seguirà un concreto operato in questa direzione.

Dall’altro lato sembra essere tornato il Sarkozy “offensivo” nei confronti della gauche della prima campagna presidenziale, quella conclusasi con la vittoria del 2007. Egli ha esplicitamente legato la scelta del nuovo nome, Les Républicains, proprio alla necessità di sopperire alle gravi mancanze della sinistra, al suo aver smesso da tempo di difendere e incarnare lo spirito repubblicano. Anche in questo caso è difficile non riscontrare un misto di continuità e di novità, rispetto all’epoca della rupture. Sarkozy infatti sembra spingersi in profondità verso una sorta di radical-giacobinismo fondato sulla triade laicità-ordine repubblicano-grandeur nazionale. Se nelle prossime settimane egli dovesse muoversi in questa direzione, è indubbio che la sua proposta politica potrebbe assumere i connotati di un recupero “da sinistra” di una parte consistente di elettorato che condivide una critica anche piuttosto dura riguardo al relativismo culturale e alla minaccia di comunitarismo che albergherebbero proprio negli ambienti del PS. Si tratterebbe, in definitiva, di una maniera piuttosto innovativa e per certi aspetti più “colta” di contrastare quel voto frontista frutto della crisi identitaria che il Paese vive da tempo e che i tragici eventi parigini di inizio 2015 hanno accentuato.

In che misura Sarkozy riuscirà in questa duplice scommessa potrà essere valutato soltanto nelle prossime settimane. È evidente che con il 30 maggio si apre una “fase due” del suo ritorno sulla scena politica e in questa saranno determinanti due passaggi. Innanzitutto le elezioni regionali di fine anno, ultimo test prima del voto presidenziale della primavera 2017. Sarkozy gestirà in prima persona questa campagna come leader di partito e capo dell’opposizione. Chiuso l’appuntamento elettorale di fine anno, egli dovrà poi applicarsi alla difficile organizzazione delle primarie per scegliere il candidato all’Eliseo. La differenza forse più macroscopica rispetto a dieci anni fa consiste proprio in questo: la guida del partito non garantisce la candidatura alle presidenziali. Il modello di primarie aperte a tutte le forze della destra repubblicana e del centro, quello perseguito da Alain Juppé, ad oggi penalizzerebbe Sarkozy e lo vedrebbe quasi certamente soccombere. Le possibilità sembrano per lui a questo punto due. Da una parte operare affinché la presa della sua leadership non si limiti allo spazio angusto della militanza di partito, ma torni ad avere un respiro nazionale. Dall’altro lato sfruttare la sua posizione di presidente del partito per imporre primarie “chiuse”, tutte interne a Les Républicains. Questa seconda opzione gli garantirebbe la candidatura, ma allo stesso tempo sarebbe accompagnata quasi certamente da una candidatura “indipendente” di Juppé e di conseguenza materializzerebbe lo spettro di una “primaria” a destra al primo turno presidenziale. A quel punto la possibilità di un ballottaggio presidenziale tra Marine Le Pen e il presidente Hollande (o un eventuale candidato socialista scelto in extremis per sostituirlo) sarebbe ben più di una ipotesi di scuola.

Ben lungi dal voler lanciarsi in sciagurate quanto inefficaci previsioni, si può al momento affermare che la strada per Sarkozy appare in salita. Il cosiddetto antisarkozysme è ancora forte, diffuso e travalica i confini della sinistra. Peraltro un elettore su due di destra dichiara di non volerlo come candidato per l’Eliseo. Nonostante tutto ciò Sarkozy ha un’indubbia capacità, quella di saper “fiutare” gli umori profondi del Paese, un’attitudine che i critici ascrivono alle doti del leader populista, ma che pare sempre più indispensabile nell’attuale complicata evoluzione dei sistemi politici occidentali.

Una recente ed articolata indagine condotta da Ipsos per la Fondation Jean Jaurès e il quotidiano Le Monde, dal titolo inequivocabile Fractures françaises (utile anche perché siamo al terzo monitoraggio in tre anni e si cominciano a valutare dei trend) ha, tra le altre, evidenziato tre tendenze di un certo interesse. Più del 70% dei francesi ritengono che la laicità repubblicana sia in pericolo ed esprimono sempre più perplessità sulla compatibilità tra islam e sistema democratico. Quasi nove francesi su dieci dichiarano che il Paese necessità innanzitutto di una guida più salda, sono alla ricerca cioè di maggiore autorità. E infine oltre il 70% degli stessi, posto di fronte all’opzione tra più integrazione europea o più potere nazionale non ha dubbi e opta per la seconda scelta. In definitiva laicità, autorità repubblicana e grandezza nazionale. Una triade più volte richiamata nel discorso del 30 maggio 2015.