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L'empasse istituzionale Congolese, solo la punta dell'iceberg

Alessandro Soggiu * - 15.10.2016
Moïse Katumbi

L'1 Settembre si è aperto, a Kinshasa – capitale della Repubblica Democratica del Congo – un tavolo negoziale per traghettare il paese verso le elezioni, allora prospettate per la fine di Novembre 2016, ma già spostate a “data da definirsi” nel 2018, stando alla CENI (Commissione Nazionale Indipendente per le Elezioni), che denuncia una mancanza cronica di fondi. Il “Dialogue national et inclusif” - nelle stesse parole del Presidente congolese Joseph Kabila quando propose alle opposizioni un round di negoziati per l'organizzazione di elezioni “free and fair” - ha da subito sofferto molte defezioni da parte degli esponenti più in vista dell'opposizione stessa. Se si potesse indicare soltanto uno dei moltissimi movimenti che si muovono nell'area “anti-kabilista”, è forse corretto rappresentare una parte dell'opposizione congolese con il cosiddetto “Rassemblement”, un raggruppamento dei principale partiti “storici” all'opposizione, primo fra tutti l'UDPS (l'Union pour la Démocratie et le Progrés Social) di Étienne Tshisekedi, già Primo Ministro nel 1993 nello Zaïre di Mobutu, e sconfitto alle ultime elezioni congolesi del 2011. Al suo fianco c'è Moïse Katumbi, ex-governatore della regione del Katanga (nel Sud-Est del paese), passato dalle file del Parti du Peuple pour la Reconstruction et la Démocratie (PPRD) – il partito di Kabila, facente parte dell'MP (la Maggioranza Presidenziale) –  a quelle dell'opposizione nel 2015. Katumbi, che era stato fra i capofila per la campagna di rielezione di Kabila nel 2011, e governatore del Katanga dal 2007 al 2015 (anno in cui ha dato le dimissioni dal PPRD, passando all'opposizione), è stato eletto all'unanimità candidato dell'opposizione alle prossime presidenziali.

Il Rassemblement ha quindi boicottato il Dialogue, e così è stato anche per la Chiesa Cattolica (una vera e propria istituzione sostanzialmente politica nella RDC), denunciando come i negoziati – sotto la guida dell'ex presidente togolese Edem Kodjo, nominato mediatore del Dialogue dall'Unione Africana – non sarebbero altro che un tentativo di Kabila di forzare la Costituzione a suo favore, non potendo ri-presentarsi per un terzo mandato. Un ruolo di rilievo è poi giovato da Vital Kamerhe, leader e fondatore dell'Union pour la Nation Congolaise (UNC), il principale partito dell'opposizione che oggi partecipa al Dialogue. Kamerhe è accusato dalle opposizioni di essere pronto ad accettare un accordo che lo vedrebbe “premiato” con la carica Primo Ministro nel processo di transizione che seguirebbe la fine del mandato di Kabila, il 19 Dicembre. Un accordo fra la maggioranza e l'opposizione – “premiata” con il premierato, accettando però un periodo di transizione negoziata che non escluda il partito di Kabila e la sua coalizione di governo – sembra essere stato raggiunto il 13 ottobre, almeno stando alle parole del portavoce della Maggioranza Presidenziale, André Alain Atundu. A complicare uno scenario già così complesso, vi sono anche partiti (perlopiù rappresentanti della società civile) che hanno boicottato sia il Dialogue che il Rassemblement; è il caso della LUCHA (Lutte pour le Changement), principale movimento nato “dal basso” e costituitosi partito “de facto”, raccogliendo molti consensi soprattutto nell'Est del Congo. Kabila avrebbe poi già ricevuto un “cartellino giallo” dal Rassemblement – che si dice pronto a sostenere un “regime speciale di transizione” alla fine del suo mandato, mentre a Kinshasa si sono susseguite una serie di violenti scontri che hanno lasciato a terra una quarantina di morti lo scorso 19 e 20 settembre. Le violenze sono scoppiate durante una marcia anti-Kabila, quando – denuncia il Rassemblement – a molti è stato impedito di raggiungere il punto d'incontro prestabilito da cui sarebbe dovuta cominciare la manifestazione. Sono seguiti tafferugli con la polizia, fino allo scontro aperto, degenerato in saccheggi, di cui sono stati accusati anche membri dell'esercito nazionale e della polizia locale. L'ONU, dopo aver denunciato il fatto e aver richiesto l'apertura di un'inchiesta autonoma, ha riportato le parole del chief della MONUSCO (la Missione delle Nazioni Unite in Congo, rinnovata per un nuovo mandato nel marzo del 2016), Maman Sidikou, che si dice preoccupato di una nuova escalation di violenze in un momento tanto teso e delicato per il futuro della RDC. Nel frattempo, però, e forse a peggiorare la situazione, il ministro degli Esteri e dello Sviluppo francese, Jean-Marc Ayrault, ha denunciato pubblicamente (in un'intervista a TV5 Monde) la presidenza di Kabila; in aggiunta, il ministro degli esteri belga, Didier Reynders, ha ridotto la durata dei visti diplomatici congolesi. In uno scenario quindi di incertezza e tensioni crescenti, l'empasse istituzionale appare come solo una delle molteplici criticità che minacciano il futuro prossimo di un paese, un gigante, ferito e isolato, da ormai oltre cinquant'anni.

 

 

 

 

* Laureato in Relazioni Internazionali, si sta specializzando in Studi Africanistici in particolare sul ruolo delle istituzioni internazionali e sui conflitti nella Repubblica Democratica del Congo